Approfondimenti
Padre Giacinto, il frate con la stola verde

Padre Giacinto, il frate con la stola verde. Un frate con la grande passione per il calcio e per l’Avellino. Un saio, un pallone e una sciarpa verde al collo, quella dell’Avellino, che a volte diventa la sua prima stola. La passione per la predicazione, per la fratellanza, i suoi principi di amore e fraternità tra la fede religiosa e quella sportiva.
É padre Giacinto da Bisaccia. Per oltre venti anni direttore spirituale dell’Avellino. Una vita passata tra convento, preghiera e stadio, ma con lo sguardo sempre rivolto al prossimo e Dio.
“Mi è sempre piaciuto giocare a calcio, ho giocato a pallone fino all’età di quarant’anni. Ero ala destra (non alla destra del Signore), il mio ruolo.” Ci racconta: “Mi trovavo spesso a organizzare tornei tra conventi, tanta era la mia passione per il calcio e per lo sport. Il ciclismo era l’altro mio interesse, ma il calcio ha caratterizzato gran parte della mia vita.”
Lei come diventò guida spirituale della squadra irpina?
“Sono stato per venticinque anni direttore spirituale dell’Avellino, dalla serie C alla serie A, negli anni ’70 e ’80. Un uomo politico, Di Nunno, mi presentò al presidente Sibilia. In occasione della partita Avellino–Cosenza in serie C, mi portò nello spogliatoio e di fronte alla squadra disse: ‘Lui è Padre Giacinto, da oggi sarà il vostro punto di riferimento’. Passavo tutti i sabato in ritiro con la squadra, celebravo la messa e stavo con i giocatori. Solo uno, nella mia esperienza all’Avellino, è stato un po’ più difficile da convincere: Bagni. Mi diceva: ‘Vengo, ma mi devo mettere il suo mantello addosso (quello che usavo sopra il saio)’. Chissà perché, mi domandavo. In quei primi anni, all’inizio di questa mia esperienza, giocavamo nello stadio nella zona del Tribunale. Il Partenio fu fatto dopo, da Costantino Rozzi, imprenditore edile che era presidente dell’Ascoli. Con il passare degli anni, nella scalata dalla serie C alla serie A, ho vissuto tanti momenti belli. Ho conosciuto un giovane Tacconi, e tanti altri giocatori che hanno contribuito a rendere forte l’Avellino. Alcuni sono andato addirittura a prenderli io all’aeroporto, come Musiello che fu acquistato dall’Atalanta. Un ricordo che porterò sempre con me fu quando giocai con Gigi Riva. Era stata organizzata un’amichevole col Cagliari nel 1978 e prima della partita mi misi a palleggiare con Riva nella zona antistante il campo da gioco”.
Qual era il suo ruolo con i tifosi?
“Diedi inizio ai treni ‘verdi’, i treni speciali che portavano i tifosi dell’Avellino in trasferta al Nord, a Bergamo, a Genova, a Como. Organizzavo trasferte per migliaia di tifosi, con l’aiuto del presidente responsabile dei club, Mario Dell’anno e il capo ultras Marco Antonio Napolitano. Riunimmo più di venti club. Al momento della partenza dei treni verdi, veniva a benedire i tifosi Monsignor Venezia, vescovo di Avellino. Non accadde mai nulla, nessun episodio di violenza. Anche quella volta che ci presentammo numerosi a Bergamo, eravamo più di tremila, i tifosi atalantini ci videro tutti attaccati, compatti, avanzare verso lo stadio, ma non fecero nessun gesto di violenza nei nostri confronti.
Che partita ricorda con più emozione ?
“Quella giocata in casa contro il Verona, nel 1985, il Verona che poi vinse lo scudetto. L’Avellino però era una squadra forte, incuteva timore a tutte le squadre al Partenio. Ricordo la vigilia di quella partita, in cui spalammo la neve per poter giocare. Il giorno dopo, l’Avellino sconfisse il Verona per 2-1, con la squadra veronese che era imbattuta da 15 partite”.
E i momenti meno belli ?
“Sì, ci sono stati anche quelli. Ricordo quando alcuni tifosi misero delle croci in campo, in un momento di difficoltà della squadra. Un’ altra volta, prima di una partita in casa, misero sugli spalti una sagoma di un arbitro che penzolava. C’erano stati diversi episodi arbitrali ai danni dell’Avellino nelle partite precedenti e i tifosi, oramai stufi, fecero questo gesto eclatante come protesta. Prima della partita, però, fui chiamato con l’altoparlante dello stadio.
Mi recai dall’arbitro, era Michelotti, internazionale, il quale mi disse : ‘Se non fai togliere quel manichino, la partita non si gioca!’. Allora mi adoperai con i tifosi e il fantoccio venne rimosso”.
Riguardo la annosa polemica sulle bestemmie: accadeva anche ai suoi tempi?
“Assolutamente, mai sentito un giocatore bestemmiare, mai. D’altra parte il calcio di oggi è cambiato. I soldi hanno rovinato il gioco del calcio, ma rispetto ad alcuni anni fa c’è meno onestà, manca il rispetto per le regole e gli avversari. Basti pensare anche ad una cosa semplice come il fallo laterale. Non c’è un giocatore che batte la rimessa dal punto in cui è uscita la palla, ma tutti fanno i furbi per avanzare di qualche metro. Per non parlare di quelli che simulano e si buttano a terra, appena si sentono sfiorare.”
Come vede il calcio italiano oggi ?
“Purtroppo non ci sono più i giocatori simbolo, le bandiere alla Francesco Totti per intenderci. Troppi stranieri. A livello europeo siamo la nazione con più giocatori stranieri, almeno in Francia e in Germania c’è una maggiore attenzione ai giocatori autoctoni. Così non va bene, a mio avviso, il calcio italiano è in crisi, è un calcio malato”.
Che campionato le sembra questo di Serie A ?
“Mi piace lo Spezia e il suo allenatore. Italiano. Insieme all’Atalanta sono le squadre che mi piacciono di più. Italiano, soprattutto. Mi pare di vedere in lui il discepolo, il successore di Arrigo Sacchi. Veramente bravo.”
E il suo Avellino ?
“L’Avellino ha una squadra forte, che può puntare alla promozione. grazie al suo presidente. Ha un bravo allenatore, come Braglia, e un ottimo direttore sportivo come Di Somma. C’è il progetto di ristrutturare il Partenio, di fare lavori importanti allo stadio. Adesso non faccio più parte dell’Avellino, ma mi permetto di consigliare una cosa. Per riempire lo stadio e avvicinare nuovamente i tifosi, occorrerebbe fare una rete di club, ossia istituire un club di tifosi in ogni singolo paese della provincia, sono 116 comuni. Per ricreare quello spirito, quell’attaccamento che si viveva negli anni 80′, come ai miei tempi. Ogni tanto vado ancora allo stadio a vedere le partite dell’Avellino. Anche nell’anno prima del Covid, sono andato diverse volte al Partenio. Spero di poterci ritornare quanto prima.”
Grazie, Padre.
“Grazie a voi, per avermi dato l’opportunità di ricordare tutte queste belle cose legate al calcio. Ora vado a vermi la partita.”
La partita della Juventus col Porto?
“No, no Avellino-Foggia: partita di campionato di Lega Pro.”
Per scrivere l’intervista, si è usata una penna con l’inchiostro di colore verde; Dio solo sa come e da dove sia uscita.
Un inchiostro verde, verde come la sciarpa di padre Giacinto, quella che usa allo stadio, come una stola.
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