Approfondimenti
UN CALCIO AL SUPERSANTOS – Un giovane amore
Questa è una storia parallela, destinata a non toccarsi mai ma che, inevitabilmente, si intreccia in contorni di rosso fuoco, contorni di un amore viscerale per una maglia e per un intero popolo.
La storia di un bambino di sei anni e di un ragazzo di trenta.
Napoli – Brescia, 28 Maggio 2000. 70.000 spettatori al San Paolo. Il bambino di sei anni fece così il suo esordio nel mondo del pallone, quello tifato.
Portato allo stadio da suo fratello e suo padre, tifosissimi della squadra partenopea.
Quel bimbo, che mai aveva visto nella sua breve vita un “casino” tale, fu immediatamente trasportato in una bolgia tanto calorosa quanto chiassosa.
L’arrivo a Napoli in macchina, con le sciarpe legate ai finestrini, in mezzo a vicoli e vicoletti festanti per la quasi matematica promozione in Serie A degli azzurri.
La pizza a portafoglio davanti allo Stadio. Urla incessanti che già provenivano dall’interno del catino infuocato.
Il bambino, ancora oggi, ricorda tutto in maniera più che limpida. Gli odori, i sapori, le emozioni, tutte le sensazioni, quasi come il primo bacio, indelebilmente scolpiti nella memoria.
Le fatidiche scalette, i cori, una marea azzurra, il prato più verde dei pastelli, gli odori di quel che poi, nell’arco degli anni, il bimbo capì essere qualcosa di illegale. Tutto immensamente bello e romantico.
Squadre in campo e lo sguardo di quell’ingenuotto di sei anni si portò immediatamente su un ragazzo di trenta che quell’anno, a suon di gol, aveva deciso, praticamente da solo, di riportare il Napoli dove meritava: nel Paradiso della Serie A. Il suo nome? Stefan Schwoch.
Capelli lunghi, tanta cazzimma e qualità nei piedi.
Che poi, se ci pensiamo, la storia di Stefan a Napoli iniziò in modo davvero strano.
Aveva appena raggiunto la massima categoria con il suo Venezia, neanche il tempo di esordire ed ecco la chiamata, che poi si sarebbe rivelata quella della vita.
“Pronto Stefan, abbiamo bisogno di te!”.
La moglie del calciatore di Bolzano sbottò subito, come in molti di quelle zone fanno: “Napoli? Io non ci vengo, vai da solo lì giu”.
A dir la verità, anche Schwoch non era tanto convinto di cimentarsi in una realtà così tanto diversa da quelle della sua vita. Ma si sa, Napoli ti travolge da subito, dal primo momento e lo fa anche semplicemente col pensiero.
Ci sono attaccanti che per emergere devono faticare molto più di altri.
Ciò accade sostanzialmente a chi parte dalle categorie più basse e, per avere una giusta considerazione, deve segnare sempre e comunque.
Il pericolo è quello di restare prigionieri di etichette e pregiudizi che possono impedirti di spiccare il volo verso i traguardi che meriti.
Si perchè Stefan Schwoch di goal ne ha sempre fatti tanti. Ha iniziato nel campionato interregionale, nel Merano. Ha proseguito poi la sua carriera in C2 per poi approdare in Serie C1 prima e in Serie B dopo. La sua unica colpa? Segnare una valanga di goal nel campionato cadetto. Ben centotrentacinque, a soli otto centri dal record assoluto detenuto da Giovanni Costanzo. In molti lo hanno considerato un attaccante adatto alla Serie B senza dargli mai la possibilità di confrontarsi in una categoria superiore.
Come detto, parentesi minima col Venezia in Serie A, poi fu magia ancora una volta in B, ma stavolta con una maglia speciale, quella azzurra. A Napoli, nella stagione 1999-2000, il bomber segnò ventidue goal, portando la compagine dell’allora tecnico azzurro Novellino alla promozione in massima serie.
Stefan è, ancora oggi, follemente innamorato di Napoli, del Napoli e del suo popolo.
Che poi, quel bimbo di sei anni, ha sempre pensato che Schwoch, con quei capelli, fosse la reincarnazione di un personaggio abbastanza noto della religione Cristiana, quasi un Dio, che era giunto sotto il Vesuvio per far rinascere dalle ceneri una grande squadra.
Le dichiarazioni del ragazzo di Bolzano, sincero come pochi, confermeranno tutto quello che avete, sinora, letto.
“I tifosi mi danno più di quello che merito. Mi mettono in difficoltà perchè il loro affetto è enorme. Napoli mi ha dato tutto, ho dei ricordi incredibili. Sentire i 70.000 del San Paolo gridare il mio nome è stata un’esperienza unica che non dimenticherò mai.”
Ha anche confermato le sue titubanze sul trasferimento in Campania: “Non tutti in famiglia erano contenti del mio trasferimento a Napoli, soprattutto mia moglie, che però è stata la prima ad innamorarsi della città e dei suoi abitanti. Napoli è una citta che si ama oppure si odia. I media, spesso, offrono un’immagine distorta della realtà”.
In ogni caso, il bimbo di sei anni ha una domanda, un tarlo che proprio non riesce ad eliminare dalla sua testa da ormai ventidue anni: perché Stefan andò via da Napoli, una volta raggiunta la promozione?
È una domanda a cui, molto probabilmente, nessuno o quasi saprà rispondere.
Ma certamente ha rappresentato e rappresenta, ancora oggi, un dispiacere che, probabilmente, supera anche quello della partenza di Marek Hamsik.
Questo bambino di sei anni ringrazierà a vita Stefan Schwoch perché, se è diventato napoletano, un po’ lo deve anche a lui, alla sua folta criniera, alla sua voglia di spaccare il mondo con la maglia azzurra addosso.
Una storia parallela, come dicevamo, destinata a non incrociarsi mai ma che, inevitabilmente, segue in tutte le sue tortuosità una linea, una stessa strada, quella che porta inesorabilmente al cuore pulsante che è e sarà sempre a tinte fortemente azzurre.