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ESCLUSIVA #LBDV – Luiso a #ACasaConVlad: “Quella volta che dissi di no al Milan. Il calcio deve credere nei giovani”

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Grande ospite quest’oggi per il nostro appuntamento social #ACasaConVlad.

Parliamo di Pasquale Luiso, ex bomber di Vicenza e Piacenza, tra le altre, che ha rilasciato alcune dichiarazioni nel corso della diretta Instagram.

Di seguito riportiamo l’intervista completa.

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Hai iniziato a livello giovanile ad Afragola, anche se c’erano società più grandi che all’epoca ti cercavano: come mai questa scelta?

“Il vero settore giovanile, come si fa adesso, non l’ho mai fatto. Come tanti ragazzi dell’epoca, giocavo per strada, frequentavo un’associazione sportiva dove venni visionato da tanti club, tra cui l’Afragolese che mi volle più di tutti. A quel punto, feci questo tipo di ragionamento: andare in una realtà piccola, come quella dell’Afragola, dove potersi mettere in mostra, sarebbe stato sicuramente più produttivo, piuttosto che andare in una realtà magari più grande e avere poco spazio”.

Dopo l’Afragolese è arrivata la volta di Sora: anni con tantissimi gol e salti di categoria. Che periodo è stato per te?

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“Successe che l’Afragolese andò in fallimento ma il Sora mi visionò già in precedenza in alcune amichevoli. Una mattina mi chiamò a casa proprio mister Di Pucchio. Mi incontrai con i dirigenti e quella scelta si è rivelata poi la mia fortuna. Lì ho capito che il calcio sarebbe diventato il mio lavoro”.

Il passaggio al Lecce:

“Dopo il primo anno in cui feci sedici gol in C2, il Mister, insieme alla dirigenza, mi avvisò della possibilità di andare in ritiro con il Lecce ed io accettai. Nell’ultimo giorno di preparazione, il direttore dei salentini mi chiamò da parte e mi disse: “A noi sei piaciuto, però c’è un problema: se fallisce il Catania, prendiamo Russo a zero”. Mi era caduto il mondo addosso, ce l’avevo con il Sora che non mi lasciava andare via in prestito. Alla fine, il Catania fallì, fu preso realmente Russo e ritornai a Sora con alcuni malumori. Di Pucchio mi chiese di resettare e ripartire. All’inizio non fu semplice, perché essere contestati non è mai bello, ma feci ventidue gol in quella stagione e così facendo mi feci perdonare”.

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L’esperienza nel Torino:

“Calleri venne a Sora a trovare un amico e venne a vedermi allo stadio. Rimase colpito e disse che mi avrebbe voluto subito, qualora si fosse accasato al Torino. Ricordo ancora quando andammo a firmare l’accordo e ci chiese di far rimanere tutto sotto traccia. Lì, mi sono ritrovato davanti attaccanti davvero forti, tant’è che chiesi di essere ceduto. Nel frattempo, debuttai in Serie A e questo mi rende ancora orgoglioso perché mi sono presentato nella massima serie con una maglia del genere”.

Sulle parentesi di Pescara e Avellino:

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“A Pescara fu una bella stagione, segnai otto goal e riuscimmo a salvarci. Poi passai all’Avellino che aveva appena vinto la C1, una piazza clamorosa. Ed a questo è legato un retroscena di mercato che vi racconto. Il Torino, inizialmente, cedette la mia comproprietà al Chievo. Io mi presentai in ritiro ma non volevo stare lì. Nel frattempo il mio procuratore mi parlò di un interessamento dell’Avellino e io feci di tutto per andarci. Alla fine, ci riuscii ma il Chievo si tenne la comproprietà. Dopo la valanga di gol in Irpinia, Sartori, DS del Chievo, furbescamente decise di riscattare la comproprietà dal Torino, facendo incassare proprio alla società veronese i cinque miliardi della mia cessione al Piacenza.”.

Sul Presidente Sibilia:

“E’ una grandissima persona, gli volevo davvero bene. A lui è legato il retroscena sull’esultanza della macchina: eravamo in ritiro, prima del match in Coppa Italia contro la Juventus, e quella sera mi promise un’auto nuova qualora avessi fatto quindici gol quell’anno. Raggiunsi quella quota nella partita contro la Pistoiese e quindi pagò il pegno, seppur solo per qualche giorno (ride ndr).

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Sul passaggio a Piacenza:

“Venivo dai diciannove goal con l’Avellino e ne feci quattordici. Era una grande squadra. Mutti fu molto bravo con me e con gli altri, nonostante fosse la sua prima esperienza in A. Fu coraggioso a lasciare in panchina uno come Tentoni per dare spazio a me. Il Mister poi andò al Napoli, dove il mio fu il primo nome che indicò”.

Sullo spareggio contro il Cagliari:

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“Giocammo al San Paolo, fu un’emozione fantastica e, nonostante l’ambiente particolare, riuscimmo a portare a casa il risultato (3-1 per il Piacenza ndr)”.

