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NUMERO 14 – Eccesso di talento

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Del Piero è grande ma il più forte di tutti è Morfeo”. Parola di Alessio Tacchinardi, ex centrocampista di Atalanta e Juventus, uno che con i due calciatori in questione ci ha giocato assieme parecchi anni. Abbastanza per essere sicuro di quello che ha detto. E se la carriera sfolgorante del primo è ormai nella memoria collettiva come mai il nome del secondo ai più non dice nulla? Uno che aveva addirittura più classe del Pinturicchio bianconero non ha, dunque mai sfondato? Storia incredibile ma vera, quella di Domenico Morfeo, fantasista abruzzese classe 1976, tra debutti precoci, occasioni mancate in grandi club e un inevitabile finale in provincia.

La promessa dell’Atalanta

Il suo scopritore Mino Favini, responsabile del settore giovanile dell’Atalanta, non ha dubbi: “Era talento puro!”. Gli avevano segnalato un ragazzino 14enne che faceva furore nei tornei della sua regione. Aveva voluto vederlo di persona e ne era rimasto estasiato: fisico e movenze da  autentico trequartista, uno scatto che lascia sul posto l’avversario e un sinistro che accarezza il pallone prima di regalargli traiettorie inconcepibili per i coetanei. Istantaneo l’ingaggio, fulmineo il trasferimento a Bergamo dove, in breve, lo aveva raggiunto la sua famiglia. Supporto indispensabile quest’ultimo per un ragazzo difficile da gestire. In campo e fuori. Sul terreno di gioco la sua “perfezione tecnica” (definizione sempre di Favini) gli causava incomprensioni con i compagni  di squadra, spesso disorientati dalle sue imprevedibili invenzioni. Un eccesso di talento, insomma.  Fuori, invece, il suo carattere chiuso e la sua insofferenza ai rimbrotti provocano continui litigi con gli allenatori, non sempre disposti a chiudere un occhio su colui che gli risolve le partite. Anche se di incontri ne risolve davvero tanti, al punto che in quegli anni la società orobica fa incetta di trofei a livello giovanile, tra scudetti e Tornei di Viareggio. Sempre con Morfeo come leader della squadra. E Cesare Prandelli, il tecnico che l’ha formato prima negli Allievi e poi nella Primavera, si affida a lui anche quando diventa allenatore della prima squadra, facendolo debuttare in A a nemmeno 18 anni.

Verso l’affermazione

Sembra l’inizio di una carriera da predestinato: dopo il debutto torna nella Primavera ma, ad otto giornate dal termine della stagione, viene richiamato in prima squadra per rimanerci. L’Atalanta è invischiata nella lotta per non retrocedere, occorre fare di tutto per rimanere in massima serie. In una situazione del genere si può scegliere anche di aggrapparsi alle giocate di un ragazzino acerbo. Che, in verità, il suo dovere lo fa eccome: nove partite disputate, tre reti messe a segno e parecchi numeri d’alta scuola sciorinati davanti a un pubblico che ne fa subito un suo beniamino. Sembra nato per essere un idolo: il suo modo di giocare infiamma i tifosi, la sicurezza che mostra in campo lo fa sembrare un veterano, il suo stesso cognome (il Dio greco dei sogni)  autorizza a lasciarsi andare a dolci fantasie di gloria. L’Atalanta scivola comunque in serie B ma per Morfeo, ormai, sembra delinearsi un ruolo da titolare fisso in una squadra che risalire immediatamente di categoria. Non è di questo parere, però, il nuovo trainer, Emiliano Mondonico. Lui stesso è stato, ai suoi tempi, un giocatore talentuoso ma indisciplinato. Riconosce subito in Morfeo le caratteristiche di un purosangue, ma sa bene che c’è bisogno di disciplina per farle venir fuori. Contro tutto e tutti decide di centellinarlo lasciandolo spesso in panchina. Il diretto interessato, ferito nell’orgoglio, si scontra più volte con l’allenatore che, tuttavia, non recede di un millimetro dalla sua decisione. Alla fine la cura Mondonico, fatta di lavoro, silenzio e sacrifici, ha effetti benefici: Morfeo torna titolare e accompagna l’Atalanta fino al quarto posto finale, che vuol dire ritorno in Serie A.

