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ESCLUSIVA #LBDV – Nappi #ACasaConVlad: “In Cina esiste la meritocrazia. Futuro campionati? Chiudere tutto”

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Ospite d’eccezione quest’oggi, nel corso di #ACasaConVlad, è Marco Nappi, ex calciatore di Genoa ed Atalanta, tra le altre, e che oggi lavora nell’Academy del club cinese Bsu Beijing.

Nappi ha rilasciato alcune dichiarazioni nel corso della diretta Instagram, ripercorrendo la sua carriera e trattando temi di grande attualità.

Di seguito l’intervista completa:

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Come stai vivendo questo periodo così complicato? Ricordiamo che, lavorando proprio in Cina, vivi questa situazione in maniera ancora più particolare.

“Lavoro da qui, tutte le mattine trovo un report da compilare e mandare lì. In Cina ancora non hanno riaperto l’Academy perché vanno di pari passo con le scuole. So che tutte le altre squadre di Super League (campionato Cinese, ndr.) si stanno allenando. Il popolo cinese è molto ligio al dovere, e nonostante questo c’è ancora incertezza sulla ripresa. Ma ne stanno uscendo molto bene e prima rispetto a noi”.

Sei romano di nascita, ed in quanto tale sei sbocciato nel calcio giovanile romano. Prima un passaggio nella Lazio e poi l’esperienza all’Urbe Tevere che ti lancia nel professionismo.

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“Ho fatto quattro anni alla Lazio, ma loro mi mandarono a casa perché dicevano che fossi debole fisicamente. L’anno all’Urbe Tevere è stato il trampolino di lancio col Cesena. Ancora oggi è una realtà sta facendo bene, ed infatti molti giocatori giovani della Primavera della Lazio arrivano da lì”.

Inizialmente hai giocato nell’Interregionale, che corrisponde all’attuale Serie D. All’epoca era una categoria complicata.

“Giocavamo in campi complicati e tosti. In quegli anni nell’Interregionale non c’era la regola dei giovani e c’erano giocatori molto esperti in ogni squadra”.

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Riesci a fare il salto e vai all’Arezzo, squadra con buone individualità. Società che saltuariamente andava in B, ma molto solida. Tutti ricordano quel giovane veloce che scardinava le difese.

“Le mie caratteristiche erano quelle: ero molto veloce e avevo una bella tecnica anche in velocità”.

Sulla stagione del primo approdo al Genoa:

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“Fu una stagione fantastica, soprattutto per me che venivo dalle categorie minori. Il Genoa è il primo club della storia del calcio italiano e quando ho firmato c’erano molti tifosi. Cominciammo il campionato con Scoglio in panchina, che scatenò entusiasmo. Il Professore era un allenatore moderno. Adesso stanno mettendo in pratica quello che lui ha introdotto trenta anni fa. Era intelligente ed è un allenatore che anche adesso avrebbe fatto molto bene”.

Su capitan Signorini:

“Quando entrava in campo aveva un carisma impressionante. Ci dava sicurezza, ne nascono pochi come lui nel calcio. Lo vedevamo come un mostro, era una sicurezza per tutti”.

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Com’è vestire maglie di società storiche, quale quella del Genoa o, per fare un altro esempio, quella di club come il Torino?

“Sono piazze molto calorose. Dietro a queste due squadre ci sono delle storie importanti e ti trasmettono qualcosa di anormale. Oggi non è più lo stesso perché oggi un calciatore non ha più la passione di una volta. E’ cambiato l’approccio con la tifoseria e con il valore simbolico della maglia. I tifosi ti danno la forza di dare di più, perché vedevi i loro sacrifici ed è giusto ricambiare quell’amore che ti riservano”.

La stagione finisce con la promozione in A. L’anno dopo vai a Brescia. Ti è dispiaciuto non giocare quell’anno in A con il Grifone?

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“Parecchio, è stata una cosa strana. Avevo fatto un campionato strepitoso, la gente mi amava e ciononostante dopo una settimana mi sono ritrovato di nuovo in B. Come ho sempre fatto, sono andato lì e mi sono messo a lavoro senza mollare”.

Al Brescia incontri Alessandro Altobelli: che ricordi hai di lui?

“Ho un ricordo bellissimo. Lì a Brescia abitavo da solo e lui mi portava con lui in giro. E poi era un calciatore immenso”.

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Ad ottobre passi alla Fiorentina, dove debutti con mister Giorgi.

“Mi ha voluto proprio il mister a Firenze, è stata una cosa fantastica. Due settimane prima vidi la partita Fiorentina – Atletico ed ero incredulo sull’opportunità presentatasi. Firmai subito senza rifletterci più di tanto”.

La stagione in campionato fu così e così, mentre il cammino in Coppa fu entusiasmante. A tal proposito, come non ricordare il tuo grande gol contro il Werder Brema ed il gesto tecnico della foca.

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“È un gesto tecnico che mi venne spontaneo e che mi tengo dentro con tutto il cuore”.

