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NUMERO 14 – Atleti e non funamboli

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Il loro torneo inizia con una probabile esclusione dalla rosa dei convocati, finisce con lacrime di gioia e sincero stupore per la vittoria di cui sono stati i principali artefici.L’appuntamento è di quelli a cui non si può mancare: il Brasile si sta preparando per la Coppa del Mondo 1958 in Svezia.Niente deve essere lasciato al caso. La disfatta del Mondiale perso in casa otto anni prima è ancora bel lontana dall’essere dimenticata e stavolta si vuole conquistare la Coppa Rimet ad ogni costo. Il progetto prevede di creare un gruppo in grado di sbaragliare qualunque avversario. Preferendo l’organizzazione in campo ai virtuosismi.

La squadra perfetta

L’inizio dell’impresa è una mortificante sconfitta contro l’Argentina che costa la panchina al c.t. Silvio Pirillo. La Federazione brasiliana affida, quindi, la squadra all’allenatore del San Paolo Vicente Feola. Scelta non casuale: l’immigrato campano si ispira ai dettami tattici di Bela Guttman, il mago della panchina magiaro che ha fatto grande la Honved nei primi anni ’50. E ha ben chiara in testa l’impostazione che vuole per creare la sua squadra perfetta: difesa accorta, veloce gestione della palla, rovesciamenti di fronte imprevedibili, verticalizzazioni devastanti. I terzini non sono più liberi di scorrazzare sulle fasce senza mai guardarsi indietro, le ali devono alternarsi con loro nella fase di attacco e difesa, i mediani devono impostare l’azione senza dimenticarsi di coprire gli spazi. Djalma Santos a destra e il suo omonimo Nilton (uno che sa tutto del calcio, non a caso il suo soprannome è “A Enciclopedia”) sulla sinistra sono i cardini della difesa verdeoro. Davanti a loro agiscono Joel e Zagalo mentre al centro la sapienza calcistica di Didi e il senso geometrico di Zito fanno da architrave del gioco. A questo punto, per completare il disegno tattico del c. t. Feola manca solo una valida ala destra e due attaccanti che sappiano puntare a rete.

Esami e bocciature

Nel forgiare il gruppo dei prescelti Feola non ha trascurato nulla. Ha creato una apposita commissione, la junta medica, formata da vari specialisti che hanno il compito di esaminare i candidati e di scartare quelli che hanno carenze fisiche o psicologiche. Il coordinatore della junta, ha stilato  o valutato il profilo psicofisico di oltre 200 calciatori per giungere ad una rosa di 33 elementi. Per compilare la lista definitiva dei 22 prescelti è basilare il responso del test psicologico a cura del Dott. Cavalhares che, però, in due casi da esito sconfortante. La prima bocciatura riguarda l’ala Garrincha. Non è esattamente l’atleta perfetto che si va cercando. La poliomelite ha lasciato un segno permanente sul suo corpo: la gamba destra è più corta rispetto alla sinistra di ben sei centimetri.E’ destinato a zoppicare per tutta la vita e la sua andatura claudicante, cosi simile allo zompettio di un passero molto diffuso nella sua zona d’origine, gli è valsa il soprannome. Certo, è un funambolo indiavolato sul campo ma il risultato del test è implacabile: ha fatto il minimo previsto dal punteggio e viene ritenuto di “intelligenza talmente scarsa da non poter fare neanche l’autista d’autobus”.Il secondo escluso dovrebbe essere il più giovane del gruppo, un 17enne che tutti conoscono come Pelè. Viene da una famiglia povera, non ha alcuna istruzione e in campo segue solo il suo istinto. Lo psicologo lo ritiene  “infantile” e “inadatto a reggere la pressione di un Mondiale”.

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Abili ed arruolati

A questo punto i due dovrebbero essere depennati dalla lista ma, complice il parere positivo del preparatore atletico Amaral secondo cui sono due forze della natura, il saggio c. t. Vicente Feola decide comunque di convocarli. Soprattutto per Pelè il viaggio verso la Svezia è l’inizio della più grande avventura della sua vita. Non ha mai messo il naso fuori dal Brasile, per lui ogni cosa è nuova e meravigliosa. Comunque vada, quell’esperienza gli servirà per crescere. In tutti i sensi: al suo sbarco in terra scandinava alcune intraprendenti ragazze del posto, incuriosite dalla sua aria inesperta, si incaricheranno di farlo diventare un uomo. Garrincha, invece, decisamente più smaliziato, apprezza molto la fauna locale, al punto di lasciare in Svezia qualche erede.

La strada verso la finale

La squadra verdeoro, all’inizio del torneo, stenta nei primi due incontri. Pelè e Garrincha sono tenuti prudenzialmente in panchina. Ma la terza partita contro l’URSS è decisiva. Urgono rimedi: Feola si confronta con i giocatori più influenti e rompe gli indugi. In campo, dall’inizio, c’è Garrincha all’ala destra e Pelè in attacco a fianco del centravanti Vavà. Dopo appena tre minuti dall’inizio della partita si sente un urlo lacerante: “Goooooool do Brasil!!!”.In quei 180 secondi Garrincha ha dato spettacolo: per ben tre volte ha superato in dribbling il suo diretto avversario e ha creato una occasione da rete dopo una volata sulla fascia. Nel primo caso ha costretto il portiere sovietico Jascin ad una miracolosa parata, nel secondo ha preso il palo e al terzo tentativo ha fornito un assist d’oro che Vavà ha dovuto solo spingere in rete. Pelè, dal canto suo, sciorina finezze con la disinvoltura di un veterano e la partita si conclude con un secco 2 a 0 per il Brasile.Da quel momento è una sinfonia in crescendo per i due alfieri. Sotto i loro colpi cadono, nell’ordine, il Galles (sconfitto di misura con una rete di Pelè) , la Francia (battuta con un pirotecnico 5 a 2 e tripletta del ragazzo prodigio) e i padroni di casa della  Svezia in finale (due reti spettacolari del solito noto).Il Brasile è campione del mondo, tutti i suoi giocatori sono in lacrime per l’emozione, compreso Pelè che piange senza ritegno sulla spalla del portiere Gilmar. L’adorabile, candido Garrincha, invece, interroga soavemente il capitano Bellini sul motivo di tanta commozione. Secondo lui si dovrebbe aspettare il risultato della partita di ritorno prima di lasciarsi andare. Poi si dirige verso gli spogliatoi dove l’aspetta l’abbraccio dell’intero staff brasiliano, compresi i componenti della junta medica, ormai parte fondamentale del gruppo, e di Vicente Feola, il geniale allenatore che ha reso possibile l’impresa, colui che ha trasformato degli incostanti funamboli in irresistibili atleti.

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