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NUMERO 14 – Storia di una maglia

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Per chi ama il calcio il numero 14 è un biglietto da visita molto eloquente.

Autunno 1970. Lo stesso anno in cui fu pubblicato l’ultimo album dei Beatles. La coincidenza, come vedremo, è significativa.

Il calciatore olandese Johan Cruyff, stella indiscussa dell’Ajax, dopo aver imprestato la sua abituale maglia numero 9 a un compagno che non riusciva a trovare la sua divisa, scese in campo con un insolito numero 14, la prima maglia che gli era capitata tra le mani frugando nello spogliatoio. Grande prestazione di Cruyff e vittoria dell’Ajax. Da allora il fuoriclasse olandese e la casacca numero 14 divennero un binomio inscindibile fino al giorno del suo ritiro dalle scene, esclusa una parentesi con un ritorno alla maglia numero 9 ai tempi del Barcellona, in quanto il severo regolamento allora in voga in Spagna proibiva ad un calciatore di disputare una gara con un numero che fosse al di là del canonico 11. In ogni caso lo sbarazzino Cruyff non rinunciava ad indossare il suo amato 14 sotto la maglia numero 9, aggirando a modo suo le odiate regole imposte. Una costante della sua carriera.

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Puro gesto scaramantico quello di Cruyff? Semplice adozione feticistica di una maglia che gli aveva portato fortuna in quella circostanza? In realtà, quello che sembra essere solo un piccolo, innocente rito propiziatorio (non tanto dissimile dall’indossare sempre la stessa camicia ad un esame universitario, ad esempio) nasconde ben altri significati.

Non potrebbe essere altrimenti data la natura eversiva del personaggio. Johan Cruyff (classe 1947), dopo una infanzia trascorsa praticamente sempre sul vialetto antistante casa, impegnato in interminabili partite “di strada”, entra a dieci anni nelle giovanili dell’Ajax, il club di calcio più prestigioso d’Olanda, dove, al termine di un rapido apprendistato, esordisce in prima squadra non appena ha raggiunto l’età minima per giocare da professionista. Il ragazzo ci sa fare davvero: usa entrambi i piedi, ha una tecnica sopraffina palla al piede e una velocità supersonica di pensiero. Tutte queste doti ne fanno un’arma letale in campo, capace di dare grattacapi anche a giocatori molto più navigati di lui e fanno passare in secondo piano le sue non eccelse qualità atletiche.

Ma a questo c’è un rimedio che di nome e cognome fa Rinus Michael’s. Ex centravanti dell’Ajax, alla fine della carriera si è riciclato come insegnante di educazione fisica ma il richiamo dell’erba verde è stato più forte, al punto da riportarlo al club dei lancieri come allenatore. Ad un occhio esperto come il suo non sfuggono le mirabolanti doti di Cruyff. Sa che dal punto di vista tecnico ha già imparato praticamente tutto e che il suo compito è solo quello di intagliare pazientemente quello che è attualmente un diamante grezzo con il dichiarato scopo di farlo brillare in maniera accecante.

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Cosi, sottopone Cruyff a un mirato lavoro di potenziamento atletico, ne irrobustisce il fisico, badando bene che non perda la sua agilità e attorno a lui costruisce un collettivo in grado di praticare un calcio mai visto prima sui campi da gioco. Non esistono ruoli prefissati, non esistono compiti predeterminati, come la marcatura preventiva (o ossessiva) di un singolo avversario. Il punto di riferimento, infatti, non è l’uomo ma il pallone. Ogni giocatore deve essere in grado di usare entrambi i piedi e, a seconda delle situazioni di gioco, deve saper scambiare, in maniera temporanea o definitiva, la posizione sul terreno di gioco con un compagno. Ritmo veloce, rovesciamento dei ruoli, sfruttamento intensivo di ogni zona del campo.

Michels è l’inventore del calcio totale e Cruyff è il suo profeta.

Con questi stilemi innovativi il duo vincerà, dando spettacolo, sia in patria che in Europa e la storia si ripeterà, in misura minore, quando entrambi si trasferiranno in Catalogna, a Barcellona.

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Ma l’eredità lasciata dal numero 14 dell’Ajax non è meramente sportiva. Una visione cosi lucidamente innovativa del calcio, mirata alla sublimazione della tecnica individuale in un contesto di gioco orchestrato sinfonicamente, ha avuto lo stesso impatto sull’immaginario collettivo di un disco rivoluzionario come il “White Album” dei Beatles o il film “Arancia Meccanica” (1971) di Kubrick, non a caso il nomignolo della nazionale olandese, capitanata da Cruyff, ai Mondiali di Germania del 1974.

Allo stesso modo in cui i quattro di Liverpool facevano tendenza non solo in sala di incisione ma anche fuori, stravolgendo le abitudini e la mentalità dei giovani di tutto il mondo, cosi i calciatori orange, presentandosi ai Mondiali accompagnati dalle loro splendide compagne in un clima di festosa anarchia, scardinarono dalle fondamenta le ormai vecchie consuetudini dell’ambiente del calcio, caratterizzato da una rigida austerità che, improvvisamente, sembrava essere diventata anacronistica.

Non vinsero quella Coppa del Mondo ma lasciarono una traccia indelebile.

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Adesso, in questa nuova rubrica settimanale,  intitolata Numero 14, seguendo la scia ispiratrice di Cruyff & soci, chi scrive ha l’intento – con affetto e dedizione – di provare ad esplorare territori sconosciuti o quasi. Vicende poco note di personaggi famosi, storie non raccontate a sufficienza saranno il nostro pane quotidiano. Si proverà a gettare uno sguardo diverso, obliquo ma non sgangherato, su elementi che hanno avuto poca rilevanza.

Come un prisma: a seconda di come lo si espone alla luce si ottengono di volta in volta effetti diversi. Forse suggestivi, forse bizzarri e, in ogni caso, mai identici.

Benvenuti a bordo.

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