I nostri Social

Approfondimenti

ANGOLO DEL TIFOSO JUVE – Scetate che l’aria è doce

Pubblicato

il

Tempo di lettura: 4 minuti

Ho provato dormirci sopra. A lasciare che i battiti del mio cuore, accelerati da una rabbia che normalmente non mi appartiene, si placassero. Proprio io, che amo profondamente percepire il mio corpo quando le emozioni si fanno spazio tra i vasi sanguigni, è lì che mi sento viva.

Il tifoso bianconero medio si sente spesso ripetere che essere juventini è una benedizione. Il “di che ti lamenti?” è un leitmotiv che accompagna la mia storia calcistica più o meno dal 1997, l’anno in cui ho deciso che le magliette con i nomi stampati sul retro gelosamente conservate nel mio armadio sarebbero state dei colori più belli del mondo, il bianco e il nero, lo yin e lo yang, il bene e il male, tutto o niente.

Ed è proprio questo il punto. Tutto o niente. Non doversi lamentare. Vi prego, insegnatemi come si fa.

Pubblicità

Le mie sensazioni sono generalmente sbagliate dal principio. Ho poche, pochissime doti di preveggenza, ma lo strano fastidio che ha accompagnato questa finale di Coppa Italia da giocarsi contro il Napoli di Gattuso non poteva non dirmi nulla: sono pur sempre una donna, il sesto senso dovrei averlo di default. La partita con il Milan mi aveva già dato qualche terribile sospetto, vabbè ma dopo tre mesi su un divano che ti aspetti.

Nulla, figurarsi. Non mi aspetto né Cruijff ai tempi d’oro, né le gambe di Mennea.

Ma lasciatemi andare ancora per metafore: ciò che ho visto ieri sera in campo ha sommariamente l’utilità di un caffè senza zucchero dopo una cena a base di supplì e maritozzi. Mi pare il minimo, data la débâcle in terra romana.

Pubblicità

A quindici minuti esatti da dove prendevo a parole il mio 55 pollici nuovo di zecca peraltro, che da quando ha fatto il suo ingresso trionfale a casa mia non ha avuto ancora modo di vedere un benedetto goal da parte della squadra di mister Sarri.

Partiamo proprio da lui. Partiamo dal fatto che, ad oggi, non abbiamo idea di cosa abbia intenzione di fare la squadra quando si trova con il pallone tra i piedi.

Per un tempo superiore alla metà della partita teniamo il pallone come l’anello di Frodo, indugiando bellamente a centrocampo, giusto il tempo sufficiente per far sì che il camion azzurro si stagli davanti alla porta di Meret. Niente, non passa uno spillo davanti a Koulibaly e Maksimovic. Prima o poi si sfalderanno, mi dico. Peccato che quando lo fanno è unicamente per tentare la ripartenza.

Pubblicità

Lato nostro, è null’altro che la fotocopia, forse ancor più sbiadita, di quanto visto con il Milan.  Un sonno lungo almeno sessanta minuti, conto un massimo di tre tentativi di battere il giovane portiere del Napoli. Ma onestamente, tre tentativi da chi ha la fortuna di mettere in campo Cristiano Ronaldo, Dybala e Douglas Costa? Allora lasciamo pure che Bolt ci metta dieci minuti per correre un chilometro e che si legalizzi la panna nella carbonara, tanto è permesso tutto a questo mondo.

Che poi ci prova anche Bentancur. Il ragazzo è dovunque, è il centrocampista del futuro, ma in quanto a potenza offensiva al momento siamo al livello di un maltese con il cappottino. Il suo unico tiro arriva dritto tra i gabbiani di Fiumicino, lo stesso leggasi per Matuidi, ma qui non sto dicendo assolutamente nulla di nuovo.

Arrivo ad un punto in cui mi mancano anche le parole. Non ho voglia di sentire la storia della mancanza di brillantezza, perché non mi risulta che il Napoli negli ultimi tre mesi abbia esattamente giocato in un campionato a parte. E non sento nemmeno la necessità di dire che la differenza l’abbia fatta la fame. La differenza l’ha fatta l’impostazione di base: catenaccio e contropiede per loro, De Ligt (sempre sia lodato)-Bonucci-Cuadrado-Alex Sandro e daccapo per noi. Ovvero, nulla.

Pubblicità

E poi vorresti vincerla ai rigori?

A parte che non devo essere certo io a ricordarvi la proverbiale fortuna dei bianconeri con i tiri dal dischetto. A parte che non si può certo giudicare la carriera di un fantasista come Dybala da un rigore sbagliato. (Ma magari quella di Danilo si. Poi perché Danilo secondo rigorista? Che cosa paghiamo a fare Cristiano Ronaldo, i cui rigori con la camiseta blanca popolano ancora i nostri incubi?). A parte che non voglio giudicare la scelta tecnica di lanciare Douglas Costa dal primo minuto (sì che voglio farlo).

A parte che io non voglio che la mia squadra debba essere salvata, e sottolineo letteralmente salvata, dagli interventi di un uomo che a quarantadue anni sembra averne scarsi ventiquattro. Che vola tra i pali come se la terra non gli appartenesse. E per cui non smetterò mai di ringraziare chi ha voluto che mettesse piede per la prima volta a Torino, ormai un tempo indefinito fa.

Pubblicità

Dormirci sopra non mi è servito. Semplicemente perché ho voglia di svegliarmi, perché questa è ormai andata e perché da oggi si pensa alla prossima, perché ho voglia di guardare in faccia con concretezza a ciò che ci aspetta da oggi in poi: un campionato da vincere con la Lazio che ci sta appollaiata sulla spalla, e una Champions League fatta di partite secche che non sono mai state il nostro fiore all’occhiello.

Cosa mi porto a casa: il presidente Agnelli che premia coloro i quali hanno giustamente aggiunto alla loro bacheca un trofeo. Gli occhi di Rino Gattuso.

Ma soprattutto, un quarantaduenne che sa ancora sognare, e sa farlo ad occhi aperti.

Pubblicità

in evidenza