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Pioli: “Cari tifosi, il Milan tornerà ai suoi livelli”

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Lunga intervista rilasciata da Stefano Pioli a “La Repubblica” e riportata da pianetamilan.it. Tantissimi temi trattati dal tecnico rossonero, ecco le sue parole:

Sulla sua conferma al Milan: “I miei genitori mi hanno insegnato a dare il massimo a testa alta, senza guardare troppo avanti. L’amministratore delegato Ivan Gazidis e il fondo Elliott sono stati di parola: mi avevano detto che sarei stato giudicato alla fine. Non aveva senso, né era il mio obiettivo, perdere energie in cose che non potevo controllare”.

Sull’infatuazione del Milan per Ralf Rangnick: “Io non sono proprio andato a vedere come giocavano le squadre di Rangnick, mai. Mi sono concentrato sul mio lavoro con i giocatori, con lo staff, con Paolo Maldini, con Frederic Massara, con i medici, con i fisioterapisti: unità e coesione, nella fase delicatissima del coronavirus. E il club ci ha sempre fatto sentire sicuri”.

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Sulla vittoria rossonera nel ‘campionato post-CoVid’: “È limitativo. Nel 2020 solo l’Atalanta ha fatto più punti. Abbiamo perso solo il derby, dopo un grande primo tempo, e contro il Genoa, dopo le cose successe in settimana. Poi vincere contro chi ci stava davanti ci ha dato più spinta”.

Sul Milan che è diventato un esempio: “Posso dire che abbiamo usato serietà e buon senso. Giocatori liberi per le prime 2-3 settimane, con le famiglie. Poi lavori di gruppo al video, ricondizionamento fisico e al ritorno a Milanello carichi atletici progressivi. Ma soprattutto ci siamo concentrati sulle motivazioni: sapevamo di avere qualità, non sempre dimostrate”.

Sui giovani ‘liberati’ dalla pressione di ‘San Siro’ giocando a porte chiuse: “Non condivido. La seconda parte della stagione è stata inusuale e il nostro pubblico è giustamente esigente, ma in pochi stadi ricevi tanta passione. I giocatori non vedono l’ora, CoVid permettendo, di ritrovare l’abbraccio di ‘San Siro‘. Sarà un fattore in più per consolidare gli ultimi risultati”.

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Sul guardare le partite da lontano, dalla recinzione come nel film ‘Quartiere Pablo’: “Ritorno alle origini? Un po’ sì, ma ne avrei fatto a meno. Mancava adrenalina, anche se poi la differenza la fa la passione”.

Sulle richieste a lui avanzate da Zvonimir Boban e Paolo Maldini nel novembre 2019: “Di provarci: secondo loro la squadra poteva ottenere risultati migliori e un gioco convincente”.

Sul fatto che ha difeso la scuola italiana degli allenatori respingendo il tedesco Rangnick: “Non c’era bisogno di me. Quanto la scuola di Coverciano sia evoluta lo dimostra chi ha vinto all’estero, da Carlo Ancelotti ad Antonio Conte. Da noi si cambia sistema di gioco anche all’interno della stessa partita. All’estero il calcio è moderno e magari più intenso, ma anche più standard. I primi a riconoscerlo sono gli allenatori stranieri. Comunque io sono per lo scambio di conoscenze: non mi dispiacerebbe se Pep Guardiola, Jürgen Klopp, Zinedine Zidane venissero da noi. I campioni, calciatori e tecnici, arricchiscono sempre”.

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Sul fatto che è stato ex compagno di Michel Platini, Roberto Baggio, Zbigniew Boniek, Gabriel Batistuta, Paolo Rossi e Marco Tardelli: “E di Dunga. Lavorare con i fuoriclasse aiuta: il grande giocatore ha una percezione particolare delle cose. La conosco bene”.

Sulle differenze tra giocatore ed allenatore: “Il ruolo, da calciatore ad allenatore, cambia dal giorno alla notte. Ma quella sensibilità è oggi una delle mie qualità più importanti: devi sapere che hai davanti un fuoriclasse”.

Su Zlatan Ibrahimović: “In una stagione non tutto fila liscio. Ma lui rende tutto facile. È sbagliato riferirsi all’età, è un professionista al 100%. Ha insegnato ai giovani la serietà, la competitività in ogni singolo allenamento. È il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via. Sono segnali fortissimi. Zlatan ha un grande rispetto dei ruoli”.

