Approfondimenti
EN PLEIN AIR – Por el suelo: da Siqueiros a Blanco, genio y revolución

“Por el suelo camina mi pueblo,
por el suelo moliendo condena,
por el suelo el infierno quema,
por el suelo la raza va ciega”
Nulla a che vedere con la siesta, col nobile procrastinare, col riposo.
Nulla a che vedere col sombrero che adombra un sorriso coi baffi. Non è questione di stereotipi, né tantomeno di lucertole che strisciano fra le rovine azteche e la luna nuova.
L’arte, del resto, fiorisce laddove un popolo insorge. Visionarietà e lotta, genio y revolución.
Il Messico di inizio ‘900 è una controra torrida e antiliberale, è ingerenza e repressione, è un complesso di libertà negate, è tutto quanto risponde al nome di Porfirio Diaz.
È Storia di violenze demandate, consuetudine del Nuovo Mondo. Lo Zio Sam, all’imbrunire, assapora il tabacco del Tennessee e osserva.
Ché le grinfie a stelle e strisce sono concetto antico, ogni voluta di fumo è un legaccio che stringe le caviglie. Ogni volta che un civile muore, ogni volta che la terra schiaffeggia una croce di legno, alzate lo sguardo a nord del Rio Grande: lì bivacca il carnefice.
Argano a motore delle stagioni fu la dottrina marxista, ad accompagnarla la crescente consapevolezza del proletariato. Il sussulto d’orgoglio dei messicani è l’antitesi del collaborare, porta in grembo quattro nomi: Madero, Villa, Carranza e Zapata. Le fonti della libertà custodiscono il farraginoso retrogusto del sangue.
La morte è il minimo comune denominatore, el Mondragón riscrive il confine fra rantolo e respiro. Parliamo di anime ruvide, gente di frontiera: a metà strada fra sopruso e democrazia.
Né l’uno, né l’altra. Forse entrambi.
(Foto: Wikipedia)
Pregare per l’ordine all’interno di una sommossa è artificio inutile, accade così che il frammentarsi prenda il sopravvento. Accade, così, che la linea di demarcazione fra torto e ragione si trasformi in un rivolo putrido, attraverso cui sconfinare è quasi un obbligo. Pulsioni anticlericali e feroci controrivoluzioni, la falce continua il suo requiem: fra gli sterrati e gli altari.
Tutti i terremoti sociali, comunque, muovono i passi verso la regolamentazione. La Madre di tutte le regolamentazioni: La Constituciòn.
Arriverà, il 5 febbraio 1917.
Tanto dolore e tanto furore sublimano sempre nell’arte. Tempo di nuovi inizi, tempo di fare i conti con una modernità giunta – troppo – tardivamente. Non basterà una tela per delimitare i sussulti del più lungo decennio.
Meglio affidarsi alle pareti.

Particolare di “Sueño de una tarde dominical en la Alameda Central”. Diego Rivera, Museo de Anahuacalli, Città del Messico. (Foto: Wikipedia)
Prolifera, dunque, un nuovo sentire collettivo. D’altra parte è necessario ripartire dal via, c’è una comunità da legittimare, un popolo a cui dare, finalmente, del tu.
Collettività è insieme di pigmenti, è genialità e ricostruzione. Tre uomini, tre storie: la poesia è il trait d’union. Rivera, Orozco e Siqueiros rappresentano i tre tenori della rinascita.
È, invero, il Nuovo Rinascimento.
Il muralismo messicano, in assoluto, è espressione di fruibilità. Il barrio si tramuta in galleria.
Del resto, straccivendole e contrabbandieri difficilmente sarebbero stati ben accetti ai vernissage dell’alta borghesia. È il soviet delle tempere e delle bombolette spray.
Una rivoluzione, per vestirsi d’efficacia, deve essere giocoforza comprensibile.
Altro mezzo, stessa resa: il calcio. Le linee di gesso, l’erba rada in prossimità dei legni, il crepitio dei tacchetti sul cemento, l’istinto dell’istante, la ressa che circoscrive le barricate fra intenzione ed aorta.
Non è necessario, infatti, affidarsi alla razionalità per gustarsi un messaggio su un muro o una gara della Selección. Il calcio è alfabeto del popolo: le leggi della fisica, alle volte, non hanno valenza alcuna.
Fra l’arrampicarsi – muniti di pennelli e calzoni alla zuava – su di una una parete di periferia e superare di slancio due nemici, sotto i raggi dell’Azteca, non c’è differenza.
Artista fra gli artisti: Cuauhtémoc Blanco. Tarchiato e sgusciante, farfalla e calabrone.
Terra di mezzo fra il Sergente Garcia e Siqueiros.
Impressioni su prato, laddove leggerezza e irriverenza assumono un nome preciso: La Cuauhtemiña.
Un gesto tanto semplice quanto rivoluzionario, del resto sono i furbi a lastricare la strada dei sogni. Irridere regole ed avversari: una vita al limite fra il boato e la palla trattenuta.
Ammirare per credere:
Due persone al mondo, in conclusione, hanno il dono di zittire la folla ruggente: il boia e il rigorista.
E i rigori, Blanco, non li ha quasi mai sbagliati.
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