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Numero 14 – Impara a sognare, ragazzo

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“Adesso torno al mio mare pulito”. A pronunciare questa frase è il mister Sergio Vatta, di professione allenatore delle giovanili, dopo aver concluso la sua esperienza alla guida della prima squadra del Torino.

Non che lo abbia voluto lui, questo è chiaro.
Glielo hanno chiesto, per portare a termine una stagione travagliata e cercare di condurre la squadra ad una improbabile salvezza.

Ha accettato per senso del dovere e spirito di appartenenza.

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Al Toro è diventato allenatore dopo una onesta carriera di centrocampista in serie C ed è, da più di un decennio, il responsabile del settore giovanile.

Sotto la sua guida i granata hanno messo su il miglior vivaio che ci sia in Italia: ogni anno decine di ragazzi con il marchio del Filadelfia, il centro allenamenti del Torino, spiccano il volo verso una carriera da professionisti, anche nella massima serie.

Non di rado si presentano alla loro nuova società con qualche titolo nel curriculum: il Torino targato Vatta ha messo in bacheca vari Campionati, Coppe Italia e Tornei di Viareggio, la competizione giovanile più prestigiosa.
I dirigenti lo sanno bene. Conoscono alla perfezione la qualità del suo lavoro sui giovani e sperano che riesca a farsi ascoltare anche dagli svogliati giocatori della prima squadra.

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In quella disgraziata primavera dell’89 Sergio Vatta è davvero l’ultima spiaggia: i suoi predecessori in panchina sono stati Gigi Radice, il carismatico mister dello scudetto del 1976 e Claudio Sala, il capitano di quella formidabile squadra.
Nessun risultato degno di nota con entrambi. Doppio esonero inevitabile.
E ora la gestione del gruppo è passata a lui. Ha fatto quel che potuto ma, nonostante tutto, il Torino è scivolato mestamente in serie B.

Vatta non ne ha fatto un dramma. Gli infantilismi dei giocatori che si definiscono “professionisti” e poi saltano un allenamento dopo l’altro lo irritano.
Il suo lavoro, la sua vita è un’altra.
Per lui non c’è niente di meglio che ascoltare la voce dei suoi ragazzi che gli chiedono di restare sul campo per un quarto d’ora supplementare di allenamento.

Sguardo e schiena dritta, infinita voglia di migliorarsi e nessun grillo per la testa.
E’ il profilo tracciato da Vatta per identificare l’atleta che ha intenzione di forgiare.

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Dal suo punto di vista non è la retrocessione della squadra la peggiore delle disgrazie quanto quello che è successo alcune settimane prima, in una maledetta domenica a Genova.
Alvise Zago, prodotto del vivaio granata promosso titolare con i “grandi”, è uscito dal campo a causa di un tremendo infortunio al ginocchio.
Il suo futuro è appeso ad un filo.
Vatta ha corrugato la fronte: quel ragazzo lo conosce bene, lo ha visto crescere al Filadelfia e avrebbe scommesso su di lui.

Meglio pensare ad altro. Meglio pensare al prossimo anno.
Ci sono dei ragazzi molto promettenti.
C’è sopratutto un ventenne che tornerà da un prestito annuale all’Ancona.
Si chiama Gianluigi Lentini: grande tecnica, dribbling mortifero e carattere particolare.
Ha i numeri di un fuoriclasse e le insicurezze di un ragazzo. Cerca di nasconderle dietro una facciata da duro di poche parole e modi ruvidi.

Non che sia un problema per Vatta. Lui è nato in Dalmazia all’epoca della seconda Guerra Mondiale, è dovuto scappare dai bombardamenti assieme alla sua famiglia, ha vissuto in un campo profughi, si è guadagnato il pane lavorando come operaio, ha visto sofferenza e difficoltà fin da bambino.
Ha conosciuto il dolore, sa tramutarlo in comprensione. Smussare gli spigoli caratteriali di un ragazzo è più importante della spiegazione dei movimenti corretti in campo.

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Lentini è destinato a diventare un campione. Non c’è stata una partita che la sua maglia numero 7 non sia finita a brandelli. Gli avversari non avevano altro modo di fermarlo. Il suo compito è quello di prepararlo ad una carriera gloriosa ma impegnativa.

Lui come tutti gli altri ragazzi. Al Filadelfia il Grande Torino ha fatto la storia del calcio.
Adesso, su quello stesso campo, lui prova a creare, con pazienza ed affetto, i discendenti di quella immensa squadra.
Parte dai fondamentali: l’importante è la tecnica di base. Il lavoro viene fatto quasi tutto con il pallone.
E in campo la squadra deve essere un gruppo capace di muoversi in perfetta sincronia. Ognuno partecipa alle due fasi di gioco.

Ad un Torneo di Viareggio, pur non vincendo, il suo Torino ha meritato i sinceri complimenti di un maestro del calcio totale come Johan Cruyff.

