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ANGOLO DEL TIFOSO JUVE – Santa pazienza

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La mente umana ha le sue frontiere. Quella dei calciofili, come frontiere ha file e file di seggiolini. Vuoti, stasera. Vuoti come la nostra anima negli ultimi mesi, come gli abissi in cui ci siamo ritrovati, impelagati in qualcosa di più grande di noi, nell’assurda ma quanto mai reale incapacità di saper gestire non solo i fatti, ma soprattutto le emozioni.

Abbiamo lasciato che le mura delle nostre case avessero cura del nostro respiro. Abbiamo evitato che l’irruenza dei nostri sentimenti rovinasse quel briciolo di sanità mentale che ci era rimasto, almeno quello. Fino a stasera. Fino a che i nostri occhi non hanno cominciato a divorare di nuovo il verde accecante dell’erbetta dell’Allianz Stadium, fino a che la storia di quel grande amore che ci cantiamo a vicenda ogni domenica non ha cominciato a risuonare di nuovo in Corso Scirea.

E lì ci siamo ricordati di non essere solo degli organismi respiranti. Guai ad essere solo quello.

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Guai a non aver sentito nulla quando Milan e Juventus hanno fatto il loro ingresso in campo, bardati di mascherina d’ordinanza. Guai a non aver provato la commozione necessaria alla vista dei ventidue giocatori al centro del campo con una fascia nera al braccio, con le luci abbassate, guai a non aver rivolto un pensiero a chi avrebbe voluto rivivere il calcio, ma che ha avuto un destino molto più tremendo del nostro, che ci ha solo obbligati a far compagnia al divano più del solito.

E guai a non aver provato di nuovo quella sensazione di petto gonfio d’orgoglio che soltanto Cristiano Ronaldo con la maglia della Juventus sa darmi. Guardo lui, e guardo Andrea Agnelli in tribuna. Dove siamo arrivati Presidente, ne sono passati di anni da quando ci è toccato mangiare la polvere dei campi di provincia, ne è passato di tempo dai settimi posti che per chi come noi è abituato a fare la storia e non a leggerla sapevano quasi di retrocessione.

Ma Cristiano non ha voglia stasera, e forse non è l’unico. Togliamo il forse.

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Sarebbe quasi da includere nella sconfinata lista dei cattivi presagi il rigore assegnatogli e non concretizzato, un bel palo in faccia di quelli memorabili, che ti obbligano a metterti le mani su quella faccia abbronzata e a dirti ok le punizioni, ma cominciare così anche con i rigori potremmo avere un problema.

Però è piaciuto ricominciare a complottare. C’era il rigore? Quanto ci siete mancate, polemiche del pre, durante e post.

Quanto ho amato dover discutere del movimento del braccio di Conti, per me non era rigore, per te? Ma sì l’arbitro, l’ha rivisto, avrà confermato perché il braccio è staccato dal corpo, va all’indietro, simula un movimento strano, cosa passa nella mente dell’arbitro in quel momento?

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Ricomincia il calcio giocato e sei già nell’occhio del ciclone, sento risuonare nella mia mente per l’ennesima volta “Pjanic era da rosso”. Non ce la faccio, per favore. Quasi non mi dispiace che Cristiano per questa rara, rarissima volta, abbia dimostrato di essere umano anche lui.

Ma si sa, la fortuna aiuta gli audaci. Non tutti. Non ha aiutato Rebic, ma chiamare quella audacia sarebbe un insulto. Quella gamba dritta verso il volto di Danilo che nemmeno Undertaker contro John Cena non è audacia, è pura e semplice stupidità. Dritto negli spogliatoi, se il rosso diretto avesse delle sfumature il suo sarebbe stato almeno bordeaux.

Venti minuti, mezz’ora di ottimo calcio in cui rivedo a tratto il Douglas Costa che mi ha fatto innamorare delle spiagge di Copacabana e dove addirittura Matuidi impegna Donnarumma, per quello che sarà uno degli ultimi sprazzi di fisico e luminosità di una partita destinata a scrivere il suo nome nell’albo d’oro degli abbiocchi, per un sanissimo zero a zero che ci proietta dritti alla finale di Roma.

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Perché tolto Bentancur, che ormai nella mia personale formazione è titolare fisso, onnipresente come il torrone a Natale, e De Ligt, che non mi dà nemmeno per un attimo la consapevolezza di poter subire le ferite di una partita che a reti inviolate mi sarebbe andata benissimo, per il resto c’è un gran sonno collettivo, con CR primo Morfeo. Non ho abbastanza cuore per dare addosso a Sami Khedira, ma con Rabiot e Bernardeschi in campo sembra di avere almeno due uomini in più.

Per il Milan però.

E allora quando è troppo è troppo.

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È stato troppo il tempo lontano dai campi da calcio, e troppo il tempo in cui non ci siamo lamentati, forse abbiamo vissuto anche meglio.

Ma che vita sarebbe senza discussioni, senza contraddittorio, senza polemiche, senza perdere la pazienza davanti alla totale assenza del francese e dell’ex Fiorentina, anche per una come me, che di pazienza potrebbe regalarne a pacchi da sei.

Ma quando una juventina la perde, tocca stare attenti. Forse perché perdere non ci piace affatto, nemmeno quando si tratta di pazienza.

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