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ANGOLO NAPOLI – Napule é…. tre peccati mortali

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“Quanto vi è di più contrario alla salvezza, non è il peccato, ma l’abitudine”, ha chiosato più d’un secolo fa Charles Péguy.

Non è possibile, però, tacere – dopo aver visto Sassuolo-Napoli – sugli errori banali, macroscopici e determinanti che la difesa ed il centrocampo azzurro hanno commesso, facilitando un pareggio che per tanto tempo pareva sconfitta e che sino a pochi secondi dalla fine era diventato insperata vittoria.

Odi et amo”, ha scolpito nella memoria l’eterno Catullo, ricordando come i sentimenti più forti sono difficili da spiegare ma corrodono l’anima fino a farla disperare.

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Così è il Napoli di Gennaro Gattuso quest’anno: un susseguirsi indefinito ed infinito di fatti e circostanze al più inspiegabili, a volte addirittura inconcepibili.

L’aveva sbloccata abbastanza presto Lorenzo Insigne, con una gran giocata utile a mostrare una buona vena mantenuta per tutto il match, ma vanificata da un paio di centimetri di scarpette vivisezionati al Var.

In vantaggio, però, è andato per due volte il Sassuolo, con due grossolani errori di Maksimovic (prima), saltato con troppa sufficienza di testa, e Hisaj, capace addirittura di entrare fuori tempo ed in maniera gratuita sull’avversario girato di spalle ed inerme.

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Capace di riprendere la partita con Zielinski e Di Lorenzo (col secondo abile a capitalizzare un’invenzione del capitano azzurro), grazie ad un rigore ingenuamente concesso dalla squadra di De Zerbi, il Napoli stava riuscendo ad ottenere una fondamentale vittoria in trasferta.

Negli ultimi 30 secondi, però, l’impronosticabile: trasformare un fallo laterale a favore in una ripartenza avversaria, condita da un inspiegabile ed evitabilissimo fallo da rigore, è roba da notte (fonda) degli Oscar.

Ha ragione ad arrabbiarsi, alla fine, il capitano del Napoli, che bene farebbe però a tirare le orecchie a compagni di squadra che paiono ormai da tempo con le gambe fuori dal campo e la testa addirittura altrove, proiettata quasi in un universo parallelo.

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Maksimovic, Hisaj e Bakayoko sono la prova che qualcosa, nella costruzione del percorso, è andata storta. Demotivati e per nulla utili, i tre giocatori stranieri non sono certamente i soli ad essere colpevoli, pur attirando (a ragione) le maggiori critiche.

Il collettivo azzurro, in ogni caso, pecca spesso di presunzione e sciocca arroganza, concretizzando atteggiamenti che paiono diventati abitudini, difetti e vizi capitali tali da non poter più essere considerati peccati veniali.

E’ “mortale”, infatti, il colpo che questo pareggio subito alla fine dà ad una classifica che dovrà resistere – in due settimane – a tre trasferte complicate dopo una partita in casa tutt’altro che scontata.

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E’ “mortale” doversi rammaricare per aver di fatto regalato tre gol (due su calci di rigore evitabilissimi) dopo che si era riusciti a non prenderne grazie a pali e traverse che meritavano maggior sorte.

E’ “mortale”, da ultimo, avere continua conferma della fragilità d’una squadra che, necessariamente, va rifondata, rivedendo uno ad uno anche i nomi ed i cognomi che in società hanno posti e ruoli di responsabilità.

Non c’è peccato più vergognoso di ingannare chi crede in te”, ha scritto qualcuno su un muro in autostrada. Andrebbe affisso negli spogliatoi dove la squadra di Gattuso entra ed esce da diversi mesi ormai ogni tre giorni.

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Il peggior peccato, infatti, è la mediocrità. Ed essa non è solo di chi non eccelle in capacità, competenze e voglia di migliorarsi.

Mediocre è – soprattutto – in maniera ancor più grave chi non ci mette l’anima, chi non dà tutto quel che ha, chi si arrende senza combattere.

Il Napoli contro il Sassuolo ha commesso almeno tre peccati mortali, ottenendo un punto che – nonostante tutto – sa di sconfitta, al di là dell’evolversi d’una partita che s’è rischiata più volte di perdere.

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E’ una stagione complicata, difficile ed all’apparenza addirittura troppo lunga.

Forse perché – da adesso in poi – per ciascun tifoso vada come vada, il risultato finale è indifferente.

Il peggio che poteva accadere.

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Perché aveva ragione Oscar Wilde, “l’indifferenza è la vendetta che il mondo si prende sui mediocri”.

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