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Angolo del tifoso

ANGOLO JUVE – Prima o poi

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Devo partire dalla fine, perché non riesco a togliermi dalla mente Conceicao che raggiunge i suoi in campo per festeggiare il passaggio ai quarti di Champions del suo Porto. La stessa fine in cui il mio nemmeno tanto proverbiale aplomb ha perso ogni flebile traccia della sua stessa esistenza.

Non vi tedierò con la cronaca del match: l’avrete visto, e se siete parte dell’Italia intollerante nei confronti dei colori bianconeri avrete anche goduto, nel vedere Ronaldo inginocchiarsi impotente, nel non saper immaginare cosa stia passando nel cervello di Federico Chiesa. Non vi biasimo: il calcio è anche questo, sportivissima antipatia e altrettanto sano sfottò. Ma lasciate che vi descriva quanto invece si soffre dall’altro lato della barricata. Vedere Arthur tornare in campo dopo un periodo così lungo di stop è stato meraviglioso. Vederlo prendere in giro l’intero Porto per cento minuti, anche. E lasciate perdere, almeno per stasera, i soliti epiteti che riservate nelle giornate di campionato a Juan Cuadrado. Anche lui per nulla affatto al meglio, si prende il lusso di mettere al centro dell’area i cross più belli che i miei occhi abbiamo visto ultimamente.

“Ci vedi poco”, e probabilmente avete ragione voi. Ma le fiamme negli occhi sanremesi questa sera non le avevo solo io, le aveva anche Federico Chiesa, che non sapeva più come dire a sé stesso di rallentare il passo, a rischio e pericolo di arrivare anche troppo in velocità su quei palloni. Ed io stessa ho dovuto imparare a fidarmi di un ragazzino di ventirè anni arrivato come uno strapagato, un gioco che non valeva la candela.

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Ma non vi so spiegare con quanta passione io abbia imparato ad aggrapparmi a questo ragazzo, perché io di juventini ne conosco pochi, e non sto parlando di tifosi. Parlo di gente che ha indossato questa maglia intrisa di gloria sportiva, e che ce l’hanno restituita sudata. Federico aveva tenuto in piedi il discorso qualificazione con un suo goal, e questa sera ci ha ridato speranza con due perle meravigliose, rimettendo in piedi una situazione che si era fatta durissima, dopo il rigore segnato da Sergio Olivera.

Come deve sentirsi Demiral, un difensore che stende un attaccante avversario in area? Cosa provi quando le speranze della tua squadra vanno in frantumi dopo un tuo errore?

Squadra, appunto. Ci ha pensato Arthur, ci ha pensato Rabiot e ci ha pensato Federico Chiesa a rimettere in piedi un discorso chiuso. Ci ha pensato un Morata più generoso di un frate francescano, più volte pericoloso davanti a Marchesin. E novanta non bastano, perché ce ne serve un altro nuovo di zecca, ma nessuno riesce a chiudere una situazione che ormai si sarebbe dovuta concludere quaranta minuti fa. Perché nel frattempo Taremi fa doppio giallo, e allora vuoi che i nove volte campioni d’Italia non riescano a metter sotto il tranquillissimo Porto?

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No, non ci riescono. Perché Pepe si dimostra ancora una volta il coriaceo difensore che è, pur trovandosi davanti a un Bonucci che stasera difende, imposta, e se ha un attimo mette anche su la macchina del caffè. Non ci riescono perché su un calcio di punizione dopo ore di pressione in area del Porto tocca di nuovo a Olivera battere Szczesny e costringerci a risalire la china, che si fa sempre più ripida. Del resto, divertente questa vita. Per avere in squadra uno che batte sempre le punizioni sulla barriera, la propria punizione se la cerca proprio lì, saltando in tempo utile per far sì che il pallone di Olivera insacchi la porta.

E non basta Rabiot. Non sono riuscita ad esultare lì, a una manciata di minuti dalla fine dei supplementari. Forse perché qualcosa dentro di me sapeva già che non ci sarebbe stata speranza, che in questa stagione ci sarebbe toccato stare ancora a rincorrere per infilare il decimo scudetto di fila, che anche per quest’anno i video che toccherà rivedere saranno quelli della magica finale di Roma del ’96.

Di lui, di Cristiano, non so cosa dire. Perché stasera non l’ho visto, a parte quando ha deciso di guardare Szczesny e non Olivera. E perché non puoi pretendere di passare un turno lasciando che il tuo avversario segni quattro goal complessivi.

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Non siamo pronti, non lo so quando lo saremo. Anni di onorata carriera al fianco dell’unica Signora della mia vita oltre a mia madre non sono stati in grado di darmi certezze.

Ma la vera ricchezza che mi regala l’amore per questi colori è questa: sono sempre pronta a sorprendermi.

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