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Angolo del tifoso

Angolo Napoli – Meglio feriti che morti

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Rudi Garcia Napoli
Tempo di lettura: 4 minuti

Succede nello sport, come nella vita, che i limiti diventino ostacoli per i pessimisti ed orizzonti per quelli che – al contrario – sono abituati quotidianamente a guardare il bicchiere mezzo pieno.

Dopo la sosta, infatti, il Napoli di Rudi Garcia era chiamato ad una prova di forza e di carattere, utile a scacciare i fantasmi del secondo tempo contro la Lazio che aveva improvvisamente trasformato – nell’opinione dei più – la corazzata campione d’Italia in una squadra da metà classifica.

A Marassi, invece, gli azzurri hanno continuato a (non) giocare come nei quarantacinque minuti in cui – un paio di settimane fa – la Lazio di Sarri al Maradona sembrava il City di Guardiola. Senza soluzione di continuità, mantenendo la colpevole distanza tra i reparti, continuando a lanciar lungo senza costrutto centrale, invertendo Anguissa con Lobotka e lo slovacco col camerunense ed evidenziando un’imbarazzante difficoltà al centro della difesa dove – soprattutto Juan Jesus – è stato sistematicamente messo in affanno, persino al di là dei propri limiti.

Alla fine è stato 2-2, col pareggio che rimane la migliore notizia di giornata, insieme alla capacità dei singoli di andare in autogestione negli ultimi 20 minuti e riprendere un risultato che pareva compromesso. Raspadori e Politano (imbeccato in maniera sublime da Zielinski) hanno messo a referto due prodezze individuali, ma non sono riusciti a cancellare le scorie di un match dove il Napoli è apparso involuto e sotto tono, poco determinato e per niente organizzato, nonostante – al contrario – una positiva prova dei padroni di casa.

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Rudi Garcia vive la croce ed il tormento di ogni allenatore che sostituisce qualcuno che tanta gioia ha regalato ad uno spogliatoio, ad una città ed all’universalità dei propri tifosi. Dinanzi alla scelta di continuare da dove si era lasciato o di cambiare radicalmente approccio e organizzazione tecnico-tattica, ha deciso – ad oggi – una via di mezzo, ibrida condizione di chi, dopo quattro partite, non è ancora né carne né pesce.

Con tante attenuanti, ma anche con una colpa assai grave: quella di non aver ancora ben compreso che in campo per i Campioni d’Italia devono andare Osimhen, Kvaratskhelia ed altri nove, con i primi due che devono uscire prima del triplice fischio solo se incapaci di reggersi in piedi, nel rettangolo di gioco anche se con una gamba sola ed in deficit di ossigeno. Si sta impegnando un bel po’, soprattutto con le dichiarazioni post-gara, l’allenatore francese a polverizzare in poco tempo aspettative e credibilità che gli sono dovute per contratto, abitudine e inevitabile ottimismo in un contesto dove si è stravinto dominando l’anno scorso e si è cambiato solo quel che non si poteva evitare di cambiare.

Dell’anticipo del sabato sera rimane – quando ormai è domenica da un po’ – un punto guadagnato e la certezza che far peggio di così è complicato, col desiderio che da oggi in poi non potrà che andar meglio.

Magari come accadde un anno fa, dopo Napoli – Lecce, quarta giornata caratterizzata da un pareggio con una neopromossa scialbo e inguardabile così come – per larghissimi tratti – è parso Genoa – Napoli appena trascorso.

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1-1 l’anno scorso in casa, 2-2 quest’anno in trasferta. Che possa esser d’auspicio, raddoppiando le gioie dopo che si sono ripetute le ansie e le preoccupazioni.

Nessuna persona sana di mente può pensare di chiedere agli azzurri di ripetere le mirabilie della stagione appena trascorsa, doveroso – però – è provarci sudando la maglia e recuperando energia, carattere, determinazione, convinzione di sé e voglia di continuare a stupire.

In quest’ottica, anche a Genova, “meglio feriti che morti”. Facendo tesoro degli errori e, magari, non ripetendoli mai più. Pensando, a far data da metà settimana, che “talvolta è meglio perdersi sulla strada di un viaggio impossibile, che non partire mai”.

(Foto: Depositphotos)

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