Passiamo alla doppia finale contro la Juventus: quanto ha pesato giocare il match di ritorno nel campo neutro di Avellino?

“Io sono uno che dice quello che pensa, e dico che fu una finale stranissima. All’andata venne convalidato il gol 2-1 per la Juventus con un fallo nettissimo visto anche dal più lontano da tutti. E a ciò seguirono tante polemiche. E poi la cosa strana è stata giocare ad Avellino: perché giocare lì piuttosto che a Bologna o Perugia? Tant’è che quella partita finì 0-0, non fu entusiasmante”.

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In quell’anno ci fu l’esordio in panchina di un giovane Ciccio Graziani, che subentrò a mister Giorgi. Com’è andata?

“Ci furono un po’ di complicazioni. Giorgi è un signore, e nel calcio persone come lui ce ne sono poche. Era l’emblema della serietà e della professionalità. Non si capì il motivo di quel cambio, ma sono scelte che una società di calcio compie”.

L’estate che seguì fu molto complicata, con quel passaggio di Baggio alla Juventus che destò tantissime polemiche nella piazza Viola.

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“Il tutto é stato un po’ gestito male, perché per me Baggio era già della Juventus da tempo. Roberto per Firenze era un idolo incontrastato ed i tifosi si sono sentiti un po’ traditi. Non li condanno ma è normale che ad un certo punto ci vuole una linea un po’ più neutra. Loro fecero quello che gli passava per la testa, ma era una reazione a caldo”.

In quell’anno arriva Lazaroni in panchina: come fu l’impatto con lui?

“Col mister non avevo un grande feeling. Preferiva far giocare Lacatus, altro validissimo calciatore, ma non fu un buon momento per me. Eravamo a Cagliari e mi ricordo che, a margine di una riunione tecnica, mi disse che ero fuori ancora una volta, senza motivo. E io gli dissi: “Qua hai trovato l’America” (ride, ndr.)”.

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Il ricordo di Borgonovo, per il quale hai organizzato una serata a scopo benefico:

“Tanti ricordi mi legano a lui. Questa brutta malattia mi ha portato via sia lui che Signorini. Sono ricordi belli per le persone che erano, ma nello stesso tempo brutti perché non ci sono più. La cosa più bella è che a Genova abbiamo costruito quattro stanze complete per malati terminali di SLA. Ho dato tanto sostegno anche alla fondazione Borgonovo e ne vado fiero”.

L’anno finisce con solo quattro gol all’attivo e vai ad Udine. Con la squadra friuliana arrivi alla promozione in Serie A, anche se il minutaggio con Bigon non fu elevato

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“Quella era una Serie B di altissimo livello, con tantissimi calciatori forti. Tanti mi chiedono perchè ho cambiato tante società. Non è che litigavo con la squadra o la società, ma ho quasi sempre scelto io di andare via. Andavo a duemila allora negli allenamenti e a volte assistevo a scelte che non vedevo di buon occhio. A quel punto preferivo andare in B e rimettermi in gioco, piuttosto che rimanere senza particolari motivazioni”.

Dopo il Friuli arriva la SPAL, squadra che ha un pubblico caloroso.

“A Ferrara ho disputato 22 partite e realizzato 10 gol. La curva che ha la SPAL è una cosa impressionante: ce l’hai sul collo e ti danno una carica fantastica. E’ una grande piazza per giocare. Lì condizionò anche il processo di Mani Pulite del ‘91: il presidente venne indagato e a quel punto si ruppe qualcosa. Siamo rimasti fino all’ultimo per lottare ma non ci andò bene. Mister Fabbri? Era un grande. Durante la settimana ci faceva fare la battaglia del grano, ovvero due ore e mezza di partita in allenamento ad alto livello. Non nascondo che arrivavamo a fine allenamento che non ce la facevamo più (ride, ndr.)”.

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Torni a Genova, dove finalmente riesci a stare un po’ fermo. In quell’anno fai coppia con Skuhravy: cosa ci puoi dire di lui?

“Il mio rammarico è di non aver giocato con lui quando era al top della forma. Non ha giocato moltissimo per un problema al ginocchio. Nella sua carriera avrebbe potuto fare molto di più”.

Stagione ’95-’96, impresa di portare a casa la Coppa Anglo-Italiana. Che emozione è stata?

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“È stato veramente bello alzare quella coppa, aveva tutto il gusto della Champions. L’ambiente in Inghilterra è un qualcosa di unico, con quei tifosi che sono praticamente attaccati al campo di gioco. Avevamo al seguito tanti tifosi rossoblu, e fu una soddisfazione per tutti noi”.

In rossoblu hai avuto modo di giocare con Montella: quanto è stato sottovalutato, anche in chiave Nazionale?

“Si vedeva che Vincenzo era forte, infatti segnava già a raffica. Posso dire che non ha fatto tantissime cose perché stare in Nazionale prima era complicato. Io stesso sono stato ugualmente contento di vederla dalla tv e non ho particolari rimorsi di averci giocato. Prima il livello era altissimo e non si potevano sostituire certi calciatori. Se giocassi oggi, posso dire tranquillamente che qualche presenza l’avrei fatta”.

