I nostri Social

Approfondimenti

BUON COMPLEANNO MICHEL PLATINI – Pain au chocolat

Pubblicato

il

Tempo di lettura: 3 minuti

Credo di averne viste tante di cose belle. Dal vivo, intendo. Ho visto più volte Bruce Springsteen, ho visto i Rolling Stones, mi basta una passeggiata per ritrovarmi davanti alla Crocifissione di San Pietro del Caravaggio e per godermi il tramonto dal Pincio. Ho visto Cristiano Ronaldo fare una rovesciata che resterà per sempre stampata nella memoria dei tifosi bianconeri per averlo portato a vestire la maglia della Vecchia Signora, ho respirato l’aria di Londra uscendo dalla Tube a Regent’s Park.

Ma non saprò mai perdonare il mio destino per avermi dato i natali nei primissimi anni novanta, abbastanza presto da ricordarmi dei Take That, ma così tardi da non aver potuto ascoltare dal vivo Freddie Mercury, e veder giocare Michel Platini.

Più francese della baguette, più juventino di qualunque altro juventino. Michel nasce a Joeuf, da famiglia di origini piemontesi. Il destino, sempre lui. Comincia la sua carriera nel Nancy, la squadra che lui stesso definirà “della sua città”. Ma è nel Saint Etienne che il mondo comincia a capire davvero chi è Michel Platini. Vince nel 1981 il campionato con i Verts, i quali non riusciranno mai più a ripetersi. Per quell’anno, “i più forti di Francia”, testo e musica di Michel Platini.

Pubblicità

Intanto a Torino, c’era chi ci vedeva lungo. Ed era Gianni Agnelli.

La Juventus del tempo vantava tra le sue file un irlandese, Liam Brady. Brady non fece mai davvero breccia nel cuore degli juventini nelle due stagioni in cui indossò la casacca bianconera, lo sapeva anche lui. Forse se lo sentiva, dopo aver comunque conquistato due campionati, che presto qualcuno sarebbe arrivato a scalzarlo. Chissà se immaginava già che lo avrebbe sostituito uno da tre Palloni d’Oro di fila.

Michel arriva a Torino nel 1982, ma non è solo. L’avvocato gli piazza accanto il polacco Boniek, tre stagioni in bianconero, per poi passare alla Roma. La prima stagione è un po’ così: tocca ambientarsi, è acciaccato, ma nulla gli vieta di laurearsi capocannoniere della massima serie. Peccato per lo scudetto, che quell’anno si aggiudica la Roma. Peccato per la finale di Coppa dei Campioni, persa ad Atene contro l’Amburgo. Una più, una meno, direte voi.

Pubblicità

Ma chi è Michel Platini, se non fosse ancora chiaro, lo veniamo a sapere proprio in quella stagione. Contro l’Ascoli, dominato nel mese di aprile del 1983 per cinque a zero. In uno di quei cinque, Michel si inventa un goal che se esistesse ancora la pellicola l’avrei ridotta a brandelli a furia di riguardarla. Perché l’essenza di questo giocatore, è tutta lì: nell’autonomia e nell’automatismo dell’azione, nel tacco che gli riporta esattamente il pallone dove vuole lui, che deposita in porta con un delizioso quanto imparabile pallonetto.

La stagione successiva, France Football si rende conto di star davanti ad una stella: lo fa regalandogli il primo Pallone d’Oro della sua carriera. È di nuovo capocannoniere, è finalmente Campione d’Italia e conquista la Coppa delle Coppe, battendo il Porto. Si riconfermerà poi ancora una volta al top nella classifica marcatori, battendo anche Maradona, alla sua prima stagione al Napoli. Nello stesso anno, il 1985, Platini è protagonista involontario della tragica e disperata notte dell’Heysel. La finale si giocò, per motivi di ordine pubblico, e Platini segnò il rigore decisivo di quella partita contro il Liverpool. Ma quella coppa vinta nel dolore più atroce, nessuno l’ha mai sentita propria.

Nel dicembre del 1985, Michel si trasformerà in un’icona che diventerà storia del calcio. Tokyo, finale di Coppa Intercontinentale. Stop di petto, sombrero, tiro di sinistro. Incredibile pensare a come quel goal non fosse regolare secondo l’arbitro. Incredibile solo per la bellezza a cui i fortunati spettatori assistettero. Michel si distende sul prato. Aspetta. Poco male, la sua freddezza regala la Coppa alla Juventus ai calci di rigore.

Pubblicità

Inutile dire che Platini fosse anche colonna portante della nazionale Francese, con cui conquista l’Europeo del 1984. Si ritira in età relativamente giovane, a trentadue anni decide di appendere gli scarpini al chiodo. Non lascia il calcio, è per tre volte presidente UEFA, si candida successivamente alla presidenza della FIFA. A cui però non arriverà mai. Accusato nel 2015 di corruzione insieme a Blatter, a Platini vengono inflitti otto anni di allontanamento dal calcio, pena via via ridotta, fino alla totale assoluzione per il francese, arrivata solo nel 2018. Nel 2019, torna sulle prime pagine dei giornali per le sue testimonianze rese in merito all’inchiesta sui mondiali da disputarsi in Qatar.

Sessantacinque anni oggi, per Le Roi, come lo conosciamo tutti. Tre Palloni d’oro, una lunga controversia giudiziaria, ma soprattutto una carriera cresciuta e terminata alla Juventus, “la più forte del mondo”, disse lui nel suo ultimo giorno da bianconero. Con il suo sorriso serafico, l’Avvocato disse che Platini era stato acquistato per un tozzo di pane. Con del caviale, aggiunse. Ma vista la dolcezza con cui sapeva usare i piedi, più probabilmente era pain au chocolat.

Pubblicità

in evidenza