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NUMERO 14 – Il tempo è galantuomo

“Non ho mai vinto nulla con la Nazionale”. Le lacrime di gioia di Roberto Mancini, dopo la vittoria nell’ultimo Europeo, sanciscono la fine di un antico cruccio del nostro commissario tecnico. Ad una carriera piena di soddisfazioni con le squadre di club, tra cui due scudetti storici con Sampdoria e Lazio, faceva da triste pendant un curriculum privo di titoli con la maglia azzurra, con l’aggravante di non aver mai disputato neanche una partita ai Mondiali. La storia del suo rapporto travagliato con la rappresentativa nazionale è scandita da vari episodi: il precoce inserimento nella lista dei papabili per il Mondiale dell’82 per poi esserne depennato all’ultimo momento, la fuga notturna dal ritiro che gli costa il Mondiale successivo in Messico, il ruolo da comprimario per forza riservatogli per il Mondiale casalingo del 1990 fino alla sua auto esclusione dalla spedizione diretta a Usa ’94.
Riavvolgiamo il nastro del tempo all’indietro e partiamo dall’inizio di questa storia, da quando un 13enne marchigiano sbarca a Bologna per essere inserito nelle giovanili del club petroniano. Di lui si dicono già meraviglie e il suo rendimento sul campo non lascia adito a dubbi: tre anni nei Giovanissimi e uno nella Primavera gli bastano per conquistare le attenzioni dell’allenatore della prima squadra per un esordio nella massima serie all’età record di 17 anni.
E’ un Bologna in tono minore, disputa un torneo mediocre che si conclude con una ingloriosa retrocessione tra i cadetti ma il talento del ragazzo di Jesi ha conquistato tutti e il suo score è da predestinato: 30 presenze da titolare e nove reti al suo attivo, mai un debuttante ha fatto di meglio in tutta la storia del Campionato di Serie A.
Tutti i club più prestigiosi fanno a gara per assicurarsi le sue prestazioni ma, alla fine, a spuntarla è l’ambiziosa Sampdoria dell’arrembante presidente Paolo Mantovani che non si fa scrupolo di firmare un assegno di 4 miliardi pur di portarlo a Genova e farne il simbolo della sua squadra.
Prima dell’inizio della nuova stagione c’è il Mondiale da giocare e Mancini si è guadagnato anche la considerazione del ct della nazionale Enzo Bearzot. Il Vecio lo stima, manda più volte i suoi collaboratori a seguirlo e, alla fine, lo inserisce nel gruppo dei 40 atleti da cui sceglierà i 22 che partiranno per la Spagna.
All’ultima scrematura, però, decide di assegnare l’ultimo posto disponibile in rosa al più esperto Franco Selvaggi, rinviando il suo debutto in azzurro al futuro prossimo.
Il trionfo di Madrid consente a Bearzot di preparare in tranquillità il gruppo per il Mondiale successivo, sperimentando le nuove leve in una serie infinita di amichevoli dato che lo status di Campioni del Mondo garantisce la qualificazione di diritto al torneo senza passare per le forche caudine delle qualificazioni.
Il nostro fa il suo esordio in nazionale in una tournée di fine stagione negli USA, disputando due partite contro la selezione statunitense e il Canada. Un tempo per ognuna delle due gare in programma e buoni numeri mostrati in campo.
Ma i veri fuochi d’artificio ci sono fuori dal terreno di gioco: l’ultima sera il neanche ventenne Mancini cede al fascino della Grande Mela e si concede una serata di divertimento alla celebre discoteca Studio 54 assieme ad alcuni compagni di squadra.
Al suo rientro in albergo, verso le 6 del mattino, trova Bearzot in piedi ad aspettarlo. Il ct è furibondo e non gli risparmia nulla: ha dimostrato inaffidabilità e poco rispetto per la squadra, è fuori dal gruppo fino a che non chiederà scusa a tutti.
Mancini incassa la sfuriata ma non abbassa lo sguardo: non è stato l’unico a andare in giro a divertirsi ma il tecnico se l’è presa soltanto con lui in quanto è il più giovane di tutti nonché l’ultimo arrivato. Pensa che Bearzot l’abbia scelto come capro espiatorio perché è molto più facile colpire lui rispetto a qualsiasi veterano della squadra. Non ritiene di aver sbagliato e non fa nessuna chiamata di scuse, il che gli costa la convocazione per il Mondiale dell’86, dove invece colleziona scampoli di partite il suo “gemello” sampdoriano Gianluca Vialli.
