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NUMERO 14 – L’ancora di un Ulisse

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L’estate del 1970 ha un finale amaro per Gigi Riva. Mentre ancora si festeggia lo storico scudetto per le strade di Cagliari il bomber di Leggiuno raggiunge il ritiro della Nazionale. C’è un Mondiale in Messico da affrontare: molti credono in una vittoria, arriva solo un secondo posto dietro al Brasile di Pelè. Sarebbe un piazzamento più che onorevole, data anche l’enorme caratura degli avversari, ma le alte aspettative dell’opinione pubblica lo tramutano in un fallimento. Riva è il principale capro espiatorio della sconfitta: si tira in ballo la sua scarsa propensione a giocare ad alta quota, si sussurra di un amore sofferto che gli ha sottratto energie. Gli stessi che fino a poche settimane prima lo incensavano adesso lo sommergono di critiche, attaccandolo anche sul piano personale. Inevitabile che la Sardegna diventi il suo rifugio, il suo antidoto all’amarezza. Fatale anche che, tra i  tanti pensieri cupi, si faccia strada anche quello di cercare altrove nuovi stimoli. Il suo orizzonte, da buon uomo di mare, è sconfinato. Il dubbio è se cedere all’impulso di partire o trovare un appiglio per rimanere. L’ancora di un Ulisse.

Appuntamento a Vienna

Le occasioni per alzare la vela non gli sono mai mancate. Da Milano e da Torino il canto delle sirene si è levato sempre più insistente ad ogni sua rete. La melodia parlava di ingaggi elevati e frotte di giocatori in cambio dei servigi del suo sinistro. I dirigenti cagliaritani avevano fatto orecchie da mercante fino ad un certo punto, poi avevano lasciato l’onere della decisione interamente a lui. Gigi aveva scelto, esattamente come l’eroe greco, di ascoltare il canto senza abbandonarsi ad esso. Non c’era stato bisogno di una solida corda che l’assicurasse all’albero maestro della nave. Una rotta era stata già tracciata, i suoi compagni d’equipaggio avevano ricevuto precise indicazioni, il timoniere aveva indirizzato l’imbarcazione verso un lido familiare. Gigi aveva rinnovato per cinque anni con il Cagliari e poi si era recato a Vienna per una partita della Nazionale. La partita contro l’Austria era stata il suo appuntamento con il Destino. Gli azzurri avevano vinto ma lui aveva concluso l’incontro adagiato su una barella. Un brutale intervento di un avversario gli aveva trinciato la caviglia destra, chiudendo di fatto la sua stagione. Non era stato azzoppato solo un calciatore, era stata decapitata una squadra. Senza il suo cannoniere il Cagliari era stato estromesso dalla Coppa dei Campioni e aveva perso il campionato. Questa volta la Sorte aveva deciso per lui, tramutandosi in un ormeggio forzoso. L’ancora di un Ulisse.

Recupero tra gli scetticismi

La riabilitazione dopo il tremendo infortunio è lunga, le perplessità su di lui rischiano che diventi infinita. Più di un esperto afferma che non potrà mai più essere l’atleta di prima, i dubbi serpeggiano anche tra la dirigenza, qualcuno sentenzia che non averlo ceduto prima sia stato un errore. Lui serra la mascella e tira dritto per la sua strada. Sa bene che ci vorrà del tempo ma non ha nessuna intenzione di gettare la spugna. Si danna l’anima per riprendersi e torna in campo ad appena sei mesi dallo scontro con il terzino austriaco. La sua squadra ormai ha perso troppo terreno e non riesce ad impedire all’Inter di Boninsegna di vincere lo scudetto ma l’importante è rivedere Gigi correre sull’erba. Lo scatto non sembra più bruciante come ai bei tempi ma si confida che sia lo scotto da pagare ad un proficuo rodaggio. Chiude comunque la stagione con 8 reti in appena 13 presenze, confermando di poter essere ancora decisivo. I tifosi lo hanno atteso pazientemente per mesi, proteggendo la sua privacy e non facendogli mai venire meno il sostegno. Lui ricambia l’affetto della sua gente rispedendo al mittente le offerte ricevute. Il legame simbiotico con l’isola è ormai il centro della sua esistenza, l’intrepido navigatore non ha nessuna intenzione di sciogliere l’attracco. L’ancora di un Ulisse.

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L’ultima tentazione

Il torneo successivo lo vede ancora capocannoniere con 21 reti anche se il Cagliari non va oltre il quarto posto. Il gruppo che ha vinto lo scudetto ormai va sfaldandosi e anche Mister Scopigno lascia la Sardegna a fine stagione. Al suo posto in panchina arriva Fabbri, l’ex c. t. della Nazionale che, nel 1966, l’aveva portato ai Mondiali  come “aggregato” per fargli fare esperienza internazionale. Gigi non è molto ben disposto a collaborare con chi l’ha trattato con sufficienza ma fa buon viso a cattivo gioco per il bene della squadra. Il Cagliari adesso è costretto a lottare per non retrocedere ma Riva non vede questa situazione come un declassamento personale. Il suo prestigio è intatto, la reputazione anche. Nonostante ormai sia avviato verso la trentina da Torino arriva l’ennesima, folle proposta. La Juventus stavolta vuole ingaggiarlo a tutti i costi e mette sul tavolo un’offerta impossibile da rifiutare, più di due miliardi in tutto, tra denaro contante e cartellini di giocatori. La dirigenza sarda non è in condizioni di trattare, a lui la scelta. E’ davvero l’ultima tentazione, forse stavolta deciderà di varcare le Colonne d’Ercole per esplorare territori sconosciuti. Riva mette sul piatto della bilancia quello che ha e quello che potrebbe avere. E decide di restare. Il nodo che trattiene la sua barca rimane intatto. L’ancora di un Ulisse.

Il crepuscolo di un campione

Alla base della sua decisione c’è anche il desiderio di prepararsi nella migliore maniera possibile ai prossimi Mondiali in Germania. Ma le conseguenze dell’infortunio di Vienna si fanno sentire, il Riva che arriva nel ritiro azzurro è solo la pallida controfigura del campione ammirato fino a quel momento. Inutili le cure dello staff medico, riesce a disputare soltanto due partite senza incidere. La Nazionale viene eliminata già al primo turno ed è l’inizio del suo crepuscolo. Riesce a disputare ancora un paio di stagioni con il Cagliari prima di essere costretto al ritiro. Ma il fatto che svesta la maglia rossoblu non significa che la sua storia d’amore con la Sardegna sia alla fine. Decide di rimanere a vivere sull’isola, di far crescere i suoi figli in quel posto. La sua nave non lascerà mai più il porto di Cagliari, il suo orizzonte senza limiti ha trovato l’approdo ideale, trattenuto da un vincolo indissolubile. L’ancora di un Ulisse.

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