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Pogba: Affari o affetto?

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Pogba Francia
Tempo di lettura: 3 minuti

Dalla Treccani alla voce “cérchia”: “Giro, cerchio e particolarmente la cinta delle mura che circonda una città o un castello”.

Pertanto, l’espressione una “cérchia di amici” indica un gruppo di persone che gravitano intorno ad una determinata figura.

Ma la circondano per sostenerla, per proteggerla dai pericoli esterni o gli interessa solo isolarla per condizionarla?

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Nell’ambiente del calcio si usa il termine “entourage” per identificare il seguito di un atleta famoso.

Vari personaggi, sempre a fianco del campione del momento.

Spesso privi di un titolo di studio o competenza professionale. La loro unica qualifica per far parte dello staff è quella di essere un parente o amico d’infanzia.

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Un legame emotivo tramutato in rapporto d’interesse.

Affari o affetto?

Antidoto alla nostalgia

L’identikit del calciatore di successo è sempre uguale: un ragazzo inesperto, immaturo, spesso costretto a risiedere, per lavoro, in un ambiente molto diverso da quello in cui è cresciuto.

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La recisione delle proprie radici è un trauma, la nostalgia di casa un problema anche dal punto di vista professionale. Capace anche di compromettere una carriera.

L’unico rimedio  possibile è ricreare nel nuovo ambiente un clima familiare circondandosi di persone care.

Parenti ed amici disposti anche a valicare un Oceano e a stravolgere la propria esistenza pur di stare vicino alla persona amata. Ma se, invece non avessero avuto nulla da perdere nel trasferimento?

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Se fossero disposti a seguire il campione anche in capo al mondo solo perché la loro sopravvivenza dipende esclusivamente dalla sua generosità? Non sarebbe più una questione di sentimenti ma puramente economica.

Affari o affetto?

L’esempio più eclatante

Il primo nome che viene in mente è quello di Diego Maradona.

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E’ noto che il suo primo agente, Jorge Cyterszspiler era un suo amico d’infanzia.

Giusto un paio d’anni più grande del Pibe, studente d’Economia, nessuna esperienza lavorativa, conoscenza approssimativa dell’ambiente del calcio.

Eppure la famiglia Maradona lo aveva scelto come procuratore preferendolo ai più quotati professionisti del settore.

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Con l’esplicito consenso di Diego, per nulla turbato dalla prospettiva di affidare i suoi interessi ad uno che, fino al giorno prima, al massimo gli pagava la pizza.

L’importante era poter contare in pieno sulla fedeltà di Jorge che, dal canto suo, si era improvvisato manager della più grande promessa del fùtbol mondiale con assoluta incoscienza. Era sicuro che Diego avrebbe fatto comunque mirabilie in campo, al di là di ogni eccesso nella vita privata.

Riteneva che il suo compito fosse solo quello di enfatizzarne le gesta sui media per spuntare una cifra più alta sul contratto ad ogni annata. Con l’ovvio aumento della sua percentuale, da bravo amico con la mentalità dell’amministratore. Affari o affetto?

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La banda degli argentini

Fino a quando Maradona rimase in patria le lacune nella sua gestione furono ininfluenti. Ma esplosero immediatamente dopo il suo trasferimento in Spagna, al Barcellona.

La dirigenza blaugrana aveva assecondato le richieste d’ingaggio di Jorge, persuasi che il rendimento del campione avrebbe fruttato numerosi trofei e compensato largamente l’investimento.

Non avevano tenuto conto, però, del fatto che Diego avesse voluto colmare la distanza con Buenos Aires trascinandosi dietro tutta la sua famiglia. Una banda di argentini chiassosi ed invadenti aveva preso dimora nel capoluogo catalano atteggiandosi a padroni.

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Dopo vari scontri ed incomprensioni con gli abitanti del luogo (nonché con la polizia) nessuno dei dirigenti del Barca era disposto a sopportare oltre la permanenza dei sudamericani, Maradona compreso.

Infatti la sua presenza, resa sporadica da infortuni vari, non aveva fatto lievitare il numero di trofei in bacheca. In compenso la sua vita disordinata aveva condizionato molto le sue prestazioni. Jorge, incapace di frenare le intemperanze del suo assistito, era stato costretto a trovare in fretta una nuova squadra per l’amico, la cui carriera sembrava essere in stallo.

Ci si doveva riprendere in fretta, nell’interesse di Diego e di tutti quelli che dipendevano da lui. Affari o affetto?

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Echi dal passato

Le pause di Maradona a Barcellona, corredate da incomprensioni e divergenze sulle terapie per il recupero, fanno il paio con quelle che hanno visto protagonista Paul Pogba.

Anche la mezzala francese, di ritorno alla Juventus dopo sei anni a Manchester, ha visto la sua carriera infrangersi a causa di un farmaco consigliatogli da un amico dottore. Quest’ultimo, del tutto estraneo allo staff medico della sua società, gli ha fatto assumere una sostanza medicinale contenente sostanze dopanti.

Inevitabile lo stop ai test, altrettanto la maxi squalifica di quattro anni che, per un atleta di 31 anni, mette una pietra tombale sul prosieguo dell’attività agonistica. E la storia personale del ragazzo è costellata di episodi similari.

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Echi da un passato poco chiaro, su cui c’è la pesante ombra di amici e parenti dalla moralità controversa, più interessati a lucrare sui successi professionali di Paul che a tutelarne l’integrità. Un clan capace di influenzare a tal punto il calciatore da spingerlo ad accettare una terapia conservativa per guarire da un infortunio al ginocchio in aperto contrasto con il parere dei sanitari bianconeri.

Risultato? Operazione comunque indispensabile, recupero a singhiozzo, Mondiale evaporato e campionato saltato quasi per intero.

Tutto per dare retta a chi dovrebbe starti accanto per amore e non per vantaggio.

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Affari o affetto?

(Foto: Depositphotos)

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