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Veron avvisa la Juve: “Inter pericolosa. Ma ecco chi vincerà il campionato..”

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L’ex centrocampista nerazzurro Juan Sebastian Veron ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport. Una panoramica su tutta la Serie A, che diventa sempre più competitiva dopo tanti anni. Ecco le sue parole:

«Da troppi anni la Juve giocava praticamente da sola, non c’è mai stata vera lotta al vertice. Ora finalmente diverse squadre si sono attrezzate, stanno modificando le loro potenzialità .E il campionato è finalmente più attraente».

Ok. Ma chi vincerà?
«Se devo spendere un nome, dico ancora Juventus. È più avanti, è abituata. Ma Inter e Lazio sono messe benissimo, hanno entusiasmo per reggere fino alla fine. Hanno un peso sulle spalle, però: sono condannate a non sbagliare nulla, a correre sempre a mille».

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Perché l’Inter ha impiegato così tanto, per tornare competitiva?
«Guardi, accade sempre così nei club con una grande figura, un uomo carismatico, riconosciuto da tutti.Quando va via, si fa fatica ad allontanarsene, a cambiare modo di ragionare, non è semplice costruire subito un altro modello, un’altra realtà competitiva. Mi riferisco a Massimo Moratti ma è stato così anche altrove. Penso al Milan, con Berlusconi .E al Manchester, dopo Ferguson».

Lei ha inserito la Lazio nella lotta al titolo.
«Ha un vantaggio, ha mantenuto il cuore della rosa intatto. E Simone Inzaghi è ormai un top tecnico».

È stato suo compagno: se lo sarebbe aspettato?
«Devo essere sincero? Mai,proprio mai. Ma tutti maturiamo in maniera diversa. E lui ha studiato, non ha improvvisato».

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Se le dico Conte?
«Io penso a Simeone. Nessuno dei due riempiva gli occhi in campo. Erano essenziali, avevano una sensibilità diversa, un occhio diverso, ragionavano in maniera complessiva, già da tecnici. Conte ha costruito un’Inter intensa come lui, si percepisce anche da lontano»

Una foto per ogni squadra. Partiamo da Lautaro.
«Può andare dove vuole. Se vuole. Ma non divida mai il giocatore dalla persona: la professione di calciatore è la costante evoluzione dell’uomo. Sta a lui decidere il suo percorso, ha potenzialità enormi».

Nuovo clic: Ronaldo.
«Ho letto alcune critiche. Io dico che Ronaldo è diverso… è diverso da tutti. Quando giocavo io, di Totti e Del Piero tutti dicevano “sono finiti sono finiti”. Ma di fronte a campioni così, l’ultima parola spetta sempre a loro. La verità è che Ronaldo è sempre stato distante dalla normalità. Ci ha disabituato alla
normalità. E così, appena ha un lieve calo, o per una volta nella vita un rendimento nella norma, tutto sembra strano, tutto fa scalpore».

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Nella Lazio invece fa scalpore (anche) il «suo» Correa.
«È un ragazzo partito dalla provincia, ascolta e ha voglia di imparare, sa prendersi la carezza e lo schiaffo, non gli pesa la responsabilità della squadra .A lui un giorno ho ricordato le parole che mi disse mio padre: “Umiltà e ascolto”. Da ragazzino si fermava sul campo con me e mi chiedeva di spiegargli i calci di punizione, gli ho insegnato come doveva mettere il piede e il corpo. In fondo, fece lo stesso Mihajlovic con me».

Ha sentito Sinisa dopo la malattia?
«Gli ho mandato un messaggio il giorno stesso del suo annuncio in conferenza. Sapevo già cosa mi avrebbe risposto, ancor prima di leggerlo. Mi scrisse: “Grazie, ti voglio bene. Tanto vinco io”. Per me è un fratello. Lamia carriera in Italia è partita con lui e finita con lui, c’è sempre stato».

E le punizioni?
«Mi allenavo con lui, appena arrivato in Italia. Il primo giorno vidi che piazzava le sagome della barriera a 7 metri. Gli dissi: “Io così mica ce la faccio”. Lui prendeva sempre la porta. Così ho imparato anche io. Chissà quante ne avrei segnate in più, se ci fosse stata la regola dello spray ai miei tempi».

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Chi è oggi il migliore al mondo, sui piazzati?
«Messi, senza dubbio».

E i migliori centrocampisti?
«Verratti e Kantè».

Lei è presidente dell’Estudiantes: perché questo ruolo e non allenatore?
«Perché la panchina non l’ho mai sentita mia. E poi vede… ho conosciuto Moratti io. È stato il più grande dirigente mai incontrato. Non l’ho mai sentito urlare o trattare male qualcuno. Secondo me, dopo aver parlato con i giocatori, poi in privato si chiudeva in un box e si sfogava, altrimenti non si spiega».

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Lei è quel tipo di presidente?
«No no… io ai giocatori le cose le dico! Ma sul resto sì, sull’idea di voler far sentire vicina la gente al club come voleva lui».

Il suo modello di allenatore?
«Mi piace chi vince (ride, ndr). Spesso si fanno analisi approssimative, bisogna mettersi d’accordo su cosa ci si aspetta: per me chi dice che le squadre di Conte e di Simeone giocano male non capisce di calcio».

Lei abbatterebbe San Siro?
«Dico che avere un impianto moderno è un elemento necessario per accrescere i ricavi, l’esempio è la Juve. San Siro è la storia, è un monumento. Ma in Italia c’è necessità di avere impianti proiettati al futuro, il paese ha il dovere di capirlo. La fruibilità dell’evento è differente,bisogna catturare i più giovani. Nel progettare il nuovo impianto del mio Estudiantes, abbiamo ragionato così. Sa quanto
è costato? 60-70 milioni di dollari. Poi leggo che per quello del Tottenham è stato speso 1 miliardo… non capisco. L’inaugurazione col leone in 3D? Lo sa che non mi è costato niente?».

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Però siamo tornati competitivi, con il suo amico Mancini.
«L’Italia è giovane e di qualità, ha caratteristiche di gioco ben definite. Mai come nei prossimi Europei le squadre storiche sono più o meno tutte allo stesso livello: ecco perché l’Italia può ambire alla vittoria».

Ma è vero che suo figlio Deian le assomiglia?
«Ha le mie stesse movenze, centrocampista come me, gioca nei giovani dell’Estudiantes. Magari un giorno lo vedrete in Italia…».

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