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STORIE A FIL DI RETE – Il Divin codino

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storie a fil di rete
Tempo di lettura: 8 minuti

La storia è la scienza degli uomini nel tempo. Menti e talenti capaci di puntellare epoche, cancellando confini temporali e andando ben oltre il semplice ricordo. Perché certi attimi sono scolpiti da una narrazione unica, complici gli atteggiamenti di chi è destinato a lasciare il segno.

Una constatazione di un talento fuori da ogni misura ordinaria ha accompagnato la carriera di Roberto Baggio, per tutti il Divin Codino. Protagonista di uno dei capitoli più intensi del nostro calcio, partita dalla sua Vicenza e conclusasi a Brescia. Da provincia a provincia passando per i grandi palcoscenici del calcio italiano, nel segno di un’umiltà sempre marcata e tangibile. Genio accompagnato dalla semplicità di un uomo che ha segnato traiettorie, scavalcato ostacoli e creando un’icona che ha emozionato tutti gli appassionati.

E a modo suo Roberto Baggio si è ritagliato anche uno spazio tra le trattative più iconiche di sempre. Il suo passaggio dalla Fiorentina alla Juventus resta una delle storie più incredibili del calciomercato. Così come il suo sbarco a Brescia per ritrovare una Nazionale che in maniera ingiustificata gli verrà tolta. Fino ai titoli di coda del 16 maggio 2004, con gli applausi di San Siro che sono la fotografia esatta della sua carriera. Che ha cancellato ogni steccato razionale, inglobando tutto in una sensazione unanime di gratitudine e ammirazione ancora oggi intatta.

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“VADO AL MONDIALE DA FIORENTINO E NON DA JUVENTINO”

Siamo nel 1990. Il Napoli di Maradona ha vinto il suo secondo scudetto e la Juventus è alla ricerca del ritorno al successo. Orfana di Michel Platini, serve una scintilla che potesse far riscoccare la fiamma nella piazza e Gianni Agnelli sa benissimo su chi puntare.

Effettivamente in casa Fiorentina Roberto Baggio ha trovato la sua consacrazione, lasciandosi alle spalle il tremendo infortunio al ginocchio che ha messo a rischio la sua carriera e che lo ha condizionato fino all’ultimo. Nella stagione 1989-1990 il Divin Codino mette a segno 17 reti, dietro soltanto a Marco van Basten (19 reti) e lasciandosi alle spalle Diego Armando Maradona (16 reti).

L’interesse dei bianconeri è ben risaputo, tant’è che un primo atto lo si ha quattro mesi prima. Il 17 gennaio del 1990 all’Artemio Franchi si gioca Fiorentina-Juventus: due squadre agli antipodi e una sfida molto sentita in città. I bianconeri sono i rivali di sempre e i rumors sul pressing della Juve sull’idolo di casa non possono che alimentare il chiacchiericcio. Ad amplificare è la cronaca dei fatti in campo: all’intervallo i padroni di casa vanno sotto di 2-0 e dagli spalti nasce spontanea la contestazione. Anche in merito alle voci su Baggio, per il quale i tifosi invocano la sua permanenza. L’incontro finirà poi 2-2, ma questo passa in secondo piano.

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Per capire i motivi di un addio che maturerà nei mesi a seguire bisogna fare un passo indietro. La Fiorentina era allora guidata dalla famiglia Pontello che portò a Firenze calciatori come Dunga, Socrates, Bertoni e lo stesso Baggio. Nonostante ciò, c’era la volontà da parte della proprietà di mantenere a posto i conti e la possibilità di poter incassare miliardi su miliardi di lire con la cessione di Roby è un’occasione che almeno metà della famiglia vuole cogliere al volo.

Lo stesso Flavio Pontello, presidente in quegli anni della Viola, fu vicino all’accordo con l’Inter l’anno prima, usando la questione del rinnovo contrattuale come espediente per portare i tifosi dalla sua parte e contro Baggio.

Da quel 17 gennaio – ma anche da prima -, tra Torino e Firenze nasce un lungo colloquio tra le due dirigenze volte alla conclusione dell’affare, incuranti dell’incessante protesta dei tifosi Viola. E anche dello stesso Baggio, che avrebbe voluto continuare a restare alla Fiorentina, malgrado il discorso rinnovo fosse stato procrastinato in ben due occasioni. Volontà ribadita a più riprese.

