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#LBDV – Daniele Garbo a ‘Coffee Shock’: “Ripresa campionato? Bisognerebbe temporeggiare”

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Il giornalista sportivo Daniele Garbo ha rilasciato alcune dichiarazione nel corso di ‘Coffee Shock‘, nuova trasmissione social trasmessa sulla pagina Facebook de Le Bombe di Vlad.

Di seguito proponiamo le parole rilasciate da Garbo, in compagnia della nostra Valentina Clemente:

La notizia che ha fatto un po’ scalpore è la decisione del calcio francese di fermarsi. Ciò apre molti interrogativi sul futuro del calcio.

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“La scelta della Francia si aggiunge a quella dell’Olanda e del Belgio, indicando una tendenza di massima. Tuttavia ogni Federazione cerca di seguire una linea indipendente: la Premier ad esempio vuole continuare con l’avvallo del governo, in Germania hanno ripreso ad allenarsi. Dalle ultime dichiarazioni di Spadafora e Sileri si percepisce che si va verso lo stop. Dopo di che, ci si augura che le cose possano migliorare, ma nessuno ha la sfera di vetro. Non bisogna dimenticare però che il calcio è la terza industria del Paese, è una fonte di introiti anche per lo Stato. Tra le varie imposte il calcio versa all’incirca un miliardo di euro di tasse, ed il valore in sè del movimento ammonta a decine di miliardi. Ecco perché nessuno ha intenzione di chiudere la vicenda a cuor leggero, perchè non avrebbe senso dal punto di vista economico. La situazione è complessa, è legittimo che le istituzioni sportive tentino di riprendere. Pur tenendo presente che la priorità debba essere la salute di tutti, è legittimo che il calcio faccia di tutto per riprendere. Bisognerebbe temporeggiare proprio a causa dei rischi che mettono in pericolo la società, in Italia ed in Europa”.

In Italia chi rischia di più?

“E’ chiaro che non rischiano le grandi società, ma ci si riferisce alle altre società che basano la loro esistenza sugli introiti dei diritti TV. Questi ultimi valgono, in Italia, il 65% di un bilancio di una società. Se vengono a mancare questi introiti, molte società rischiano il fallimento. E se il campionato non dovesse riprendere ne risentirebbe tutto lo sport”.

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Il problema è anche la percezione dei calciatori a riguardo.

“Credo che il protocollo messo su dalla Federcalcio sia molto severo. Ci sono le condizioni che le squadre scendano in campo senza rischi. La fase della partite è la meno pericolosa perchè le squadre sarebbero reduci da una quarantena a tutti gli effetti e da tre settimane di ritiro. E’ vero che il calcio è uno sport di contatto, ma in quel caso sarebbe tra soggetti sani. Si pensa sempre a Ronaldo o Messi che guadagnano decine di milioni all’anno, ma ci sono calciatori che sopravvivono grazie al calcio. Non dobbiamo farci fuorviare da chi guadagna di più, perché loro non avranno mai problemi se non giocano”.

Capitolo competizioni europee. Con il campionato fermo, il rischio è che le squadre debbano andare all’estero per allenarsi in vista degli impegni in Champions ed Europa League. Come può una squadra arrivare ad una partita così importante senza partite ufficiali nelle gambe?

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“E’ chiaro che l’ultimatum che ha messo l’UEFA crea dei problemi, e forse il calcio dovrebbe iniziare a pensare ad un piano B. La Champions e l’Europa League sono effettivamente un problema. Se la Serie A dovesse riprendere, le italiane sarebbero avvantaggiate rispetto alle squadre francesi, ferme per mesi. In questa situazione è difficile che vengano garantite uguali condizioni, e bisogna trovare dei compromessi”.

Il problema dei mancati introiti porterà uno scossone nel calciomercato?

“Sicuramente, ci saranno più scambi ma in generale vedremo meno operazioni. Un altro problema è rappresentato dai contratti in scadenza. Purtroppo non esiste una soluzione che vada bene a tutti ma, come detto prima, bisogna trovare, anche in questo caso, un compromesso accettabile per tutti”.

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Le squadre di cartello, con una certa disponibilità economica, potrebbero ‘approfittarne’?

“Il rischio c’è, e questo vale anche per le squadre inglesi che hanno molto introiti a livello di merchandising e di incasso stadio. Si rischia davvero di trovarci con un gap ancor più ampio tra big e piccole. Il calcio potrebbe diventare impari”.

Sul suo passato da bordocampista:

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“Il bordocampista è un giornalista che coglie dei particolari che non sono alla portata dei telecronisti e dei telespettatori. E’ una figura interessante perchè si costruiscono rapporti con gli addetti ai lavori e si crea la possibilità di avere notizie in anticipo. L’ho fatto anche nel Tennis: non avevo immaginato si potesse fare il bordocampista anche in questo sport”.

