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#LBDV – Roma, ti ricordi ancora? La finale sfiorata, la caduta, Pallotta e Friedkin: due anni di giallorosso
“E’ stata una grande serata”: così Eusebio Di Francesco, ai microfoni del post gara, definisce il 4-2 dell’Olimpico contro il Liverpool. Sono passati due anni dalla – quasi – impresa della Roma: una partita che ancora grida vendetta, da annali dello sport; una gara che rimane impressa nelle menti e nei cuori dei tifosi giallorossi, che hanno esultato incontenibilmente quattro volte, prima di doversi arrendere al tragico destino che caratterizza il calcio. Un goal, un solo goal: in finale vanno i Reds.
Roma, dalla quasi finale alla “caduta”: i giallorossi piegati dai rimpianti
Quell’anno lì fu un grande anno, per la Roma: tutto girava a meraviglia, anche la sorte pareva essere dalla parte dei giallorossi; i meccanismi di gioco di Di Francesco, votati all’offensiva, alle fasce larghe, ai terzini come martelli, erano pienamente inglobati nella mentalità di una squadra che vinceva e convinceva, seppur con qualche difficoltà legata perlopiù alle scelte societarie, che ad altro.
Fu così che la Roma cominciò a sognare in Champions: la serata di Manolas, il dieci aprile di quell’anno, permette alla Roma di accedere alle semifinali di competizione – ad attenderli c’erano proprio i Reds di un novello Klopp. La rimonta col Barça, proprio ai quarti, aveva forse fatto credere che la Fortuna non potesse abbandonarli. Eppure capitò: capitò che decidesse di voltare lo sguardo proprio nel momento in cui di lei c’era più bisogno, proprio quando serviva un solo goal per decretare il pareggio netto e giocarsela, poi, nei supplementari. Il goal di Dzeko, l’autogoal di Milner e poi la doppietta negli ultimi 10′ di Nainggolan: la Roma sembrava aver ripreso il banco, sembrava potesse davvero farcela. Ma i minuti scadono, il tempo non c’è più; la Roma si arrende al destino, beffardo per averla portata sin lì e averla fatta cadere sul più bello.
Tra le lacrime dell’Olimpico tutto, non ci si accorge di una cosa: Icaro è arrivato fin troppo vicino al sole, ora è il momento di cadere. E la Roma cade davvero, la stagione successiva: troppe incomprensioni, troppe problematiche, troppe teste a ragionare su posizioni diverse.
L’esonero di Di Francesco, un anno dopo – giorno più, giorno meno – l’impresa in Coppa rende pienamente l’immagine di una Roma stanca, demotivata, che ha voglia di cambiare. Il risultato era chiaro a tutti, sin dai primi giorni di campionato: dopo l’ascesa, c’è la caduta.
L’ira fuori dal campo: Pallotta la fa un po’ troppo fuori dal vaso, i tifosi insorgono
La stagione maledetta ebbe però un colpevole, a capo: James Pallotta. Il magnate italo-americano, presidente della Roma, non aveva fatto bene i conti: l’idea di fatturare con la Roma si scontrava – per ovvio che sia – con le richieste dei tifosi. Fin quando tutto va bene, problemi non se ne presentano; i problemi sorgono, però, quando le cose cominciano a farsi difficili.
Nel corso del 2018 e per tutto il resto del 2019 le mosse di Pallotta e della società andarono in direzione ostinata e contraria alle volontà degli ultrà. Le cessioni del duo di estremi difensori, Alisson e Skorupski, insieme a quella di Nainggolan all’Inter, posero le fondamenta ai primi focolai che poi vennero a crearsi; fondamenta che furono poi maggiormente rinforzate da acquisti spacciati per oro e finiti per essere poco più che metallo grezzo: Olsen, Bianda, Kluivert, Pastore; unica nota positiva, indubbiamente, l’arrivo di Nicolò Zaniolo, che non fece rimpiangere l’addio del centrocampista belga.
L’addio di Di Francesco, poco prima del termine della stagione, rimanda una nuova immagine: quella di una Roma piena di nomi ma di pochi pensieri, capace di prendere sette goal da una Fiorentina tutt’altro che big e di farsi eliminare in Champions – la stessa Champions che l’anno prima avevano quasi sfiorato – da un Porto grosso e lento, senza gioco ma con tanta rabbia.
#Roma, oggi #Ranieri dirigerà il primo allenamento, ufficialità in arrivo. Dopo l'esonero di Di Francesco, termina anche il rapporto con #Monchi (rescissione consensuale). Il ds spagnolo è a un passo dall'#Arsenal (ufficialmente da luglio), dove ritroverà Emery.
— Matteo Pedrosi (@MatteoPedrosi) March 8, 2019
Le ire dei tifosi continuarono per mesi, arrivando quasi a produrre veri e propri scontri fisici: chiunque ricorda bene gli ultrà appollaiati sotto la sede della società, aspettando la testa di Pallotta e dei suoi collaboratori; rabbia che non fu mai sfogata – per fortuna – ma che mise De Rossi, romano e romanista fino al midollo, in condizione di dover far da paciere tra le parti, a favore di una dirigenza che aveva cacciato Totti, e da cui presto sarebbe fuggito anche lui.
La rinascita: una stagione senza pretese ma piena di sorprese
E’ chiaro che, al nuovo giro, nessuno si sarebbe aspettato nulla dalla Roma: l’arrivo in panchina di Paulo Fonseca, allenatore sconosciuto ai più, fu solo un contentino dato a chi, per mesi, aveva cercato Antonio Conte. Il portoghese porta però con sé una ventata d’aria fresca, insieme ad alcuni giovani – Diawara dal Napoli, Cetin dal Genclerbirligi e Mancini dall’Atalanta – e tanti calciatori d’esperienza in cerca di riscatto – Smalling, Mkhitaryan, ma lo stesso Veretout al giunto salto di qualità.
Non acquisti da grande squadra, soprattutto per le modalità – tanti prestiti secchi o con diritto di riscatto, ma nessuno, come detto, si aspettava nulla dalla Roma. Eppure, la fortuna torna a vivere nella Capitale. Le prime partite convincono, il gioco di Fonseca – per certi versi simile al primo Di Francesco – sembra essere vincente. In poco tempo la Roma supera il Napoli imborghesito di Ancelotti – altra storia di tanti colpevoli e nessun santo, ndr – e si piazza in zona Champions League, di nuovo, come in passato.
E se da un lato il campo regala gioie, dall’altro anche in società sembra muoversi qualcosa. In dicembre prende piede l’idea di un cambio di rotta, con l’opzione Friedkin sempre più concreta: il magnate americano ha messo gli occhi sulla Roma e Pallotta è disposto a cedere un progetto che, ora come ora, è più una palla al piede che altro.
Il coronavirus blocca tutto, però: sia il campionato che il passaggio di proprietà, a cui mancano davvero solo le firme. Ora non resta che aspettare: aspettare la ripresa, del gioco e di altro; ma questo è anche un momento per riflettere sul passato, il presente ed il futuro, guardando a ciò che è stato e a ciò che sarà. Romolo avrà di nuovo la sua Lupa. O, almeno, così piace credere.