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NUMERO 14 – Il bavero alzato, le mani in tasca

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Roma, 18 Gennaio 1977. Verso le 19.30 tre uomini entrano in una elegante gioielleria del quartiere Flaminio. I primi due conoscono il titolare del negozio che tuttavia resta insospettito dall’atteggiamento del terzo. Ha i nervi a fior di pelle, ha già subito vari tentativi di rapina, l’ultimo l’ha sventato lui stesso ferendo uno dei banditi con il suo revolver calibro 7,65. La stessa arma che adesso estrae puntandola verso uno del trio, che prontamente alza le mani per mostrarsi disarmato. L’altro, quello che lui non conosce, quello che potrebbe essere un malintenzionato, resta immobile. E’ ancora a viso coperto perché si è sollevato il cappotto al momento di entrare. Ha il bavero alzato, le mani in tasca.

Tragico equivoco

E’ un attimo: il gioielliere punta l’arma contro lo sconosciuto e fa fuoco. L’uomo, colpito in pieno petto, si accascia al suolo. Uno dei suoi due compagni gli  intima di smetterla con gli scherzi ma è l’isterismo a parlare al suo posto. Cerca di reagire al cinismo brutale della Sorte negando quello che ha sotto gli occhi. Tutto inutile: lo sguardo dell’uomo dal cappotto rialzato si sta già facendo vitreo, è in agonia. Una disperata corsa all’ospedale più vicino servirà soltanto a constatarne il decesso. Preceduto, come da prassi, dall’identificazione. Si chiama Luciano Re Cecconi, ha 28 anni e di mestiere fa il calciatore. Centrocampista titolare della Lazio campione d’Italia neanche tre anni prima e anche nel giro della Nazionale. Un atleta di successo che è rimasto vittima di uno scherzo finito in tragedia. Una burla da lui stesso architettata che gli si sarebbe rivoltata contro. Ma Re Cecconi ha veramente simulato una rapina per gioco? Davvero ha minacciato il gioielliere? Oppure la sua unica colpa è stata quella di coprirsi il viso entrando nel negozio? Il bavero alzato, le mani in tasca.

Uno spogliatoio esplosivo

Le testimonianze dei suoi compagni di squadra sono unanimi. Luciano era la persona più equilibrata del gruppo. L’unico, oltre all’allenatore Tommaso Maestrelli, in grado di mediare tra le due fazioni opposte di quella Lazio. La prima capeggiata dal capitano Giuseppe Wilson, il libero, e dal centravanti Giorgio Chinaglia contro la seconda, il cui punto di riferimento era il terzino Luigi Martini. Tra le parti vi era odio autentico, al punto che era impossibile condividere lo spogliatoio, sarebbe stata una continua rissa. L’arrogante Wilson e l’irascibile Chinaglia non si facevano scrupolo di usare la violenza fisica per soggiogare i compagni. Chi non stava al loro gioco era confluito nel gruppo guidato da Martini, il primo a ribellarsi all’autoritarismo dei due capibanda. Re Cecconi era amico di Martini dai tempi del militare e non sopportava le prepotenze. Quindi si era schierato dalla sua parte e, in virtù del suo carattere equilibrato, si era guadagnato il ruolo di mediatore, simboleggiato dal nomignolo appiccicatogli, “il saggio”. Più di una volta aveva risolto questioni apparentemente inestricabili. Difficile, quindi, accettare l’idea che un tipo così si fosse trasformato, all’improvviso, nella caricatura di un delinquente. E che fosse rimasto vittima di un equivoco originato da un look sospetto. Il bavero alzato, le mani in tasca.

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Versioni contraddittorie

Nemmeno le testimonianze dei presenti all’evento aiutano a chiarire l’accaduto. Il gioielliere affermò di non seguire il calcio e di non aver riconosciuto Re Cecconi. Il che suona strano dato che giocatore era residente in zona ed era un personaggio noto, all’apice della sua carriera. Inoltre era entrato nel suo negozio  in compagnia di due suoi conoscenti. Uno dei due, Pietro Ghedin, compagno di squadra di Luciano, era quello che era stato sotto mira per qualche istante prima che sollevasse le mani dalle tasche. Era forse lui che aveva simulato la rapina mentre Re Cecconi non aveva proferito parola? Ghedin, rimasto in stato di shock per parecchie ore dopo l’accaduto, ha sempre dato versioni discordanti dell’accaduto. Dapprima ha affermato che fosse stato Luciano a pronunciare le parole di minaccia, dopodiché ha negato che l’avesse fatto. L’unica cosa certa è che lui fu rapido a mutare atteggiamento, alzando le mani per aria. Re Cecconi rimase nella posa in cui era entrato. Il bavero alzato, le mani in tasca.

Assoluzione contestata

Il gioielliere, arrestato per “eccesso colposo di legittima difesa”, fu assolto 18 giorni dopo. I giudici decisero di applicare la scriminante della “legittima difesa putativa”. In pratica, tenuto conto che aveva subito altre rapine in un recente passato, la sua reazione, con l’uso immediato dell’arma da fuoco, venne considerata come un errore indotto dalla stato di tensione accumulato. L’abbigliamento e le movenze del giocatore fecero il resto, la Corte statuì che Luciano Re Cecconi era stato credibile nella sua imitazione di un bandito. E la sua morte è stata solo la conseguenza di una errata percezione dell’evento da parte del suo omicida. Contro la sentenza non fu presentato ricorso da parte della Procura di Roma, nonostante il parere contrario del Pubblico Ministero, convinto che non fossero “stati valutati correttamente tutti gli elementi emersi”. Perplessità condivise anche dai compagni di squadra di Luciano e dall’opinione pubblica, oltre che alcuni esponenti politici di rilievo. Si disse che non era possibile “sparare al cuore di una persona” solo perché poteva avere l’aspetto di un rapinatore. Il bavero alzato, le mani in tasca.

Specchio dei tempi

La vicenda di Luciano Re Cecconi è rimasta nella memoria collettiva come il simbolo di un periodo difficile. Era talmente facile, in quell’Italia di fine anni Settanta, avere una pistola. Bastava avere il congedo militare e presentare una apposita istanza alla Prefettura, corredata da uno stato di famiglia ed alcuni versamenti e marche da bollo. Qualunque cittadino, cosi rapidamente munito di porto d’armi, poteva fare uso di un arma da fuoco, non necessariamente per difendere una sua proprietà. Tra i giocatori della Lazio era, infatti, abituale l’uso di simili strumenti per giocare al tiro a segno durante i lunghi ritiri prepartita. E uno dei pochi a non possederne una era proprio Luciano Re Cecconi, divenuto poi, suo malgrado, un personaggio emblematico di quel periodo. Un ragazzo come tanti, che stava passando una normale serata tra amici e che, a causa di un crudele fraintendimento delle sue intenzioni, incontra il suo Destino. Il bavero alzato, le mani in tasca.

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