I nostri Social

Approfondimenti

NUMERO 14 – Lasciate che Rocky salga sul ring

Pubblicato

il

Tempo di lettura: 6 minuti

Sul finire degli Anni Ottanta, Silvio Berlusconi, Presidente del Milan fresco Campione d’Europa, già declamava la sua personale visione del futuro del calcio. Una visione che somigliava ad un Decalogo: nuove regole scritte di suo pugno per mandare in solluchero i già numerosi adepti del suo credo e per affascinarne altri, in quantità sempre maggiore.

Una intervista al giornalista Massimo Fini diventava il manifesto del suo pensiero. Innovativo, geniale, vincente.

Lo stesso giornalista, tre anni prima, si era dimostrato lungimirante nel profetizzare che Berlusconi avrebbe distrutto il calcio o ne sarebbe stato distrutto.

Pubblicità

Distruggere il calcio come finora era stato concepito, intendeva.

Le sue innovazioni erano tutte rivolte verso l’obiettivo di trasformare una partita di pallone in un evento di cui la manifestazione agonistica sarebbe stato solo un aspetto.

E neanche il più importante.

Pubblicità

Spettacolo. Attrazione. Glamour.

Ecco gli ingredienti base della sua ricetta per trasformare l’antiquato rincorrersi sull’erba di 22 atleti in uno show mediatico in grado di mandare in visibilio qualsiasi tipo di pubblico a prescindere dalla consueta fauna da stadio.

Il Cavaliere aveva portato ad esempio della sua tesi quanto era stato offerto dalla semifinale di Coppa dei Campioni giocata pochi mesi prima contro il Real Madrid.

Pubblicità

Grandi campioni tutti insieme sul prato verde, giocate d’altro livello a getto continuo, marcature a profusione, emozioni infinite offerte alla  platea e un grande trionfo finale per il migliore in campo.

La sua squadra, ovvio.

E un avvenimento del genere non poteva rimanere un caso isolato.

Pubblicità

Non sarebbe bello, argomentava, che ogni mercoledì il Milan potesse ospitare il Real Madrid o il Barcellona?

Nomi fatti non a caso. Da trent’anni a questa parte sono sempre gli stessi.

Basta dare un’occhiata all’albo d’oro della Champions League: non si troveranno nomi di altre squadre oltre a quelli delle dodici che conosciamo. Salvo rare eccezioni.

Pubblicità

Il progetto oligarchico della Superlega enunciato in questi ultimi giorni in realtà era stato concepito allora, molti anni or sono.

E il fatto che sia stato già abortito è un chiaro segnale. Per tutti. Tornando alle origini, il primo ad andare al di là dei meri propositi era proprio l’ineffabile Berlusconi: dopo aver ottenuto l’assenso dei dirigenti delle squadre più importanti non perdeva tempo nell’annunciare a tutti l’imminente nascita di un Torneo Europeo per grandi club.

E a chi obiettava che, in un quadro del genere, un incontro come Milan – Lecce non sarebbe interessato più a nessuno, non aveva problemi a replicare che, a suo modo di vedere, non era cosi scontato che una partita del genere avesse motivo di disputarsi, dato l’evidente disparità di valori in campo e la difficoltà da parte del Milan a trovare motivazioni con un avversario di gran lunga cosi inferiore.

Pubblicità

Dimenticando che l’origine della sua  squadra era da ricercare proprio in un incontro dall’esito apparentemente scontato. Milan – Parma di Coppa Italia di qualche anno prima. Una affermazione clamorosa di una squadra di provincia contro il potente club metropolitano a San Siro.

Ottenuta, tra l’altro, mettendo in campo una serie di giovanotti di belle speranze che erano riusciti a battere l’avversario sciorinando un gioco di altro livello qualitativo.

Vittoria con pieno merito. E onore alla squadra e al suo trainer, un certo Arrigo Sacchi.

Pubblicità

Ora, sulla base proprio dell’esempio mostrato, siamo proprio sicuri che questa idea della Superlega sarebbe la soluzione ideale per superare i problemi del calcio? Una sorta di aristocrazia (oligarchia?) pallonara, circoscritta solo a pochi club pieni di soldi e blasone e preclusa per statuto a squadre di ben più modesta caratura, davvero sarebbe garanzia di incontri di alto livello tecnico? Davvero siamo sicuri che il confronto agonistico continuerebbe ad avere la sua autenticità se le partite da disputare fossero riservate in esclusiva ai soci fondatori della consorteria più qualche invitato a loro gradito?

Le ultime notizie a riguardo hanno chiara valenza di risposta a queste domande.