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La consacrazione

Stavolta non ci sono dubbi, ha il posto di titolare fisso in squadra sin dalla prima giornata. Si punta decisamente su di lui e non delude le attese: gran campionato, 11 reti messe a bilancio e numerosi assist per il suo compagno di reparto Christian Vieri, lo stesso giocatore con cui fa coppia anche nell’attacco della Nazionale Under 21 di Cesare Maldini, impegnata negli Europei di categoria. Nel ruolo si alterna spesso con il già citato Del Piero e un altro fantasista che di nome fa Francesco Totti. Due rivali di sicura classe, eppure non sono poche le occasioni in cui devono cedergli il posto. Come avviene anche nella finale dell’Europeo contro la Spagna quando Morfeo rileva Totti e ha anche la ventura di tirare e segnare il rigore decisivo per l’assegnazione del trofeo. E’ il protagonista della vittoria, molto di più dei due già celebri compagni. E’ la nascita di una stella, o almeno cosi pare. Il campionato successivo è molto più avaro di marcature per lui (appena 5 gol) ma generosissimo per gli assist che dispensa a piene mani per uno scatenato Filippo Inzaghi, divenuto capocannoniere del torneo con 24 reti soprattutto grazie a lui. Le sue prestazioni gli valgono le attenzioni della Fiorentina, è venuto il momento di lasciare Bergamo per tentare la scalata al grande calcio.

Giramondo del pallone

In realtà è solo l’inizio delle sue peregrinazioni per l’Italia: dopo un ottimo inizio in viola, con numerosi assist per il bomber Batistuta, l’arrivo del brasiliano Edmundo (uno che, secondo lui, “doveva giocare per forza”) lo confina in panchina fino al termine della stagione. Infastidito dalla situazione, Morfeo non ci pensa due volte a cambiare aria e si trasferisce in prestito al Milan guidato da Alberto Zaccheroni. Spera di svoltare approdando in un grande club metropolitano ma le idee del tecnico romagnolo non prevedono spazio per lui e, dopo alcuni malinconici sprazzi di partite, ritorna a Firenze con la sensazione di avere sprecato un anno. Il club gigliato ci crede ancora ma ritiene che abbia bisogno di giocare molto per esplodere e lo gira di nuovo in prestito, questa volta al Cagliari. Decisione infausta: poche partite, molti infortuni e un solo gol messo a segno. L’esperienza isolana è fallimentare, non resta che tornare a Firenze per riprovarci di nuovo, in una nuova squadra. Stavolta la prescelta per  il rilancio è il Verona, e non a caso. In panchina c’è Cesare Prandelli, l’uomo che l’ha cresciuto a Bergamo. Lo conosce a memoria e sa come utilizzarlo. I fatti parlano da soli: sei mesi di permanenza, un ruolo da leader, 10 presenze, 5 gol segnati e assist a raffica. Il Verona è salvo e solo grazie a lui. Torna in Toscana da trionfatore, stavolta potrebbe essere davvero quella buona? Macché, un nuovo infortunio e un tecnico che proprio non lo vede riducono il suo bilancio ad appena due presenze e nessun gol. Tocca fare di nuovo la valigia ma questa volta per un ritorno, a Bergamo. L’Atalanta di Vavassori è un approdo sicuro, per un buon campionato che gli vale l’ennesimo ritorno a Firenze e una nuova scommessa per il futuro. Stavolta rimane e gli si consegna una maglia da titolare. Ma il campionato va a rotoli e, a fine anno, Morfeo si ritrova nel mirino della tifoseria. Una maglia bianca con la scritta “indegno” e l’accusa di essere un mercenario sono l’epitaffio sul suo rapporto con la Fiorentina.

Finale di carriera

A quasi 27 anni è pronto per l’ultima sfida. Ancora Milano ma questa volta l’Inter. O sfonda o affonda. Accetta di tutto, anche di non essere titolare in partenza e di giocare in un ruolo non suo, esterno di centrocampo a sinistra. In questa posizione gioca anche varie partite di Coppa. In una di queste contende un rigore al compagno Emre. Lo tira e lo sbaglia. Da quel momento non scenderà mai più in campo. Il suo rapporto con il grande calcio è finito. A fine anno si accasa al Parma per il ciclo più duraturo della sua carriera. Cinque stagioni, i soliti alti e bassi, i soliti litigi con gli allenatori (Prandelli a parte) e la perdurante sensazione di eterno incompiuto. Appesi gli scarpini al chiodo non resterà nell’ambiente del calcio preferendo reinventarsi come imprenditore e aprendo un ristorante. Un epilogo strano per chi si faceva preferire a Del Piero e Totti ma, nel suo caso, i limiti che ne hanno frenato irrimediabilmente l’ascesa sono da ricercarsi nel suo carattere più che nelle sue indiscutibili doti. Rimangono i suoi sprazzi di talento, la sua espressione imbronciata e parecchi rimpianti.

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