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CORNER CAFE’ – La cultura del rancore

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Ho già parlato di vezzo squisitamente italiano per rendere l’idea di come a noi abitanti dello stivale piaccia metter bocca su tutto. Il problema è che di questi vezzi ne esistono tanti. Anzi, troppi. Il continuo, costante – e futile – rimando a Calciopoli ne l’esempio migliore. E poco importa se a citarlo in causa è un qualsivoglia privato sui social o due tra i massimi esponenti del calcio italiano: fa notizia, sempre.

Ed è triste, davvero triste: Sacchi al tempo parlò di cultura del sospetto a giusta ragione, reclamando una maggiore trasparenza; quella trasparenza che arrivò, poi, in tutto il suo dramma, chiarificando una faccenda che fu seconda solo all’inchiesta Mani Pulite per scalpore editoriale – sì, forse di calcio qui si parla troppo e troppo seriamente. Ci si dovrebbe chiedere, oggi, perché si faccia ancora riferimento a fatti accaduti tempo addietro, dacché ormai il mondo intero è cambiato. E non parlo degli episodi in campo: quelli li lascio giudicare a chi ama la polemica. L’esacerbazione del sentimento d’odio nei confronti di una società ormai morta, di cui rimane solamente il nome, fa sì che la sacchiana cultura del sospetto diventi cultura del rancore. Passando così dalla ragione al torto, ove si è tutti santoni con le mani sporche.

Oggi, in Italia, di calcio si dovrebbe parlare meno che mai. Se non, quantomeno, per far sì che riprenda: non tanto per il gusto della domenica sportiva, quanto piuttosto per dare a chi, che nel settore lavora, la possibilità di poter campare fino alla fine del mese. Eppure una polemica lì, una critica qua e, puntualmente, si butta in mezzo anche Calciopoli. Simbolo di un mondo marcio che per certi versi abbiamo sconfitto, ma di cui ci portiamo affannosamente dietro i rancori. Un altro vezzo squisitamente italiano che, a dirla tutta, ha anche un po’ stancato.

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