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ZONA CESARINI – C’era una volta un Principe quel “Cinco de Mayo”…

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5 Maggio 1862

Nel Luglio del 1861 il Presidente messicano Juarez, col suo paese in bancarotta, decide la sospensione del pagamento degli interessi verso gli stati esteri. Ovviamente la Francia (Spagna e Inghilterra), da sempre benefattrice delle Americhe meridionali, prese la notizia con  consueta e cristiana comprensione.

Col trattato di Londra i tre paesi inviarono una raccomandata di vicinanza al popolo messicano e come postini tutti i loro contingenti militari, compresi cani da slitta, maiali da tartufi e draghi alati.

Detto ciò, i malcapitati francesi, il 5 maggio 1862, nonostante una differenza abissale in termini di soldati, subirono una tale batosta che a confronto Waterloo veniva declassata a “sconfitta nel Trofeo Birra Moretti”.

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5 Maggio 1996

In realtà il Cinco più famoso in Serie A è naturalmente nel 2002, quando l’Inter viene a Roma ad affrontare la Lazio, certa che gli “amici di sempre” non gli avrebbero fatto uno sgarbo, nella (improbabile) ipotesi che lo scudetto potesse vincerlo la Roma. Il moto d’orgoglio di tal Poborsky cambierà la storia.

Nel 1996 la Roma va a Firenze e ribalta il risultato con un sonoro 1 a 4. Alla doppietta di Balbo e il gol di Delvecchio, mette il puntale il Principe, Giuseppe Giannini. La Roma è a un passo dalla qualificazione in UEFA.

Ma come in quella impresa centroamericana, che purtroppo solo pochi giorni dopo avrebbe visto comunque il capitolare del Messico, anche qui ad una festa seguirà un dolore (fatte le dovute proporzioni).

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“Peppe” corre sotto lo spicchio dei tifosi romanisti e piange.

Piange perché la sua storia (professionale) con la Roma si chiude lì.

Piange perché dopo essere stato ferito dall’era Ottavio Bianchi, un fiero Principe deve inginocchiarsi al tempo, a un presidente (Sensi) che non crede più in lui, al destino con la faccia di un ragazzino che, da suo scudiero, prenderà la spada e sarà Re per i prossimi ventuno anni, anche in nome suo.

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Piange perché, due mesi prima, un gol nel recupero di Vavra infrangeva il sogno di una semifinale e di quello che sarebbe potuto essere un finale col botto per un “Principe”.

Piange perché quel maledetto cartellino giallo sventolatogli in faccia pochi minuti prima, gli toglie quel saluto del suo popolo, gli toglie una festa già pronta, gli toglie l’esplosione del suo cuore guardando la sua curva dal centro del campo.

Giannini non riuscirà subito a vestire una maglia in Italia e il giorno della presentazione allo Sturm Graz indossa una (fastidiosa) maglia bianco nera…e una sciarpa giallorossa.

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Principe dei Capitani

I capitani della Roma sono leggenda, per caratteristiche e attaccamento. Totti è il giocatore più importante della storia della Roma, senza gara. Ha vinto più di tutti, ha portato la Roma a livelli più alti di considerazione in Italia e in Europa. Di Bartolomei ha vinto anche lui, giocato una finale di Coppa Campioni e la sua figura è ancora una delle più rispettate del calcio.

Entrambi hanno avuto intorno (non sempre) grandi squadre, costruite per eccellere o almeno provarci. In mezzo a loro c’era Peppe, numero 10 dai piedi straordinari, dal cuore più grande. Un ragazzo che, da capitano, ha vinto due Coppe Italia. Ha avuto intorno la pur gagliarda “Rometta”, qualche grande giocatore, ma mai una squadra che si avvicinasse minimamente al suo valore.

Il Principe ha vinto poco, ha sofferto, ha perso e preso schiaffi, ha visto offendere il suo orgoglio, senza mai perdere l’amore per quella maglia ormai attaccata all’epidermide. Insomma Totti, Di Bartolomei, De Rossi…viene da piangere a fare questi nomi ma lacrime, sofferenza – nulla di regalato ma preso coi denti rimasti dopo le botte – sono nel DNA di questo club e allora Giannini è forse stato il più romanista dei capitani.

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