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Simone Farina: l’eroe ‘dimenticato’ del nostro calcio

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La sua sicuramente è stata una delle giocate più belle possibili e, soprattutto, che si è tenuta lontana dal senso meramente ludico dell’espressione stessa. E’ la storia di Simone Farina, ex calciatore che 10 anni fa denunciò il giro a cui avevano tentato di assoggettarlo, dando il via così alla seconda tranche dell’operazione ‘Last Bet’.

Un gesto nobile, che lo ha allontanato dal calcio, almeno da quello giocato. Una carriera sacrificata in nome dell’onestà quella dell’ex Gubbio, oggi direttore generale dell’agenzia di procuratori “First”, che si è raccontato ai taccuini de La Gazzetta dello Sport.

“Ho pagato un prezzo importante, perché ho dovuto smettere di giocare”, ammette Farina a 10 anni di distanza dall’accaduto, pur non rimpiangendo quanto fatto per salvaguardare l’integrità del calcio. Nonostante i primissimi attestati di riconoscenza immediati alla denuncia – convocato in Nazionale e la chiamata di Blatter per entrare a far parte del suo team -, l’ex calciatore si è ritrovato schiacciato da quel muro di omertà che con coraggio aveva abbattuto. E che lo ha isolato da quello stesso mondo che inizialmente lo aveva idolatrato. “Lo giustificavo persino – ammette – , perché la mia denuncia aveva avuto una risonanza mediatica enorme, anche se io non avrei voluto. Era un momento di caos. Poi ho avuto la fortuna di incontrare il presidente della Lega di B Abodi, che quando ha saputo che potevo essere interessato a collaborare in Italia, mi ha chiamato immediatamente. Lui mi ha sdoganato e ora posso dire di non essere stato dimenticato”.

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Dolore che Farina ha constatato più consistentemente nel dover dire addio al suo Paese: “Il momento più brutto è stato andare all’estero, cambiare lavoro”. Batosta a cui ha saputo trovare il suo lato positivo, vedendo questo suo momento della sua vita come “un’opportunità così grande di crescita come uomo“.

Una capacità di riuscire a vedere il bicchiere mezzo pieno che lo ha salvato e che gli ha permesso di reinventarsi. Trasferitosi in Inghilterra, viene chiamato dall’Aston Villa per ricoprire il ruolo di ‘community coach’, per insegnare la lealtà sportivi ai giovani dello storico club britannico.

Valori dello sport che Farina continua ad incarnare e che vorrebbe continuare a trasmettere, come da lui ammesso. “Con Infantino sono in buoni rapporti”, rivela a tal proposito. “Ero in contatto anche con Boban prima della sua avventura da dirigente al Milan. Ma anche oggi mi sento pronto a lavorare a dei progetti ‘Integrity’ con la UEFA”.

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Il suo, a distanza di anni, resta un messaggio di speranza per il futuro del calcio, ma nello stesso tempo un avviso da tenere bene in mente per non ricadere negli stessi errori del passato. “Il problema del match fixing c’è stato – afferma -, ma ora è più difficile che accada. Società e leghe sono a conoscenza di tutto. Ma è normale che ci siano dinamiche che possono sfuggire. Non bisogna mai abbassare la guardia. Più rischi con la crisi-Covid? L’infiltrazione può sempre succedere. Per questo è importante investire sulla formazione dei giovani.”

Dimostrazione che c’è ancora molto da fare in materia, nonostante i passi in avanti di questi anni. Una sensibilizzazione che deve scalfire inevitabilmente sulla cultura sportiva, e non, di questo Paese, per fare in modo che il pericolo sia sconfitto. Per mettere lontano degli scheletri che tuttora lasciano i propri strascichi.

“Ha mai rivisto chi lei ha denunciato? Mai
“Le piacerebbe farlo? (Lungo silenzio) Non credo”.

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Ebbene sì, è il caso di dire che la strada da percorrere è ancora lunga, prima di dire che il male sia definitivamente battuto.

(foto: sito Serie A)

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