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A(F)FONDO – Razzista è chi il razzista fa

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PSG Basaksehir

Razzista è

L’episodio avvenuto martedì scorso, durante la partita di Champions League tra PSG e Basaksehir, è ormai arcinoto.
Parrebbe che il quarto uomo, tal Sig. Coltescu, abbia indicato all’arbitro il viceallenatore della squadra turca, il camerunense Webo, proferendo più volte le parole “ala negru”.
E scatenando l’ira di Demba Ba, che ha percepito come razzista l’espressione usata dall’assistente di gara.
L’attaccante senegalese ha quindi elevato vibranti proteste e richieste di chiarimento, fino ad essere espulso per l’eccesso di veemenza.

Chi il razzista fa

Il quarto uomo si è difeso sostenendo di avere utilizzato una espressione che in romeno significherebbe soltanto “quel nero”, senza dunque alcun intento razzista.
Demba Ba ha ribattuto prontamente, chiedendo a più riprese e con forza il perché del riferimento al colore della pelle nel caso dei neri e non nel caso dei bianchi.
Coltescu ha farfugliato qualcosa di poco comprensibile in risposta.
Demba Ba ha invitato, a quel punto, le squadre a lasciare il campo.
Risultato: le squadre vanno negli spogliatoi e si rifiutano di tornare in campo con gli stessi arbitri; la UEFA del “No to Racism” avvia una inchiesta interna, sospende la partita e poi la rinvia al giorno successivo, facendola disputare in via del tutto straordinaria con una differente squadra arbitrale.

La difesa d’ufficio

Coltescu ha continuato, anche dopo l’episodio, a ripetere che nelle sue parole non v’era alcun intento razzista, e che “negru” in romeno indica soltanto il colore della pelle, senza alcuna accezione dispregiativa.
Come oramai spesso accade in questi casi, si sono subito levati gli scudi dei “pensatori critici” a condannare “ipocrisia” e “buonismo”, che paiono assurgere a nuovi mali del mondo.
Spuntano ipotetici nuovi audio.
L’episodio finisce, come sempre, ridimensionato, e tutto passa in cavalleria.

Le parole inchiodano

Che vi sia stata negli anni una esasperazione della attenzione agli episodi di razzismo nella vita pubblica è fuor di dubbio.
Che questo sia divenuto uno svantaggio, più che un vantaggio, per chi subisce il razzismo è sotto gli occhi di tutti.
Ma non si può derubricare sempre tutto sotto le voci ipocrisia e buonismo.
Le parole pesano, inchiodano.
Se vengono pronunciate, hanno un senso preciso, e possono acquistarlo anche in base alla percezione altrui.
Se si tratta di episodio pubblico, anzi, conta di più la percezione altrui, che non il presunto senso dato alle parole da chi le pronuncia.
Perché un assistente di gara, durante una partita di Champions League e non del Torneo Copacabana, dovrebbe o potrebbe utilizzare il termine “quel nero” per indicare il viceallenatore di una squadra?
Perché non indica il giocatore bianco come “quel bianco”, se davvero vuole usare il termine soltanto per distinguere (sulla panchina della squadra turca sedevano almeno tre diversi giocatori di colore)?
E allora, le parole utilizzate da Coltescu vanno giustamente condannate dalla UEFA (nemmeno si accennerà al discorso professionalità dell’assistente, sulla cui totale assenza mi pare vi siano opinioni diffusamente concordi).
E la condanna può anche essere ipocrita o buonista.
Chissenefrega.
E’ giusta.

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Razzista è chi il razzista fa

Parafrasi di una delle frasi emblematiche di un famoso film con Tom Hanks.
Il punto è, cari miei, molto semplice.
Chiedetevi se, in un contesto lavorativo e non al bar sotto casa tra amici (perché poi anche il contesto e quindi il relativo codice contano), utilizzereste il termine “quel nero” per indicare un altro lavoratore di cui non conoscete il nome.
Io lo indicherei dicendo “quello lì”, per esempio.
Se sentissi, invece, l’esigenza di indicare l’altro utilizzando il colore della pelle come discrimine, io due domande me le farei.
Al bar con amici forse cambierebbe qualcosa, ma non parliamo del Bar Sport.
Le parole contano.
Razzista è chi il razzista fa.

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