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Titolo de La Gazzetta dello Sport (fonte foto: L’Ultimo Uomo)

Lo giura davanti alla Procura Federale, che a fine gennaio apre un’indagine per vederci chiaro. Lo ribadirà alla dirigenza viola e alla stampa. E anche alla Juventus, facendo scoppiare la rabbia di Vittorio Chiusano, allora presidente del club bianconero.

“Non siamo abituati a mettere le catene a nessuno. Voglio dire che l’Italia ha combattuto tanto per ottenere la libertà e non saremo certo noi della Juve a negarla a Baggio”.

D’altro canto continua il lavoro diplomatico tra la Toscana e il Piemonte, con Gianni Agnelli che riesce a confezionare l’accordo nonostante Baggio non fosse mai realmente convinto di accettare la destinazione.

E non basta nemmeno l’entrata in scena di Cecchi Gori, che diventerà poi il patron della Fiorentina, scampata allo scettro della retrocessione in quella stagione. Il produttore cinematografico vuole la società con all’interno il ‘pacchetto Baggio’, cercando frattanto di aumentare i suoi consensi in ottica di campagna elettorale. Nemmeno ciò basterà.

“La mia offerta ai Pontello riguarda l’acquisto di una Fiorentina con Baggio, ma loro per il momento non hanno nessuna intenzione di tornare indietro sulla cessione del giocatore”. Poi, l’ammissione: “Vogliono che compri la Fiorentina per salvare Baggio. Ma quello non lo salva più nessuno”.

Il finale è ormai scritto, e a pensarci è lo stesso destino a metterci la propria firma. Perché se da un lato il rendimento in campionato è disastroso, dall’altro c’è un cammino in Coppa UEFA culminato nella finale proprio contro la Juventus. Nel doppio confronto i bianconeri hanno la meglio e alla fine Roberto Baggio avrà modo di lasciare le sue ultime dichiarazioni prima del suo passaggio alla Vecchia Signora.

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“La mia posizione la conoscete: per quanto mi riguarda io vorrei restare a Firenze”.

Il giorno dopo il procuratore di Baggio, Antonio Caliendo, indice una conferenza stampa, e non è facile immaginarne i contenuti. Già mezz’ora prima 200 tifosi si riuniscono a piazza Savonarola ed è un doppio annuncio a scatenare l’ira dei tifosi: la partenza di Baggio verso Torino e la volontà da parte dei Pontello di restare al comando.

“Notte di scontri in città, con attacchi alla polizia e lanci di molotov, e gli ultrà che tornavano continuamente alla carica in nuovi punti, mentre risuonavano le ambulanze e il traffico impazziva”: scriveva così Repubblica il giorno dopo. “Il questore ha imposto la chiusura dei locali pubblici alle 22.30. È stata la guerriglia finale dopo un attimo di pausa che aveva seguito alla prima fase della guerra, quella iniziata nel pomeriggio”.

Titolo de La Gazzetta dello Sport (fonte foto: Il Post)

I disordini si spostarono al Centro Federale di Coverciano, dove la Nazionale inizia il raduno in vista dei Mondiali di Italia ’90: Baggio ebbe bisogno di una scorta per entrare, sdraiato dentro una volante della polizia. Tra il 17 e il 19 maggio 1990 è una vera e propria conta di danni: a Firenze i fermati arrivarono a un centinaio, ventisei dei quali arrestati. Decine i feriti, agenti di polizia compresi, e seri danni ai cantieri edilizi dei Pontello sparsi per la città.

A versare altra benzina sul fuoco è l’allenamento a porte aperte previsto (e confermato, quasi incredibilmente) della Nazionale. Occasione per molti per sfogare ancora una volta la propria rabbia, con gesti diffamatori contro i giocatori della Juventus e di Baggio stesso, accusato difatti di tradimento.

Uno scenario certamente non ideale in vista della presentazione ufficiale in programma nei giorni a seguire. Il ragazzo rifiuta nell’occasione di indossare la sciarpa della Juventus, per poi lasciare una dichiarazione che è l’emblema del suo umore di quei giorni:

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“Vado al Mondiale da fiorentino e non da juventino”.

Nonostante i fatti poco piacevoli dei giorni precedenti, Baggio manterrà un eterno riconoscimento e affetto nei confronti dei tifosi della Fiorentina, in nome di un trasferimento avvenuto in circostanze indipendenti dalla sua volontà.

