Approfondimenti
ÇA VA SANS DIRE – La Foto lungo il Fiume

Salah!
Mané Mané!
and Bobby Firmino
but we sold Coutinho
Feat. The Kop
Tredicimila luci accese, molte delle quali si tuffano nella Mosella: il corteo d’anatre selvatiche increspa le fiammelle che svelano l’angolo cieco del Ponte Moyen.
La Tour de la Mutte protegge da un fianco la Cattedrale: quando i bagliori baciano dolci le vetrate disegnate da Chagall, dall’Esplanade l’effetto t’incanta.
Metz, tre millenni di storia raccontati in ogni anfratto, di notte indossa l’abito seducente: improvvisa appare la Ville Lumiere. Brilla tutto, assieme agli occhi di chi la guarda.
Lungo il fiume c’è un ragazzo africano, osserva tutt’intorno. Sadio non è mai stato tanto lontano da casa: il luccichìo diffuso, le navate gotiche, i tetti in lavagna che precipitano verso il pavè. Magro, faccia perplessa, veste una tuta grigia che gli sta troppo larga. Passa una coppia, attempata e ben vestita: Madame ha una splendida macchina fotografica.
Quant’è lontana, casa sua. Guarda la Mosella e pensa al suo, di fiume. Il Casamance entra benedetto a Sédhiou: non vedrai luci riflettersi nell’acqua se non gli occhi dei pescatori, all’alba. Implorano il fiume sporgendosi dalle pagode, chè dalle reti salga un po’ di sollievo alla fame. A riva, le donne s’affidano a chissà quali anime, in attesa della Graziadiddio. L’infinita prole raccoglie quattro stracci e li lega. Tutti corrono, tutti calciano, tutti ridono. Non ci sono linee, non ci sono porte, solo terra arsa dal sole del Senegal.
La faccia tosta non manca a chi ha calpestato scalzo il Continente Nero. Sadio s’avvicina alla coppia, educato, ed indica la fotocamera.
Madame, mi farebbe una foto? Sa, è per la mia mamma…
È arrivato fino in Francia, Sadio: e dove sennò? Quel giorno d’estate del 2002 non s’aspettava che il fischio d’inizio. La gente di Sédhiou s’era raccolta sullo sterrato prospiciente la Boutique de Droit: la comunità aveva attrezzato la TV per tutti. La prima partita dei Mondiali, il Senegal contro la Francia Campione del Mondo. Barthez, Djorkaeff, Titi Henry: gli imbattibili caddero sotto le zanne d’un leone con la nove. Al minuto trenta, il gol di Papa Boupa Diop è una folgore nel cuore del piccolo Sadio, accosciato in prima fila con le ginocchia impolverate di terra rossa.
Da quel giorno, non smette di giocare a calcio.
La signora sulla Mosella sorride, avvolta dal foulard di seta bordeaux. I figli son cresciuti in fretta, la vita è arida di sussulti ed un hobby diventa necessità impellente. S’è fatta regalare dal panciuto consorte una fotocamera costosa, magari sfonda nella fotografia. Non è mai troppo tardi, a nord dell’Equatore. Chiedendole una foto, quel ragazzo l’ha addirittura lusingata. Si esibirà nel più banale e al tempo stesso intenso degli scatti: la verità dell’attimo immortalata in un’immagine. Un giovane uomo ha appena incontrato la Fortuna e resta fedele alla propria identità.
Una rarità. Un capolavoro. Invierà la foto a mezzo mail, Madame: c’è solo un problema, il ragazzo un indirizzo mail nemmeno ce l’ha.
La mandi alla posta elettronica dove lavoro, ho appena firmato per il Football Club de Metz
È parso subito bravino, Sadio: di sicuro il più bravo del suo Villaggio. Certo, la povertà è ovunque ed il suo papà non fa eccezione. A certe latitudini, tuttavia, la solidarietà si declina in maniera del tutto naturale. Tutti ci mettono qualcosina, ed il giovanotto può partire per Dakar. Sosterrà un provino e con l’aiuto di Dio avrà fortuna. Ad oggi, quel ragazzino manda settanta euro al mese a ciascuna delle famiglie di Sédhiou che parteciparono alla colletta: da quelle parti, fidatevi, fanno tutta la differenza del mondo. A Dakar ci arriva con le scarpe rotte, il suo sport si pratica scalzi. Lo guardano di sbieco, con disprezzo. Udite udite, anche il Senegal sa essere snob. Sadio non si smonta, entra in campo colle stesse scarpe rotte ed è comunque il più bravo di tutti. Lo osservavano con occhi sprezzanti ed ora quasi s’accapigliano per chi debba ingaggiarlo. Uno così, da queste parti, passa una volta ogni tanto.
La carriera di Sadio Mané è cominciata con un paio di scarpe rotte: inevitabilmente lo condurrà in Europa. Appena sedicenne, ancora bambino. Lo accoglierà una squadra di seconda divisione francese, il Metz: firma il contratto e non gli par vero. La nostalgia di casa, della madre e delle strade dove prendeva a calci gli stracci è pur valsa a qualcosa. Stralunato, quasi incredulo si concede una passeggiata lungo il fiume, e quella fotografia scattata da Madame rimane il poster della sua carriera.
Ancora oggi. Diretto dalla bacchetta magica di Jurgen Klopp, si esibisce in un coro di voci bianche e maglie rosse: assieme ad interpreti quali Momo Salah e Bobby Firmino regala al mondo esposizioni d’arte contemporanea, tracce di luce degne della South London Gallery.
Gioca col pallone di cuoio e non più cogli stracci legati. Sotto i piedi i fili d’erba più verdi del pianeta e non più terra bruciata. Il completino da calcio senza più pantaloncini slabbrati che cascano sul più bello. È cambiato tutto e lui è rimasto lo stesso. Lo stesso ragazzino che il Villaggio mandò a stento a Dakar, che è sbarcato in Francia e s’è fatto fotografare da un passante, oggi si occupa a distanza della sua Terra, della sua Gente. Senza la quale non sarebbe mai nemmeno partito da Sédhiou.
L’Africa Nera racconta che se vuoi andare veloce, corri da solo: se vuoi arrivare lontano, corri con gli altri. Sadio Mané, figlio del vento, è più veloce di tutti: non sono certo conosca il detto, ma non ha mai lasciato dietro nessuno.