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ROSSETTO E CAMPIONATO – Gigi Buffon, per chi gli anni non li compie mai

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Il campetto dove giocavo io era fatto di mattonelle. Mattonelle rosse, color terra di Siena bruciata, e in realtà non era affatto un campetto da calcio. In realtà era un campo di basket, e la maggior parte delle mattonelle erano scheggiate, ma non ci importava, perché su quel campo di basket ognuno di noi si sentiva al Bernabeu, maschi e femmine.

Che poi era facile darsi i soprannomi: c’era il biondino occhi azzurri, che era Nedved. C’era il piccoletto con la cresta, il più forte di tutti, che non vedeva l’ora di sentirsi chiamare Del Piero. C’era una delle mie più care amiche, una lunga chioma riccia color nocciola: lei era Davids.

E poi c’ero io.

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Che gli occhi azzurri non li avevo, ma che guardavo ai due pali del canestro e me li immaginavo come la porta in cui ogni fine settimana ammiravo volare il mio preferito, e di cui ogni lunedì mattina leggevo le gesta sui giornali, con lo Snickers in una mano e il Cioè nell’altra.

Io volevo essere Buffon. Non mi interessava, non rilevava che io fossi una femminuccia, non mi interessava il tutù azzurro che mia madre si ostinava a farmi indossare, con ben poche speranze di vedermi diventare un’etoile della Scala. Io che vivevo a pane e salame. Io volevo solo stare tra i pali, imparare a volare come faceva lui.

E poi non l’ho fatto. La vita è così. Ma lui, lui non mi ha mai lasciata. Gli anni si sono accumulati, e se c’è una cosa che non è mai cambiata nella mia seppur giovane esistenza, è la sensazione che provo ogni volta che lo vedo scendere in campo: vedo lui, e vedo me, su quelle mattonelle rosse. La vita è andata avanti, ma noi no, e lui no.

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Sembra che il tempo si sia fermato per Gigi Buffon, che non ho paura di definire il portiere più forte del mondo. Perché mi danno ragione i fatti, perché è un Campione del Mondo, perché sta per superare ogni record di presenze sui campi, perché oggi compie quarantadue anni e nonostante sulla sua maglietta ci sia scritto 77 per me resta sempre l’unico, il solo, numero uno.

Ci siamo lasciati, per un singolo anno della nostra vita insieme. La pausa di riflessione è quella che generalmente sancisce la fine di un rapporto. Ma non il nostro. Non il tuo con la nostra maglia del cuore, non il mio con te, nemmeno quando hai deciso di andare a salvaguardare i pali all’ombra della Tour Eiffel.

Che ogni volta che giochiamo, non mi interessa se sei in campo. Mi basta allungare lo sguardo verso le panchine, e osservare la tua espressione concentrata sulla partita, seria quando serve e con un guizzo d’infanzia quando qualcuno dei nostri batte il portiere avversario.

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Oggi sono quarantadue, ma in realtà ne abbiamo sempre dodici, io sono sempre su quel campetto, e tu sei sempre lì, in Corso Scirea.

E che importa se la vita ci cambia, quando certe cose non cambiano mai. Auguri Gigi.

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