Articolo de La Gazzetta dello Sport (fonte foto: Sky Sport)

Lo farà anche il 6 aprile del 1991, giorno in cui torna a Firenze con la maglia bianconera. Roby rifiuta di calciare un rigore e durante tutta la partita viene subissato di fischi. Fino alla sostituzione, quando accade qualcosa di incredibile. Oltre ai fischi e alle bottigliette di plastica, in campo cade una sciarpa della Fiorentina. Che Baggio raccoglie, accennando più di un saluto alla curva, che applaude e ringrazia il suo ex idolo.

“Ero circondato dal risentimento di quelli che avrei voluto fossero ancora i miei tifosi”.

Dichiarerà poi così in un secondo momento il Divin Codino, protagonista di quello che può essere definito il primo trasferimento a coinvolgere in maniera così imponente la collettività, mischiando il calcio alla politica, passando per una così vasta opinione pubblica, e che ha segnato una storia tutta da raccontare.

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BENEDETTO SIA ‘SOR MAGARA’

Così come è da raccontare il suo passaggio a Brescia. Siamo questa volta nel settembre del 2000 e Baggio si ritrova paradossalmente senza una squadra. Si allena da solo nell’attesa di una chiamata, che non è ancora arrivata dopo il suo svincolo dall’Inter, ‘complice’ un rapporto non idilliaco con Marcello Lippi già ai tempi della Juventus. A inizio estate si parla di sirene dalla Spagna, con le quattro squadre impegnate in Champions – Barcellona, Real Madrid, Deportivo La Coruna e Valencia – ma per il futuro Baggio ha in mente di essere ancora protagonista in Italia.

Arriva la chiamata che non ti aspetti: al via della Serie A è presente anche il Brescia di Gino Corioni e, soprattutto, di Carletto Mazzone, strappa dai lombardi al Perugia. E’ lo stesso Sor Magara a chiamare Roberto Baggio, che dalla sua Caldogno risponde subito presente. Così come il presidente Corioni, che lo presenterà alla stampa con tanto di petto gonfio d’orgoglio.

Mazzone si fa da garante di questo nuovo inatteso matrimonio, che Baggio decide di consumare per cercare di guadagnarsi la chiamata di Trapattoni in vista del Mondiale nippocoreano del 2002. Chiamata, questa, che non arriverà, formando il più grande rimpianto della sua carriera insieme a quello del rigore sbagliato di Pasadena nel 1994.

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Con le Rondinelle Baggio vive una sorte di seconda giovinezza, con un allenatore che lo metterà al centro del progetto, spiccando così il volo. L’intuizione di spostare in cabina di regia Andrea Pirlo e la presenza del Tatanka Hubner che porteranno al settimo posto finale, valevole una qualificazione all’Intertoto.

“Ti sarò sempre grato e riconoscente, rimpiango solo di averti incontrato troppo tardi. Il legame tra di noi, però, è stato subito speciale. Ho apprezzato il Mazzone professionista e ho amato l’uomo Carlo; sei dotato di una sensibilità senza pari, da fuoriclasse”.

Lettera di Baggio a Carlo Mazzone

Una storia che ha accompagnato per mano Roberto Baggio fino all’ultimo atto della sua carriera, a San Siro contro il Milan. In quel pomeriggio tutto il mondo del calcio lo acclama, restituendogli un sentimento – quello della riconoscenza – che vale tutti le sofferenze fisiche, le gioie, i successi e le delusioni. Ingredienti che hanno reso quella del Divin Codino una carriera costellata anzitutto dall’affetto della gente, che ha avuto e ha modo di apprezzarlo perché autentico, senza alcun filtro tra personaggio e uomo.

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E in quel lungo applauso di San Siro rimbalza l’aurea di un calciatore che ha colorato per anni le domeniche di calcio con il suo talento, così raffinato da sembrare schizzi di arte sul campo di calcio. Capaci di catapultare gli occhi oltre il prevedibile, di lanciare il cuore oltre l’ostacolo e di rendere sognabile l’inverosimile. Così come inverosimile pensare che il calcio sia sempre lo stesso dopo che il Divin Codino ha appeso gli scarpini al chiodo. Perché, si sa, da quando Baggio non gioca più, non è più domenica.

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