E, tuttavia, viene naturale pensare, in merito alle dichiarazioni di Berlusconi, contenenti i prodromi della filosofia della non più nascente Superlega, a un atteggiamento di ipocrita condiscendenza, tipico di chi si sente superiore per diritto di nascita ed è di buon umore, in vena di essere generoso verso il prossimo.

Pubblicità

Ci ricordano la figura di Apollo Creed nel primo Rocky: elegantissimo nel suo completo gessato argomenta con dovizia di particolari il suo prossimo incontro con un impresario e tira fuori persino un coniglio dal suo cilindro di prestigiatore da fiera.

Non ha più un avversario? E allora offrirà al suo pubblico qualcosa di assolutamente inedito, un qualsiasi dilettante sul ring con lui a disputargli il titolo di campione del mondo dei pesi massimi.

E non è una trovata “molto americana”, come gli viene risposto. Su questo è spudoratamente onesto, è solo una trovata “molto furba”. Apollo in quel momento non è un atleta, ragiona esclusivamente con cinismo da manager e quello che ha in mente è una baracconata che non ha nulla a che spartire con l’agonismo sportivo.

Pubblicità

Il dilettante che ha scelto, Rocky Balboa, è solo una comparsa, un mediocre guitto per mettere su un incontro-farsa, adatto soltanto a un pubblico di bocca talmente buona che, pur di vederlo in azione, si accontenta che ci sia un qualsiasi pugile ad incrociare i guantoni con lui.

L’evento è comunque assicurato.  A trasformarlo in qualcosa di imperdibile, almeno per gli spettatori, ci penserà con efficacia la propaganda.

Lo stesso vale per gli “inventori” della Superlega (le virgolette sono d’obbligo, quando si parla di qualcosa che non c’è ancora e probabilmente non ci sarà mai): l’importante è assicurarsi la presenza dei club più importanti e dei campioni più celebrati, poi sarà compito dei media garantire che ogni singola partita sia presentata come l’incontro del secolo.

Pubblicità

A prescindere da quello che poi si vedrà effettivamente in campo. Ma  chi ha queste intenzioni, o questi sogni, farebbe bene a riguardarsi la pellicola appena citata. E ricordare che è tratta da una storia vera.

E’ noto  che alla fine Rocky, il pugile di mezza tacca deriso da tutti ed umiliato persino dal suo allenatore Mickey, riesce a trovare dentro di sé, nella sua più vera natura di atleta, delle risorse che non sapeva di avere.

Pensa addirittura di essere stato scelto da Creed solo per fargli da sparring partner, vorrebbe rifiutare l’incontro, accetta solo perché ha un disperato bisogno di denaro.

Pubblicità

Ma poi, stimolato dall’enorme opportunità che gli si è capitata e spinto dall’amore della sua donna, si allena duramente per evitare l’ennesimo devastante fallimento. Se riesce a stare in piedi fino all’ultimo davanti a un campione del genere saprà, per la prima volta in vita sua, che non è solo un bullo di periferia. E ci riesce: la strabordante superiorità tecnica di Creed non riesce a piegare la sua indomabile forza di volontà per tutte le 15 riprese del match.

Il titolo del campione del mondo viene confermato solo da un verdetto ai punti. E’ una vittoria di Pirro.  Creed non riesce ad accettarlo e lo vuole nuovamente sul ring. E stavolta vuole buttarlo giù alla prima ripresa. Ancora una volta il fuoco della sfida spinge Rocky contro i suoi stessi limiti. E’ vittoria e titolo di campione del mondo del pesi massimi. E il cerchio è chiuso alla perfezione dal finale del terzo film della saga.

Rocky e Apollo sono in palestra, da soli. Apollo ha ricostruito Rocky dopo una cocente sconfitta, ha scavato nel suo animo fino a far riemergere l’indomito combattente che era prima che la vita borghese lo infiacchisse fino a trasformarlo in uno squallido showman.

Pubblicità

E lo ha riportato alla vittoria. E al suo titolo di campione. Ora lo invita a salire sul ring con lui per un incontro privato. E’ l’ultimo, definitivo riconoscimento del suo autentico valore di atleta. Senza nessuno intorno a strumentalizzare quello che è soltanto il misurarsi di due uomini, ad armi pari.

A chi scrive piace immaginare che si possa ragionare su queste basi. E pensare ad una partita di calcio solo e soltanto in termini di agonismo. Lasciate che ogni squadra possa affrontare qualsiasi avversario. Lasciate che Rocky salga sul ring.

 Follow us!

Pubblicità

FacebookFacebookYoutubeTwitterTwitch

in evidenza