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CORNER CAFE’ – Cuore ultras, la bontà che non ti aspetti (o forse sì)

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Si è partiti coi bergamaschi, che hanno devoluto il rimborso del biglietto per la partita contro il Valencia al Giovanni XXIII; poi tutti gli altri, presi a cuore dalla situazione, dall’emergenza e dalle difficoltà del sistema sanitario.

Un vero e proprio effetto a cascata, che ha coinvolto quella parte di popolazione che viaggia sempre a mille, e che l’estraneo vede spesso fuori contesto: gli ultras. La frangia di tifo più estremista da cui i più si tengono alla larga, che si mette a disposizione degli ospedali di ogni città al fine di promuovere donazioni per supportare la sanità. Un insieme di cuori che battono all’unisono, e che rimandano l’immagine non solo di gruppi organizzati a livello calcistico, ma di vere e proprie famiglie non di sangue, che però da anni si riuniscono per un unico amore.

E’ il cuore la parte centrale della questione: il cuore che spesso viene devoluto alla squadra, alla propria squadra; un cuore immenso, che però – e si è visto anche ora – non si limita al semplice pallone ma va oltre, abbracciando quegli strati del sociale che non sono sempre all’ordine del giorno. Ma gli ultras, che piaccia o meno, non sono nuovi ad azioni come beneficenze o donazioni; è che spesso rimandano all’immagine sporca di quei pochi che, fregandosene delle norme sociali e della civiltà, protendo a quei gesti che vengono poi riportati in prima pagina. Viene compiuta generalizzazione, viene compiuta calunnia.

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Perché di fatto c’è chi si erge sopra alla melma di quello che viene più spesso riferito, chi fa del bene e lo fa per bene. E che lo vogliate o meno, sono molti di più di quello che si possa immaginare. Il loro unico punto debole è l’essere forse troppo attaccati ad una maglia, ad un amore, ed essere schedati come estremisti – quando estremo centro sono, di fatto, solo delle connotazioni geografiche. Ma, del resto, chi può davvero giudicare cosa sia troppo o cosa sia poco? Parliamo di calcio, non di cibo, altrimenti saremmo dietologi e non giornalisti sportivi.

Prima i bergamaschi, poi – alla butterfly effect, ndr – bresciani, napoletani, meneghini, felsinei e chi più ne ha, più ne metta: un unico cuore che batte all’unisono. Rivali, in campo e sugli spalti; uguali nella bontà.

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