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NUMERO 14 – Una seconda occasione

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“Trapattoni, adesso spiegami questa storia di Benetti. Ha già giocato da noi un bel po’ di anni fa e non si è mai sentito di un calciatore che va via dalla Juve e poi ci ritorna. È la nostra politica. Se l’abbiamo lasciato partire avevamo i nostri motivi. E poi, suvvia, Capello è un artista del pallone. Uno che ha del genio. Benetti mena come un fabbro e non ha niente né dell’artista né del genio”. Il neo allenatore della Juventus ascolta i rilievi fatti dal Presidente bianconero Boniperti sull’acquisto che gli ha appena suggerito. E insiste per avere in organico il trentunenne mediano del Milan. Al posto del trentenne regista Capello, pilastro della squadra e idolo dei tifosi.

Qualche anno prima

Sulla vicenda Boniperti ha detto il vero: Romeo Benetti ha già indossato la maglia bianconera. Per una solo anno (torneo 1968-69) e senza destare grande impressione. A fine campionato l’allenatore Heriberto Herrera aveva fatto sapere ai dirigenti che si poteva fare a meno di lui. E la vecchia guardia dello spogliatoio (il capitano Castano, il libero Salvadore e i due stranieri Del Sol e Cinesinho) aveva appoggiato la decisione del tecnico. Troppo schivo e taciturno quel ragazzo veneto per avere la simpatia dei senatori della squadra. Troppo indolente negli allenamenti per entrare nelle grazie del mister, profeta del perpetuo podismo atletico. Anche se i numeri erano dalla sua parte (33 presenze, cinque gol) Benetti era stato, quindi, ceduto senza rimpianti alla Sampdoria. E’ vero che negli anni successivi, prima con la maglia blucerchiata e poi con quella rossonera, si era costruito una solida carriera che l’aveva portato sino in nazionale. Ma aveva trovato la sua dimensione come arcigno mediano di copertura, dedito più a spezzare le trame di gioco altrui che ad impostare l’azione per la sua squadra. Inoltre, il suo furore agonistico gli aveva procurato la fama di picchiatore, con il culmine di una querela penale per lesioni gravi dopo che, con un duro intervento, aveva stroncato il ginocchio di un avversario.

Fiducia cieca

Boniperti argomenta che un simile mastino non può sostituire un raffinato architetto di gioco come Capello. Trapattoni ribatte: Benetti l’ha allenato per un anno, lo conosce bene e assicura che è fortissimo. Con lui in squadra si può puntare a vincere tutto. Il presidente juventino cede  di fronte a tanta determinazione. Mette subito in moto i suoi contatti, non sarà un problema imbastire lo scambio di giocatori con il Milan. E dopo che se la sbrogli il giovane tecnico: lui ha garantito per Benetti, puntandoci sopra ad occhi chiusi, lui ne risponderà in prima persona in caso di fallimento. Dal canto suo Trapattoni ridacchia soddisfatto. Ha ottenuto il calciatore che voleva, perfetto per il tipo di gioco che ha in mente. L’idea che ha Boniperti di Benetti ha la stessa valenza di una immagine sfuocata. Nel suo breve periodo come tecnico milanista ha lavorato con il baffuto mediano ogni giorno. Il tempo ha smussato gli spigoli caratteriali e l’allenamento quotidiano ha piallato i limiti tecnici. Solo il  piglio da combattente è rimasto intatto, anzi si è rinvigorito. Sarà la chiave del suo centrocampo.

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Una squadra di guerrieri

Alla Juventus c’è fame di rivincita. Il campionato appena concluso ha visto la vittoria del Torino, i bianconeri si son dovuti accontentare del secondo posto. E la  beffa è stata doppia: non basta il piazzamento d’onore, hanno dovuto subire pure l’onta del sorpasso dei granata nella supremazia cittadina. Un duplice affronto all’orgoglio della società, da cancellare immediatamente con una schiacciante vittoria. Boniperti ha affidato la missione al neo reclutato tecnico, lui ha voluto un soldato di sicuro affidamento per questa battaglia. E anche in buona compagnia: la linea mediana della Juventus vede schierati il capitano Furino, il giovane tuttofare Tardelli e il feroce Benetti. Un trio  in grado di reggere l’urto di qualsiasi centrocampo avversario  per poi spezzarne le trame di gioco e rilanciare l’azione verso i piedi fatati del Barone Franco Causio, il miglior trequartista sulla piazza. A lui il compito di farlo arrivare agli attaccanti. E quando gli avversari gli si stringono troppo attorno ecco che il guerriero Benetti sfodera una galoppata da purosangue, travolge chi lo contrasta e punta a rete in prima persona.

Campionato e Coppa

E se lo scudetto è un obiettivo importante la Coppa Uefa non lo è da meno. Da tempo i dirigenti soffrono di un mai dichiarato complesso nei confronti delle rivali milanesi. Loro possono vantare, sin dai primi anni Sessanta, dei succesi in Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale, la squadra torinese non ha alcuna vittoria in una competizione internazionale. E’ tempo di rimediare, questa può essere la volta buona. Il cammino in Europa dei bianconeri è lineare, ad alcune battute d’arresto nelle gare d’andata in trasferta fanno sempre da contrappunto dei rotondi successi tra le mura amiche del Comunale. Benetti dirige le operazioni a metà campo con esperienza, incute timore agli avversari come sempre e da il suo contributo alla conquista della finale anche con due reti. La vittoria in trasferta contro gli spagnoli dell’Athletic Bilbao, con la conquista della Coppa, precede di soli quattro giorni la partita decisiva per lo scudetto. Si gioca a Genova, contro la Sampdoria, la patria adottiva di Benetti. Il roccioso centrocampista, infatti, da tempo ha la residenza a Chiavari, località balneare poco distante dal capoluogo ligure. Ai tempi del suo esilio dalla Juventus non ci avrebbe mai pensato a fermarsi, adesso è come se ci abitasse da sempre. Il successo contro la Samp (0 – 2) e il susseguente scudetto è anche il trionfo di Benetti. Quello che non era ritenuto adatto alla Juventus, quello che ha saputo sfruttare nel migliore dei modi una inaspettata seconda occasione.

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