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Su Carmelo Imbriani:

“Era un ragazzo vero, dire altre cose non avrebbe senso. Era simpatico e ci siamo trovati bene tutti con lui”.

Sulla stagione ’98-’99:

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“In quell’anno tutto il gruppo storico della squadra si trovò fuori rosa, senza apparente motivo. La squadra andò in ritiro ed io rimasi con altri miei compagni a Pegli ad allenarci. In quell’anno fortunamente arrivò Cagni che ci reintegrò in squadra. Così facendo ci salvammo a fine anno. Cagni era uno tosto e che ti dava tanta spinta, anche se era molto severo. Ci controllava anche a tavola”.

Molta gente nel mondo del calcio paga l’essere genuini? Tanti sono gli allenatori italiani che sono costretti ad andare, come te, all’estero.

“Io sono stato costretto. La mia storia è anche strana: dopo aver vinto la Berretti a Livorno mi sono trovato fuori occupazione. Mi accusarono di pensare solo ai risultati senza pensare alla crescita dei giovani, cosa che in realtà è impensabile visto quanto fatto. Noi allenatori facciamo fatica perché molti non sono sul carro giusto. Con me gioca chi pedala e chi mi dimostra, e non esiste che qualcuno debba impormi delle cose. In Cina invece c’è la più pura meritocrazia. Se centri gli obiettivi vieni sempre premiato, e se fallisci vieni spedito a casa. E’ il nostro mestiere e deve essere così.

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Che organizzazione avete nella vostra Academy?

“È tutto all’avanguardia: abbiamo dieci campi, una palestra per 1000 mq con macchinari mai vista prima. L’accademia è formata da tante categorie e da tanti atleti di altre discipline. Nella nostra Academy ci sono migliaia di ragazzi”.

Il campionato Cinese ha cambiato la sua filosofia in merito al mercato interno, anche con le nuove limitazioni sul mercato?

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“Io ho sempre detto che la Cina non deve spendere i fior di milioni per i calciatori che vanno lì a fine carriera. Tutti quei milioni vanno investiti nei settori giovanili. Sembra che questo lo stiano iniziando a capire, come le nuove regole”.

L’allenatore al quale ti ispiri?

“Mi ispiro a Scoglio. In materia di calci piazzati, copio moltissimo lui. Posso dire che sono stato contento di aver cambiato tantissime squadre ed allenatori perché posso attingere da ciascuna esperienza in termini di pregi e difetti. In particolare avrei voluto essere allenato da Vavassori a 20 anni e non a 30. Lui lavorava benissimo con i giovani”.

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Sul modello Atalanta:

“L’Atalanta ha avuto una crescita fantastica e sta raccogliendo i frutti di un lavoro partito venti anni fa. È un modello che in Italia devono seguire”.

Sulle ultime esperienze da calciatore, tra cui quella di Como:

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“Ho avuto modo di vincere un’altra Serie B a Como, dopo di che sono rimasto nel calcio seppur in categorie minori. Ho giocato finché ho potuto, e ho preso il patentino di UEFA A subito dopo aver smesso di giocare”.

C’è una piazza in cui ti sarebbe piaciuto giocare? Magari proprio la Roma…

“Sì, in effetti è una squadra che mi manca. Andavo nella Sud da piccolo e ho visto quasi tutte le partite. In un post partita incontrai il presidente Viola che mi chiese: “signor Nappi, ma lei di dov’è?”. Quando dissi che ero di Roma, si rivolse ad uno dei suoi collaboratori e gli disse: “Hai visto? I calciatori bravi nostri li facciamo andar via”. Quello per me è stato il complimento più bello che abbia mai ricevuto”.

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Ci sono possibilità che il calcio riparta in Italia e nel resto di Europa? Ci sono un po’ di polemiche a riguardo, che forse lasciano il tempo che trovano.

“Io ho paura. Sento i ragazzi in Cina che dicono di avere ancora paura. Sono cinquanta giorni che siamo chiusi in casa. Il calcio quest’anno per me deve chiudere, anche annullando tutto. Come farebbero i tifosi a godere di un campionato del genere? Come si fa a giocare in un Olimpico tutto vuoto? Il campionato diventerebbe falsato. Per me il calcio deve cogliere l’occasione di fare piazza pulita: i presidenti che non hanno i soldi, non devono stare nel calcio, perché tutti gli anni falliscono mille società, falsando le stagioni. Prendiamo spunto dall’Olanda e dal Belgio dove non ci sono né vincitori e né vinti. Sarebbe preferibile sapere che la società inizia a lavorare per il nuovo campionato. Qualcuno vuole giocare per far distrarre le persone, ma qui sono morte 25000 persone, è assurdo. Dobbiamo pensare alla salute e non ci devono essere alcune polemiche, perché il calcio non può ripartire. Che nessuno dall’alto illuda il movimento calcio”.

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