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Il mister è un uomo saggio: sa che diventare un professionista non è un compito facile, il rischio di perdersi per strada è altissimo.
Sa anche che non tutti avranno questa fortuna ma uno dei suoi mantra è “fuoriclasse si nasce, buoni calciatori si diventa”.

Seguendo questo principio, qualche anno più tardi, farà di un giovane centravanti che si sentiva un brocco uno dei più implacabili bomber del calcio italiano.
Christian Vieri ancora oggi ricorda l’allenatore che gli aveva impedito di smettere di giocare a calcio.
Gli era bastato fargli notare che se la sua tecnica di base era primitiva il suo fiuto del gol era notevolmente sviluppato.

E’ la sua filosofia: lavora su te stesso, migliora le tue caratteristiche e non piangerti addosso.
E poi si tratta di curare i dettagli. Sulla testa, prima che sul fisico.

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Vatta ama dialogare con i suoi ragazzi. Ma che si tratti di un dialogo costruttivo, non un monologo unidirezionale.
Ama ripetere che “io ho insegnato ai ragazzi ma loro hanno insegnato a me”.
E, quindi, negli spogliatoi spesso tralascia la preparazione tattica per la prossima partita a favore di una discussione libera.
A suo fianco c’è uno psicologo. Non gli importa se la sua presenza sottrae spazio al suo ruolo di guida della squadra. Vuole che i suoi giocatori si sentano liberi di esprimersi.
Che parlino pure di tutto quello che vogliono. Ansie, speranze, sogni.
Sogni, soprattutto. Saranno, sono fondamentali per loro.
A patto che siano soltanto loro i sogni. Non dei genitori o procuratori.

Vatta detesta con tutto il cuore chi si intromette nel suo lavoro.
Non tollera che qualcuno pretenda di indirizzare la carriera e la vita di un ragazzo per soddisfare le proprie ambizioni.
Ha cacciato in malo modo dagli spogliatoi una madre che sosteneva che lui “stava rovinando suo figlio”.
Il ragazzo in questione, reinventato da Vatta centrocampista dopo aver iniziato la carriera da attaccante, arriverà al punto di sfiorare il titolo di campione del mondo giocando nel ruolo disegnato per lui dal suo mister.

Allo stesso modo tratta chi pretende di rappresentare gli interessi dei suoi giocatori, sostenendo che “se un ragazzo a 14 anni ha bisogno del procuratore diventerà, da adulto, un cittadino di serie B”.
Non si può costruire una buona carriera partendo dal presupposto che il primo pensiero sia l’entità dell’ingaggio.

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La sua fama è ormai diffusa nell’ambiente e ha ricevuto dal Milan una prestigiosa offerta per guidare il settore giovanile rossonero.
Con un ingaggio pari ad un allenatore della prima squadra.
Vatta ha rifiutato per rimanere fedele ai principi che ha sempre trasmesso: se avesse accettato come sarebbe potuto entrare nello spogliatoio per ribadire ai suoi ragazzi che il denaro non è tutto?

Il mutuo della casa sarà pagato a tempo debito, l’importante è non alimentare l’illusione del guadagno a tutti i costi.
La differenza tra un buon giocatore e un mediocre è tutta in questo passaggio.
Vatta lo sa bene: se i sogni sono la linfa vitale per un giovane calciatore le illusioni sono soltanto la gramigna che gli sottrae energie.
E’ suo dovere estirparla. Fin dall’inizio.

Con lui non ha spazio chi crede di essere già arrivato.
Il fatto di aver esordito in prima squadra è solo un punto di partenza.
Per chi la pensa diversamente e, magari si sente troppo “adulto” per condividere lo spogliatoio con i coetanei, c’è solo una lunga permanenza in panchina a meditare.

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Anche Lentini, campione in sboccio, ha passato qualche domenica in tuta a fianco dell’allenatore.
E i risultati si sono visti.
Primavera 1992, Lentini è titolare fisso del Torino finalista di Coppa Uefa, si è guadagnato anche un posto in nazionale ed è avviato alla brillante carriera che gli era stata pronosticata.
Infatti è conteso a suon di miliardi da Juventus e Milan.
L’approdo a Milanello, però, coincide anche con la fine dei suoi sogni di gloria.
Dopo una prima stagione a buoni livelli si prepara per la successiva che dovrebbe concludersi con il Mondiale negli USA da giocare come protagonista.
Si mette in mezzo il Destino.
Una corsa nella notte estiva a bordo di una fuoriserie per raggiungere la donna amata.
Un incidente che per poco non finisce in tragedia.
Una riabilitazione infinita che gli costa il posto in squadra e il Mondiale.
Un sogno che si infrange e la triste conclusione della carriera nelle serie inferiori.

Solo la sorte può mandare in frantumi il lavoro di Sergio Vatta, l’uomo che insegnava ai suoi ragazzi a sognare.

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