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Sul loro rapporto ed il patto ‘Io faccio il giocatore, tu l’allenatore’: “Mi informavo delle sue condizioni atletiche dopo l’inattività. In uno dei quei confronti lui mi disse: tu decidi e io rispetterò sempre le tue scelte. Tutti abbiamo imparato da lui. È l’esempio quotidiano di come si resta ad alto livello. Insegna a non accontentarsi mai”.

Sul rinnovo di contratto per lo svedese: “Io all’esterno posso sembrare misuratissimo, ma sono molto esigente: le motivazioni c’erano anche prima di Ibra. Però, quando c’è una presenza così carismatica, il compito è facilitato. Lui ha alzato la competitività: per un passaggio sbagliato nel torello si infuria. Paolo, Gazidis, Massara, io, tutti siamo convinti che debba continuare con noi. Dalla trattativa economica è giusto che io resti fuori, ma siamo tutti consapevoli di quello che ha dato”.

Sullo scontro tra Ibrahimović e Gazidis a Milanello: “Una delle tante dinamiche in una stagione, ma un confronto positivo. Chiarirsi è sempre meglio che fare finta di niente”.

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Sul fatto che ha contribuito a far riavvicinare Gazidis e Maldini: “Il clima è sempre stato di fiducia e di rispetto dei ruoli. C’era solo bisogno di conoscersi meglio e di mettere a disposizione le proprie competenze”.

Su Franck Kessié che sembrava disperso in quarantena: “Comunicare con la Costa d’Avorio era difficile, ma io e lui abbiamo sempre mantenuto i contatti: può essere scattato qualcosa di diverso. Mi piace che abbia detto, a 24 anni, di sentirsi un veterano che deve dare l’esempio”.

Sul Milan che manca in Champions League dal 2014: “Il Milan deve tornarci. Però il gap col quarto posto è di 12 punti, non facile da colmare. Bisogna consolidare e migliorare il livello attuale, col bel gioco. Nessun obiettivo va scartato, puntiamo anche all’Europa League: 3 settimane di vacanza e subito il massimo. La squadra giovane è un vantaggio, sappiamo già che cosa ci aspetta: abbiamo preparato bene 12 partite in 40 giorni”.

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Sul fatto che ha chiesto una ristrutturazione a Milanello: “Piccole migliorie: le camere e le zone spogliatoi e staff. È il più bel posto al mondo per lavorare, in alcune parti un po’ datato”.

Su Gigio Donnarumma, Theo Hernández, Ismaël Bennacer e Rafael Leão: “Theo Hernández era al primo anno in Italia: si ritroverà il bagaglio che ha ampliato. Bennacer giocava per la prima volta in un grande club e Leão, col suo potenziale, dovrà dare per forza risultati superiori. E poi ci sono Ante Rebić, Hakan Çalhanoglu, Alessio Romagnoli, Simon Kjaer. Bastano pochi innesti mirati”.

Su Donnarumma: “Non l’ho citato perché lui, a 21 anni, l’esperienza l’ha già fatta, nelle ultime partite era addirittura capitano. È già tra i primi 3-4 portieri al mondo e diventerà il migliore. Non immagino neanche il Milan senza di lui”.

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Sulla carriera fin qui svolta da Pioli: “Se mi guardo indietro, e non mi piace farlo, l’unico rimpianto vero è il secondo anno alla Lazio: dopo il terzo posto si poteva consolidare il risultato, qualcosa mi era sfuggito”.

Sui suoi punti di riferimento: “Guardiola e Klopp, al massimo livello. Ma non ho preclusioni, prendo spunto da tante situazioni: le palle inattive, ad esempio, le ho prese dall’America di Calì”.

Sul Milan che deve cominciare a volare nella corsa a tappe: “Nel mio gruppo ciclistico mi chiamano il re del cavalcavia. Sì, per il Milan è ora della corsa a tappe. Ho un ottimo rapporto con Vincenzo Nibali, gli auguro una grande stagione. Del ciclismo mi piace la voglia di andare oltre i propri limiti”.

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Sul messaggio ai milanisti: “Cari tifosi, rivediamoci il prima possibile: è giusto che il Milan torni ai suoi livelli. “

Produttore Esecutivo in Mediaset per contenuti di informazione (hardnews e softnews), telegiornali e talk tv prime-time. Ho ideato il progetto LBDV e fondato la testata giornalistica. Sono amante del dubbio, socratico per formazione e mi piace guardare al di là delle apparenze tutto, le persone e la vita.

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