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UN CALCIO AL SUPERSANTOS – “Amore, non è come pensi!”

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Ma come dobbiamo fare? Cosa dobbiamo fare? Noi ce la mettiamo tutta, ma veramente tutta, per cercare e trovare del romanticismo, degli ideali, dei valori all’interno di un mondo, quello del calcio, che ormai pare andare sempre più allo sbando.

Oggi sono demotivato e abbattuto. Non mi va di celebrare la bellezza calcistica di un calciatore, non mi va di parlare del grande Milan di Sacchi, o del fantastico Marsiglia finalista di Champions ad inizio anni ’90. Oggi no. Oggi sono polemico e ho deciso così di imputare colpe a destra e a manca ai protagonisti del calcio attuale; ai, cosiddetti, ‘professionisti’.

Tu torni a casa stanco, ma soddisfatto della pesante giornata lavorativa e trovi la tua compagna sotto le lenzuola con un buzzurro fighetto. “Amore, non è come pensi!”. E cosa dovrei pensare? Che stavate a raccontarvi storie horror, nudi, sotto le coperte?

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È esattamente così che mi sento.

Tradito.

Fin da piccolo, da tifoso accanito, ho creduto alle bandiere, ai sentimenti, ma quelli veri. Vedere calciatori o allenatori della mia squadra andare sotto la Curva a ringraziare ed applaudire coloro i quali davvero ci mettono il cuore, mi provocava emozioni indescrivibili.

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E da bambino, ingenuo aggiungerei, ci credevo davvero a questa roba qui. Purtroppo la realtà, ad oggi, è completamente diversa dai sentimenti. Non conta più l’appartenenza, la bandiera, il sentimento per una maglia, una tifoseria o un popolo.

Mi dicono che la vita va così. Che da professionisti non si guarda in faccia a nessuno; contano soltanto gli avanzamenti di carriera e i “money”.

Certo, è vero, storicamente si è sempre assistito ad eventi del genere; si ricordi Altafini, che passò dal Napoli alla Juventus, realizzando, proprio contro gli azzurri una rete decisiva, conquistandosi così il soprannome di “Core ngrato”; ricordiamo Luis Figo che dal Barcellona passò al Real Madrid, e a cui, in una partita, fu lanciata una testa di maiale in campo.

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Ma oggi, tutto questo pare essere diventato la normalità.

Quest’anno assisteremo ad una situazione paradossale: Antonio Conte, emblema juventino, prima da calciatore e poi da allenatore, è diventato il nuovo coach dell’Inter, la squadra più “odiata” in quel di Vinovo.

Maurizio Sarri, mitico “comandante” del Napoli, che potrebbe diventare allenatore della Juventus, nemica per antonomasia dei partenopei. Piemontesi, tra l’altro, che neanche tre anni fa acquistavano un altro cosiddetto “traditore” proprio dai partenopei: Gonzalo Higuaìn.

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E allora mi chiedo: ma tutto questo è normale? Davvero questa “professionalità”, tanto nominata, ti può portare ovunque, senza guardare indietro e senza mettersi una mano sul cuore?

Come riuscirà Conte a sedere su una panchina così “scomoda” per uno juventino senza provare alcuna remora? Come farà Sarri, dopo tutto ciò che ha fatto e detto, a sedersi all’Allianz Stadium, dove i cori contro i napoletani, contro i suoi “cari tifosi napoletani” vengono ripetuti costantemente.

Chi scrive ha sempre ritenuto più importante di tutto gli ideali e i valori che contraddistinguono una persona, rispetto a qualsiasi altra cosa la vita possa presentarti.

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Ho sempre amato ed ammirato il Beppe Signori di Bologna, il Paolo Maldini del Milan, il Marek Hamsik del Napoli, Javier Zanetti dell’Inter, ma, più di tutti, ho letteralmente amato Francesco Totti, re di Roma e della Roma, il quale, in un’intervista di poco tempo fa, affermava proprio: “Io preferisco l’era romantica del calcio. Ora è tutta una questione di business, ma io ho vissuto quei tempi con molta passione”.

Evidentemente è così. L’era calcistica romantica è davvero terminata e i soldi hanno, ormai, preso il sopravvento.

Eppure, esistono dei “barlumi di speranza”, che mi permettono ancora di sognare e di pensare che tutto questo mondo non sia pura merda.

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Penso a Gennaro Iezzo, che preferì la serie C con il suo Napoli alla Champions League (nonché soldi, tanti soldi) con il Rubin Kazan; penso a Paolo Cannavaro che, in una fase importantissima della sua carriera, decise di abbandonare una serie A giocata ad alti livelli, pur di tornare nella sua Napoli (quella stagione in serie B).

Ancora, penso al blocco Juventus post Calciopoli, composto da campionissimi come Del Piero, Buffon, Trezeguet, Nedved, Camoranesi, che decisero di non abbandonare la nave, nonostante l’incredibile naufragio.

Chi scrive non è un razionale, non è un realista, ma un vero e proprio sognatore, dunque, permettete che ci resti male quando vede l’accostamento di Maurizio Sarri alla Juventus; per ciò che ha rappresentato a Napoli, non come allenatore, puramente come uomo, come ideologia e valori.

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Emblema di ciò che è stato Sarri nel capoluogo partenopeo è ben raffigurato in una canzone (Come Maurizio Sarri) di un giovane talento musicale napoletano.

Lo faccio per passione come Maurizio Sarri. Niente giacca e cravatta come Maurizio Sarri. Sto con la barba sfatta come Maurizio Sarri. Hasta la Revolucion”.

Così dice il testo; ma tutto ciò stona e parecchio con la seguente frase: “Se la società mi imponesse di andar vestito in altro modo, dovrei accettare”, detta dallo stesso Mister che piangeva il giorno che lasciò Napoli e il San Paolo. Una pietra tombale, una vera e propria sentenza sui sentimenti.

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E mo si mettono la giacca e già fanno i signorini; ma sono un gancio destro, in questo branco di mancini. Volete stare allegri, starete coi vincenti, ma la rivoluzione non si ferma e stringe i denti, non guarda in faccia a nessuno e non si schiera coi potenti”, continua la canzone.

Fanculo voi signori del potere monetario: portiamo la bellezza dell’esproprio proletario”.

Altra parte del testo della suddetta canzone, che, effettivamente, riusciva in toto a far capire cosa fosse stato Sarri per i napoletani.

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Purtroppo, però, il risveglio, negli ultimi giorni, è stato brusco, molto.

Come un pugno in faccia, Maurizio, con una semplice intervista, e con la molto probabile firma per la Juventus, si è ufficialmente “schierato coi potenti”.

La vita è questa: ti illude, ti persuade, ma poi, al momento del conto, ti ammazza.

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E io, oggi, mi sento così: vuoto.

Ci scuserete, allora, se questa settimana abbiamo deciso di fare questo piccolo “sciopero”; ma, con tutta sincerità, di amore e di romanticismo proprio non mi va di parlare.

Magari la settimana prossima, o forse no. I sentimenti sono a serio rischio, ma non dimenticate mai, cari ‘professionisti’: la cosa più importante del mondo sono le emozioni che essi ti regalano e, soprattutto, sono gratuite, estremamente ed indubbiamente gratuite.

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