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NUMERO 14 – La fascia a terra

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“Che senso ha giocare quando sai che in un modo o nell’altro ti faranno vincere?”. Jorge Carrascosa, terzino e capitano della Nazionale argentina per tre anni, non è tipo da domande retoriche. La risposta al quesito l’ha data con il suo comportamento, con la condotta di un autentico hombre vertical, uno con la schiena ben dritta, che ha rinunciato ad alzare la Coppa del Mondo per non riceverla dalle mani di un assassino.

Partita combinata

Carrascosa (classe 1948) inizia la sua carriera nelle file del Banfield nel 1967 per poi trasferirsi nel 1970 al Rosario dove vince il suo primo campionato l’anno successivo. Nel 1973 passa all’Huracán, club con cui nello stesso anno vince il suo secondo scudetto. E’ un difensore con buona tecnica e tanta grinta, il suo particolare modo di braccare gli avversari gli frutta il nomignolo di “El Lobo”, il Lupo. Le sue doti ha lo portano ad esordire nelle file della Seleccion, guadagnandosi ben presto il ruolo di titolare e la partecipazione al Mondiale del 1974 in Germania. L’Argentina è nello stesso girone dell’Italia e una sconfitta degli azzurri nel match contro la Polonia garantirebbe ai sudamericani il passaggio del turno. Qualcuno pensa di organizzare una colletta nello spogliatoio per mettere insieme una cospicua somma da offrire come incentivo ai polacchi per assicurarsi la qualificazione. Carrascosa, indignato da una simile meschinità, scuote la testa e si dissocia dall’iniziativa. Le partite combinate non fanno parte del suo modo di pensare.

Agli ordini del Flaco

L’Albiceleste riesce nel suo intento: dopo la sconfitta con la Polonia e l’eliminazione dell’Italia passa al turno successivo. Ma solo per essere estromessa dal torneo dopo le sconfitte con Olanda e Brasile. Gli scarsi risultati ottenuti e il gioco deficitario mostrato non soddisfano per nulla la Federazione Argentina. Si reputa necessario un cambio di rotta e l’uomo giusto per questo viene individuato nel giovane allenatore dell’ Huracán, Cesar Luis Menotti. Detto “El Flaco”, il magro, per il suo fisico esile si è fatto in breve un’ottima reputazione. Ha preso in mano la squadra nel 1971 e, nel giro di due sole stagioni, l’ha portata a vincere il campionato. Senza avere a disposizione grossi campioni ha comunque messo in mostra un gioco spettacolare ed efficace. Sa coniugare estetica e risultati, il suo compito sarà di portare l’Argentina al trionfo nel Mondiale di casa del 1978. La prima mossa di Menotti come c. t. dell’Argentina è quella di consegnare la fascia di capitano a Carrascosa, già suo uomo di fiducia all’Huracán. Lui in panchina a dirigere le operazioni, “El Lobo” in campo a guidare i compagni: è il patto che li lega fino alla conquista della Coppa del Mondo.

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Operazioni di regime

Ma quello che cambia ogni prospettiva per quel Mondiale è un avvenimento che non ha nulla a che fare con i campi da gioco. Il 24 Marzo del 1976 un colpo di Stato organizzato dalle Forze Armate destituisce la Presidentessa Isabela Peron e instaura un duro regime militare. A guidare il Governo è ora il Generale Jorge Rafael Videla. E’ l’inizio di un sistematico processo di demolizione di ogni strumento di democrazia presente nel paese. La Costituzione viene sospesa, il Parlamento viene sciolto, i Partiti dichiarati fuorilegge. E per chi viene considerato “non allineato” con le nuove direttiva c’è soltanto la qualifica di “sovversivo” e la perdita di ogni diritto civile. Non serve essere dichiaratamente ostile al nuovo regime, basta anche solo il sospetto di avere idee opposte e si entra nella lista che diverrà tristemente famosa come quella dei “desaparecidos”, gli scomparsi. Saranno più di 30.000, alla fine. Torturati fino allo sfinimento e poi uccisi. I loro cadaveri non saranno mai più ritrovati.

Il calcio come paravento

In un simile contesto sembrerebbe a rischio anche la posizione di Menotti. Il c. t. è iscritto al Partito Comunista, non ha mai fatto mistero delle sue opinioni e non è per nulla disposto a mostrarsi ossequioso nei confronti dei militari per convenienza. Ma non ha motivo di allarmarsi troppo, Videla e i suoi non hanno la minima intenzione di mettergli i bastoni tra le ruote. In fondo hanno lo stesso obiettivo, la vittoria nel Mondiale. Per i militari non è concepibile  l’idea di avere l’organizzazione del torneo e di non sfruttare a dovere l’occasione per celebrare le loro virtù davanti agli occhi del mondo intero. L’Argentina ha l’obbligo di diventare Campione del Mondo, e gli uomini che compiranno questa impresa saranno ben ricompensati. E che tutto sembri a posto è una questione già risolta. Allo scopo Il Governo ha  creato L’E. A. M. (Ente Autarquico Mundial), Comitato Organizzativo che ha il compito di veicolare l’immagine di un paese tranquillo ed efficiente. Vengono fatte tacere le voci dei dissidenti, vengono rasi al suolo i quartieri più degradati delle città i cui stadi ospiteranno le partite del Mondiale e viene magnificata a mezzo stampa l’importanza della pelota per gli argentini. Il calcio viene usato come patina di vernice sullo sporco dilagante. Un   paravento per nascondere le proprie responsabilità  di fronte alle rimostranze dei paesi esteri che minacciano di boicottare la manifestazione per protesta contro le stragi del regime.

Non sarò dei vostri

Menotti, intanto, continua a lavorare alla squadra per il Mondiale in assoluta tranquillità. Anche con la sua coscienza: ai suoi uomini ripete spesso che “Noi non vinceremo per quei bastardi dei militari, vinceremo per alleviare le sofferenze del nostro popolo”. Discorso però che suona fasullo alle orecchie di Carrascosa. Lui non accetta compromessi, né di barattare la sua dignità con la conquista di un trofeo. Durante un’amichevole con la Germania Ovest, un anno prima del Mondiale, chiede la sostituzione. Ha già deciso di mollare, e la tentazione di buttare polemicamente la fascia di capitano a terra è forte. Ma lo è anche il suo rispetto per i compagni: si limita a metterla al braccio del libero Daniel Passarella e abbraccia Tarantini che prende il suo posto in campo. Non indosserà mai più la camiseta dell’Argentina. Alla chiamata in extremis di Menotti, alla vigilia della manifestazione, risponde semplicemente che quella storia non fa per lui. Non gli interessa stringere tra le dita la Coppa se poi, sul palco della premiazione, gliela consegnerà chi è responsabile della morte di tanti suoi compatrioti. Come in effetti, avverrà: l’Argentina vincerà il torneo, Passarella alzerà al cielo la Coppa del Mondo, Menotti avrà il suo trionfo con dedica ai diseredati. Ma quello che è rimasto di quel Mondiale è ben altro: il ghigno da lupo di Videla in tribuna d’onore, gli stadi presidiati da soldati con mitra spianati, gli arbitraggi condizionati fino all’assurdo, gli occhi spenti di molti tifosi sugli spalti. E un risultato finale che non sarà mai libero dai sospetti di essere fasullo. Meglio non esserci stato, Jorge, davvero molto meglio.

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