A proposito dell’esperienza al Piacenza, Luiso svela un retroscena di mercato:

“All’epoca, mi cercò anche il Milan: Galliani chiamò il mio procuratore perché mi volevano per farmi fare la terza/quarta punta. Rifiutai perchè volevo giocare il più possibile, anche a costo di rifiutare piazze blasonate”.

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Sul gol in rovesciata contro i Rossoneri:

“Era una giocata che provavo spesso e che faceva parte del mio bagaglio tecnico”.

Dopo quel gol, c’è stato un periodo lungo a digiuno di gol: com’è per un attaccante gestire questi momenti?

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“Secondo me, dopo quella rovesciata mi hanno gufato (ride ndr). Sbagliai due rigori e tanti gol. Quella parentesi mi ha lasciato fuori nella Nazionale: eravamo attenzionati io ed Eusebio Di Francesco in quel periodo”.

Al Vicenza fu un’annata clamorosa:

“Guidolin era al San Paolo nello spareggio contro il Cagliari e minacciò le dimissioni nel caso non mi avessero preso. È stata la mia più grande esperienza della carriera, senza nulla togliere alle altre. Le due partite europee contro il Chelsea? In casa vincemmo 1-0 ma potevamo farne un altro. Non la chiudemmo e per questo fummo puniti: passammo in vantaggio ma alla fine ci rimontarono di tre goal. Fu una serata pazzesca. L’esultanza a Stamford Bridge? All’epoca amavo Gianluca Vialli, giocavo con i calzettoni abbassati proprio perché mi ispiravo a lui. Tre giorni dopo la delusione inglese, giocammo contro la Lazio: quello era uno spartiacque cruciale e demmo tutto. Riuscimmo a salvarci, ma rimane sempre il rammarico di quelle due partite contro il Chelsea”.

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Il tuo addio è stato causato da un rapporto non ottimale con Mister Colomba?

“Dopo aver fatto stagioni ad alti livelli mi sarei aspettato di andare via. Rifiutai l’Udinese, dove mi voleva ancora Guidolin, e forse sbagliai. Ebbi dei contrasti con Colomba e a gennaio andai via. Rientrai dal prestito nell’anno della retrocessione in B con Reja allenatore, ma la gente non mi voleva. Il Mister fu bravo a proteggermi e vincemmo il campionato. La stagione successiva arrivò Luca Toni ed aumentò esponenzialmente la concorrenza in attacco”.

Dunque, il trasferimento alla Sampdoria:

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“Quando sono arrivato in blucerchiato c’era una grande squadra e c’erano soprattutto tante punte. E sono convinto che, dopo quell’esperienza, è iniziata la curva discendente della mia carriera”.

Dopo la Liguria, le due parentesi non proprio felici di Ancona e Salerno:

“Sono posti in cui, purtroppo, ho lasciato poco: a Salerno la piazza era clamorosa ma ebbi un infortunio al polpaccio. Dopo la parentesi alla Samp, come detto prima, ho avuto un calo. All’epoca succedeva che, quando arrivavi da una serie superiore e magari con uno stipendio migliore, diventava difficile inserirsi in certi contesti”.

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Il colpo di testa è stato un tuo marchio di fabbrica, qual è il segreto?

“Quando ero giovane e giocavamo per strada, ci esercitavano a fare i cross. Credo di aver imparato lì a colpire bene di testa: gli allenamenti sicuramente hanno contribuito a migliorarmi da questo punto di vista”.

Un compagno con cui ti sei trovato meglio rispetto agli altri?

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“Direi due giocatori, tra gli altri: Antonio Criniti e Lamberto Zauli. Avesse avuto la mia rabbia, quest’ultimo avrebbe fatto grandi cose. Purtroppo era discontinuo”.

Sul futuro da allenatore:

“Adesso, sto provando a fare questo lavoro, ma è molto difficile. Dopo la parentesi di Fondi, sto a casa da un anno e mezzo, ed insisto nell’aggiornarmi. Nel mio piccolo, ho fatto le mie esperienze, ma le esperienze migliori, al momento, le ho avute a Sora e nella primavera del Vicenza. In altri luoghi ho trovato non poche difficoltà. Voglio provare a sfondare in questo lavoro, ho una voglia matta di far vedere quanto valgo, seppur non sia facile. A Vicenza sono stato sfortunato perché mi aspettavo, dopo anni di primavera, di fare il salto, ma la società fallì. Però mi sono sempre aggiornato in attesa dell’occasione giusta”.

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Cosa deve fare il calcio italiano per riportare le grandi emozioni nelle realtà di provincia?

“Darei più spazio a giovani: se noi tutti ex giocatori puntiamo ad allenare nei settori giovanili, possiamo insegnare ai ragazzi ciò che serve per arrivare in alto. Bisogna aver fiducia nei giovani. Zaniolo è l’esempio lampante a tal proposito: andò via dalla primavera della Fiorentina per accasarsi all’Inter che, a sua volta, lo ha ceduto alla Roma. Di Francesco è stato bravo nel farlo inserire. A mio avviso non c’è stato un ricambio generazionale. Giocatori come i vari Maldini, Baresi e Nesta non sono stati degnamente sostituiti”.

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