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Angolo del tifoso

ANGOLO JUVE – Piuttosto che niente

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Mi avvicinavo mestamente a questo foglio bianco negli ultimi dieci minuti di gioco, incerta sul dover spiegare o meno l’ennesima prova opaca della Juve di Mister Allegri in campionato. Urge specificare che questa seconda vita che nasce sul suolo italico sembra non aver nulla a che fare con quanto accade oltre il confine, per parafrasare un simpatico sfottò innovativo quanto la pioggia di novembre. Insomma la Fiorentina che ci attende a Torino rappresenta lo spartiacque, di cosa non è ben certo, dato che tutti i sogni di vittoria del campionato 21/22 sembrano ormai essere riposti in un cassetto pieno zeppo di desideri e dolori, incluse le finali di Champions vissute ma non vinte, da aprirsi rigorosamente a giugno 2022.

Sembrava dovesse quasi entrare mio nipote di sette anni che indossa orgogliosamente il suo completino bianconero, quando a dare forfait non è solo Szczesny, ma anche Chiellini ad una manciata di minuti dal fischio d’inizio, costringendo il Mister vero e noi mister da divano a dare un’opportunità dall’inizio a Daniele Rugani, centrale insieme a quel respiro dopo ore di apnea che è Matthijs De Ligt. Alex Sandro e Danilo a trottare sulle fasce, che stasera sanno più di terapia alle terme.

Peraltro Allegri aveva anche già strigliato Rabiot, ma sembra comunque che l’alunno oltre a non applicarsi non sia nemmeno particolarmente dotato: al francese viene regalata un’ora bonus di attività fisica in cui dimostra oggettivamente o di non aver capito a che gioco sta giocando, o di aver voglia di provare un altro sport. Siamo tutti con te Adrien.

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Rugani impiega qualcosa come sei minuti a darsi la zappa sui piedi favorendo il passaggio della Viola dalle parti di Perin. Per sua immensa fortuna, e per altrettanto immensa bravura e capacità di De Ligt, la Fiorentina non riesce a bucare la rete alle spalle di Perin: l’olandese tiene il pericolo n.1 Dusan Vlahovic imbrigliato in un rete dorata come la sua chioma, e andiamo al riposo negli spogliatoi con nessuno sprazzo particolare, se non una resistenza da entrambe le parti, più propositiva lato viola. Tra l’altro la chiusura col brivido è tutta merito di Danilo: su calcio d’angolo il brasiliano decolla in area sentendosi il gabbiamo Jonathan Livingston, e costringe il sodalizio arbitrale al check. Nota onesta: per la scrivente il rigore era tutto da battere, ma ci sarà un motivo se la stessa occupa un divano turchese, e non una sala VAR.

Il secondo tempo è una sorta di fotocopia più nitida del primo, fin quando Milenkovic pecca di secondo giallo su Chiesa: Fiorentina in dieci e tentativi della Signora di ricordare come si fa a mettere la palla in porta. Segnaliamo oltre all’ottima prestazione di un McKennie rinvigorito dal ritiro, e qui evitiamo battute sul fatto che il ragazzo renda meglio senza avventure extra, l’ennesima conferma del fatto che Alvaro Morata fosse assente alla spiegazione del fuorigioco a scuola calcio, perché lo spagnolo per l’ennesima volta si fa trovare nel posto sbagliato per segnare un goal.

La speranza arriva, perché se non arrivasse moriremmo disperati: Allegri tenta la carta Cuadrado, nonostante le ultime prestazioni non proprio brillanti, e per l’ennesima volta il tecnico livornese porta a casa la vittoria di corto muso e la ragione. Juan fa ciò che vuole di Biraghi, e tira una gran botta alle spalle di Terracciano, lasciando che l’Allianz Stadium sold out per l’occasione si liberi in un urlo defaticante, merito di passate prestazioni pietose. Non che questa sia stata da manuale del calcio, Cruyff ci riderebbe in faccia, ma questa sera contavano due elementi, finora mai portati a casa: la resistenza e i tre punti.

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La faccia della Juve con lo Zenit è stata un’altra, un volto da carnefice, un Dybala che ha mostrato tutto ciò che i suoi piedi sanno dipingere su un campo di erbetta verde. Stasera l’argentino non si vede, si vede però Chicco Chiesa, elettrizzato autore di una botta sulla povera traversa di Terracciano che ancora sta chiedendo pietà. Sono piccoli passi verso il ritrovamento di un’amalgama, di una complicità che non potevamo aver rimosso.

È sempre lì.

 

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