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EDITORIALE – Serie A, è tutto pronto?

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Tempo di lettura: 2 minuti

È tutto pronto.

L’erbetta tagliata a dovere, le linee di un bianco neve ridisegnate su di un tappeto verde speranza.

I palloni preparati a bordo campo perché mancano i raccattapalle, la sala VAR allestita (e sanificata) per il funzionamento.

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È tutto pronto.

O almeno è quello che continuiamo e continuano a ripeterci nelle più banali opere di convincimento.

“Si sta come d’estate sul volto le mascherine” direbbe l’Ungaretti dei giorni nostri.

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Quelle stesse mascherine che sono fondamentali per l’incolumità dei calciatori che siedono – per di più distanziati – in panchina, ma che tutto d’un tratto diventano inutili per chi in campo si trova a dover sopportare il fiato sul collo del proprio avversario.

Ma è tutto pronto, ci siamo.

O almeno è quello che continuiamo e continuano a ripeterci con quel ‘logos’ che per Aristotele rappresentava il fattore più importante dell’arte della persuasione.

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Centotre giorni dopo quel Sassuolo-Brescia che di fatto sancì la sospensione del campionato, la Serie A riapre i battenti. Torino-Parma l’anticipo delle 19.30, Verona-Cagliari quello delle 21.45.

È tutto pronto. Tutti pronti.

Tranne quel Giuseppe, o quella Maria, o quel Francesco che allo stadio non ci possono andare. E non perché si è decisi di ripartire escludendo il pubblico, il pezzo più importante del puzzle calcistico. Ma ‘semplicemente’ perché non ce l’hanno fatta. Il coronavirus se li è presi e se li è portati con sé.

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Ma è ugualmente tutto pronto.

Ci sarà il minuto di silenzio per loro, giusto. Quasi ce ne dimenticavamo.

La Serie A riparte. Deve ripartire. Uno dei business più grandi del nostro paese non avrebbe mai potuto fermarsi definitivamente. La scuola si, cosa vuoi che sia l’istruzione. Il calcio è importante, invece. Calcio inteso come ‘industria da 5 miliardi di euro’, per carità. Mica come sport. L’educazione fisica si fa a scuola, appunto.

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È tutto pronto.

C’è uno scudetto da assegnare e che Juventus e Lazio si stanno contendendo. C’è un posto in Champions che Roma e Napoli sperano ancora di raggiungere a dispetto dell’Atalanta. C’è un posto in Europa League ancora in palio. E poi ci sono le retrocessioni con ‘pacchetto paracadute’ di serie.

E poi ci sono i vari Antonio, Marco che hanno perso il proprio lavoro. Però si dai, al lavoro ci possiamo rinunciare, in un modo o nell’altro la pagnotta a casa la portiamo. La cosa importante è il calcio, come si fa senza?

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Centoventiquattro partite in un mese e mezzo. Squadre che giocano ogni tre giorni. Gare spezzettate per la felicità delle pay TV e calcio tutta la settimana. Tutti contenti. Forse un po’ meno Giulia, Ciro che ce l’hanno fatta ma hanno perso un proprio caro.

Ma ci siamo, è tutto pronto.

Ma lo è davvero? Siamo pronti a ripartire? Forse sì, perché in Italia soffriamo di un Alzheimer precoce per cui tendiamo a dimenticare molto presto. Tra qualche ora, dopo l’importantissimo minuto di silenzio, staremo sdraiati sul nostro amico divano, davanti ad un televisore da 60 pollici e – alla vista di quella sfera magica che gonfia le reti di tutta Italia – il resto sarà svanito. Giuseppe, Maria, Antonio, Marco, Francesco, Giulia, Ciro spazzati via con un colpo di spugna.

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Ma ormai ci siamo, è tutto pronto.

E a furia di ripeterlo, iniziamo a crederci anche noi.

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