La coppia di attaccanti è, naturalmente, il fiore all’occhiello della nazionale under 21 di Azeglio Vicini che, pochi mesi dopo la fine del torneo in Messico, si trova a giocare la finale del campionato europeo di categoria contro i coetanei della Spagna.
Mancini e Vialli danno spettacolo nelle due finali ma l’esito finale, ai rigori, è favorevole agli iberici, resta solo il piazzamento d’onore.
Poche settimane dopo, a Bologna, c’è un doppio esordio in Nazionale maggiore: sulla panchina, al posto del dimissionario Bearzot, c’è Vicini mentre scende in campo Mancini per il tanto sospirato debutto.
E’ l’inizio di un percorso accidentato: la stima del tecnico per il giocatore lo porta a schierarlo titolare nella maggior parte degli incontri ma la discontinuità di rendimento e le intemperanze caratteriali di Mancini gli precludono la possibilità di affermarsi come leader del gruppo che è ormai capitanato dal suo omologo Vialli.
I due disputano come coppia d’attacco titolare gli Europei in Germania dell’88: le consuete grandi giocate di Mancini sono alternate a molte, troppe pause. L’eliminazione dal torneo nelle semifinali sancisce anche la fine della titolarità del giocatore in nazionale. Da quel momento in poi l’allenatore azzurro affianca altri partner in attacco all’ormai intoccabile Vialli fino a che sembra designare, come secondo titolare, la punta del Napoli Andrea Carnevale.
Al debutto nel Mondiale casalingo contro l’Austria gli attaccanti azzurri sbagliano qualche gol di troppo ma, al momento di richiamare in panchina Carnevale, il suo sostituto è Salvatore Schillaci, attaccante siciliano della Juventus, che è stato inserito nel gruppo all’ultimo momento.
Il nuovo entrato riesce a segnare, sbloccando una situazione difficile, e poi disputa un torneo in irresistibile crescendo, guadagnandosi a suon di reti prima la titolarità e poi addirittura il titolo di capocannoniere della manifestazione, mettendo in ombra il totem Vialli, penalizzato anche da un infortunio.
Mancini, pur facendo parte della selezione, viene messo dal dimenticatoio dall’allenatore, relegato in tribuna per tutto il tempo senza neanche la soddisfazione di giocare almeno la finalina per il terzo posto.
La rabbia per il trattamento riservatogli viene fuori qualche mese dopo, quando accusa, senza mezzi termini, il ct di essere un vigliacco e di aver penalizzato lui e Vialli in quanto giocatori della Sampdoria per favorire invece quelli militanti in club più prestigiosi come Juventus e Milan.
La querelle innescata gli costa nuovamente il posto in squadra, viene reintegrato solo al momento del nuovo avvicendamento in panchina: a Vicini subentra Arrigo Sacchi.
L’ex tecnico del Milan recupera Mancini alla causa e gli affida il ruolo di prima punta, in tandem con l’altro fantasista Roberto Baggio, escludendo definitivamente Vialli.
Tuttavia l’alchimia tattica tra i due non funziona, l’esperimento cade nel vuoto, il giocatore esce di nuovo dalla formazione titolare e, pochi mesi prima del Mondiale americano, Mancini comunica all’allenatore di non essere disposto a far parte del suo gruppo solo come riserva.
Sacchi ne prende atto e sceglie di portare negli USA Gianfranco Zola mentre Mancini, a nemmeno 30 anni, termina la sua esperienza di giocatore con la maglia azzurra, con poche soddisfazioni e molti rimpianti.
Ma nessuno si azzardi a dire che il Destino non esiste: pochi giorni fa, allo Stadio Wembley di Londra, lo stesso dove versò lacrime di rabbia dopo la finale di Coppa dei Campioni persa contro il Barcellona, il ct Roberto Mancini si è ritrovato ancora una volta con gli occhi umidi e tra le braccia dell’inseparabile partner Vialli, ma per festeggiare una grande e meritata vittoria. Alla fine anche per quel ragazzo impulsivo, diventato nel frattempo un saggio ed elegante allenatore, il tempo ha dimostrato di essere un galantuomo.