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Napoli, macerie e rimorsi

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Macerie e rimorsi, nient’altro che questo: è il Napoli che si aggira nella discarica di pezzi rotti, di forme confuse e di preziosi impolverati. Macerie e rimorsi di quello che sarebbe potuto essere e che non è stato, di quello che si è sognato, e che ora è un incubo che dovrebbe solo finire, e alla svelta.

Il Napoli avrebbe dovuto, avrebbe potuto dare di più. Era il compito iniziale, quello costruito con passione, ardore e fatica; il sudore che ha lordato i campi da gioco per anni, le rimonte, le sconfitte, le volontà di chi prima ha lasciato il segno e che, un po’, ha sperato poi in un avvenire più roseo del suo passato. Il palazzo è crollato come carta, fragile nelle sue fondamenta. Bello eppur delicato, nelle mani di chi non ha saputo trattarlo.

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Il Napoli delle imprese non esiste più, lo scuro baratro della perdizione è sempre più lugubre e profondo. Le volontà di chi ha preceduto sono carta straccia, polvere al vento; esiste un solo minimo comune denominatore: la rabbia. 

La rabbia di chi sa e non può fare; la rabbia di chi si abbarbica in ogni modo per raggiungere la meta e continua a cadere sotto i colpi delle proprie fragilità. Mentali, prima ancora che fisiche: uomini che ragionavano con una sola testa, che agivano con un solo corpo, una macchina perfetta destinata a vivere, a sognare ed a credere. Macerie, ora, tutte intorno agli azzurri, impotenti e deboli. La scure del tempo è caduta anche su quello che non avrebbe dovuto toccare mai. 

I desideri sono volati via, lasciando posto ai soli rimorsi. Rimorsi di cosa sarebbe potuto accadere se, ma che puntualmente non s’è avverato. La difficile accettazione della realtà porta scoramento, paure. Chi prima si fidava ciecamente del proprio compagno ora lo guarda vilmente, quasi con odio, anelando al contempo una zattera per lasciare una nave in avaria, in totale balia del mare di fango in cui si è autonomamente gettata.

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Il giocattolo s’è rotto, inutile negarlo. Inutile negarcelo. Ora è necessaria pazienza, sopportazione; non si può avere, non si può chiedere di più ad una squadra stanca, avvilita, sfiancata da tutto. In primo luogo da se stessi. Lo dicono il loro gioco, la loro volontà, i loro volti: si è stanchi di ogni cosa, e si vorrebbe solo andare via, scomparire.

Ricostruire, avere pazienza e ricostruire. Il campionato non darà più nulla a nessuno; non restituirà la gioia al bambino col volto solcato dalle lacrime. Si è sordi persino alle disperazioni di chi, innocentemente, crede ancora in tutto ciò che c’è da credere. 

E allora via, basta: finitela. Si termini lo stillicidio, si chiuda il cerchio di Icaro, che avvicinandosi troppo al sole ha finito per sprofondare nell’Egeo. Si rinasca a vita nuova, forse meno bella, ma anche meno speranzosa. Gettando ogni tanto lo sguardo ad un passato glorioso che poteva essere ma che non è stato, alle macerie e ai rimorsi che ha generato.

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