Che differenze ci sono tra calcio e tennis?

“Parliamo innanzitutto di uno sport individuale e di uno di squadra. La testa incide nel calcio, così come negli altri sport, ma nel tennis, tra le diverse componenti, l’aspetto psicologico è il più determinante. Un tennista, nel momento clou, è da solo e deve prendere da solo decisioni fondamentali. Il problema del tennis non è solo il fatto che si giochi in tutti e cinque i continenti, ma bisogna avere una capacità di assorbire le sconfitte fuori dal comune. Nel calcio, se un calciatore è in un momento difficile, ce ne sono altri dieci che possono vincere la partita, nel tennis no”.

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Avendo lavorato per molti anni come bordocampista, avrai sicuramente tanti aneddoti da ricordare.

“Avrei tantissimi episodi e potrei scrivere davvero un libro. Ne scelgo qualcuno per far capire proprio il rapporto che si viene a creare con gli addetti ai lavori. Per regolamento, il bordocampista non può parlare con l’allenatore. Prima c’era più libertà di movimento perché si era all’impiedi; oggi il bordocampista ha proprio una seduta e questa libertà è limitata. Prima, stando in movimento, recepivi molto meglio l’atmosfera. In un Lazio – Milan, Carlo Ancelotti mi presentò Leonardo, dicendomi: “Ti presento il nuovo allenatore del Milan”. E così fu, perché poi lo sarebbe diventato. Ma il bello avvenne in partita. Ci fu un episodio dubbio ai danni della Lazio ed era abbastanza netto. Lui si girò e mi chiese se fosse o meno rigore. Io gli dissi che non potevo parlare per specifiche normative della Lega, e lui se ne uscì con un: “Ah grazie, bell’amico che sei!” (ride, ndr)”. E poi ancora un altro episodio in un Genoa – Lazio. A pochi minuti dalla fine, venne fischiato una punizione dal limite in favore dei rossoblu, e la panchina della Lazio andò su tutte le furie. Sentii il telecronista che disse che quella punizione fosse sacrosanta. A quel punto rivelai a Manzini: “Guardate che la punizione c’è ed è sacrosanta”. Soltanto così si tranquillizzarono tutti. Il quarto uomo se ne accorse ma io mi giustificai dicendo che l’avevo fatto soltanto per calmare gli animi, e lui fece finta di nulla. Una cosa analoga mi è capitata in Lecce – Novara: ad un certo punto ci fu un’azione bellissima dei piemontesi, conclusa con un gol in rovesciata. Tuttavia l’arbitro fischiò e annullò. Non sembrava ci fosse qualcosa di irregolare, ed infatti anche il telecronista sosteneva ciò. C’era Perrone, secondo del Novara, che mi chiese dell’episodio ed abbozzai la mia perplessità, scatenando le polemiche della panchina. Però lui mi rassicurò che non l’avrebbe saputo da me. A fine partita si avvicinò Doveri, l’arbitro del match, e mi disse: “Sei stato tu a dire loro che era tutto buono eh?”. Io negai, ma il direttore di gara replicò, con una certa ilarità: “Vabbè, abbiamo capito tutto” (ride, ndr.).

La cosa più strana che ti è capitato di osservare?

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“La cosa che ho verificato è che dalla panchina si capisce poco. Dall’alto si riesce meglio, ma dalla panchina si capisce poco. Assisti ai vari battibecchi fra giocatori e respiri proprio la partita. Percepisci l’odore acre di una partita che in telecronaca non è possibile annusare. Quando sei a bordocampo hai la percezione precisa della velocità di gioco. E poi hai modo di vivere momenti indimenticabili, come quella trasferta a Manchester della disfatta per 7-1 in Champions della Roma. Noi giornalisti partimmo tardi a causa di un ritardo di un collega, così io e Mangiante andammo a piedi allo stadio. Ci trovammo in una situazione pericolosa perchè, di fronte, c’era un muro di tifosi della Roma divisi da quelli dello United con dei poliziotti a cavallo. Insomma, volava di tutto. Alzammo il passo, ci facemmo largo tra i tifosi giallorossi che ci riconobbero ed in qualche modo riuscimmo ad entrare”.

Lo stadio più bello per te, in Italia ed in Europa?

“Per quanto riguarda l’Italia, dico, a livello di visibilità, il Marassi perchè è uno stadio all’inglese e si ha la sensazione di stare in campo. Il più bello è San Siro, è la storia del nostro calcio. All’estero senza ombra di dubbio è Anfield: quando entri lì, senti l’essenza del calcio e quando cantano l’inno nel pre-partita vengono i brividi. Un altro stadio che mi piace moltissimo è l’Old Trafford, al cui interno ci sono tantissimi comfort ed è davvero all’avanguardia”.

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