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Angolo del tifoso

ANGOLO JUVE – Titoli di coda

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Una bella abitudine degli ultimi nove anni era quella di acquistare la maglietta celebrativa, al primo giorno utile. Da quando la Vecchia Signora ha deciso di aprire un santuario anche per i tifosi residenti nella Capitale, l’operazione si è rivelata ancor più semplice. Ogni estate, una nuova maglia da sfoggiare nelle ore di jogging per le vie del centro, un nuovo post Instagram, e qualunque cosa ci faccia sentire abbastanza bene nei festeggiamenti che per quasi un decennio si sono susseguiti per ogni singolo anno.

Quasi, perché la speranza di raddoppiare il lustro tanto desiderato dall’Avvocato Agnelli diversi anni fa, è andato a schiantarsi contro una realtà ben diversa, iniziata con l’esonero dell’ultimo allenatore scudettato, Maurizio Sarri, che può non aver fatto breccia nel cuore di alcuni bianconeri, ma che molto probabilmente avrebbe meritato l’opportunità di scrivere nuovamente il suo nome sull’albo d’oro.

Il sogno Guardiola è rimasto tale, perché la panchina bianconera l’ha occupata Andrea Pirlo, fresco di presentazione come coach dell’Under 23, e presto scaraventato sulla panchina più bollente d’Italia.

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Perché le aspettative sono tante, e alte, anche se ti chiami Andrea Pirlo e sei alla tua prima esperienza da allenatore, se la tua tesi di Coverciano è ancora calda di stampante, se ti ritrovi davanti uno che costa alla società trenta milioni di euro all’anno, nonché il portiere più forte della storia del calcio, che fino a ieri divideva lo spogliatoio con te.

Nessuna amichevole pre-stagione, prendi armi e bagagli e ti lanci immediatamente a racimolare punti, perché nonostante quest’anno i nerazzurri siano una corazzata, l’idea resta sempre, come ogni anno, quella di riconfermarsi almeno a livello nazionale.

Basta relativamente poco per far venir fuori tutti i limiti di una squadra che tale non è stata mai, nemmeno sotto la gestione di Mister Sarri: il numero di attenuanti, dalla mancanza di una pre-stagione all’inesperienza del tecnico, ai momenti in cui la panchina era falcidiata dai casi di Coronavirus, non riusciva comunque a lenire il disturbo per una squadra che pur vantando tra le sue fila gente del calibro di Cristiano Ronaldo, non riuscisse a trovare né un gioco, né un’amalgama.

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Non si contano gli esperimenti vissuti a centrocampo: con o senza Rabiot, con o senza Bentancur, con Danilo avanzato, McKennie mobile. Forse non c’è stato neppure il tempo di far digerire un modulo ed una formazione titolare, perché di base non c’è mai stata.

Cosa resterà nella nostra mente: il pareggio con il Crotone ed il Benevento, lo stesso che ha espugnato lo Stadium, prima di retrocedere dolorosamente verso la serie cadetta. Gli ottavi di finale di Champions raggiunti e mai superati, per una sciagurata prestazione all’andata con il Porto, ed una beffarda vittoria nel match di ritorno. La Fiorentina di traverso prima della pausa natalizia, che pure incassa una sonora vittoria in casa nostra, festeggiando come solo chi riesce a metter sotto il dominio juventino sa fare. Insomma, di momenti dimenticabili potremmo scriverci un romanzo. Horror, s’intende.

Un Dybala fuori per grandissima parte della stagione, che riprende in mano sé stesso e la squadra solo nelle ultime partite, quando la pressione comincia a farsi sentire in tutta la sua cattiveria: lo scudetto è andato, ma restare fuori dall’Europa che conta, quello sì che sarebbe un dolore troppo grande per questa società.

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E allora dopo aver messo in saccoccia la Supercoppa italiana ai danni del Napoli, la Juve piazza tutta sé stessa nella serata di Reggio Emilia, togliendo all’Atalanta seconda classificata la gioia di poter festeggiare la Coppa Italia, e correndo fino all’ultimo respiro verso il quarto posto, rifilando un poker al Bologna già salvo, e attendendo i risultati degli altri campi, dove un Napoli irriconoscibile regala l’accesso alla Champions ai bianconeri, con un pareggio in casa propria con il Verona.

Di paure così, forse sono nel 2018, quando il rischio di perdere lo scudetto e di vederlo volar via in zona Vesuvio era veramente altissimo. È forse lì che questa squadra dà il suo massimo, quando di vie d’uscita ce ne sono poche. Una di queste è stata indicata a Pirlo, forse colpevole di aver accettato qualcosa di più grande di lui, ma una colpa che nessuno di noi tifosi gli attribuirà mai.

La lungimiranza gestionale della società non ci fa mai sentir mancare la terra sotto ai piedi: per un esperimento che viene tentato, c’è sempre tempo per tornare indietro.

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Con Pirlo è solo un arrivederci, ne siamo certi. Ma per ora godiamoci di nuovo Max Allegri: in fin dei conti, tra il bel gioco e il dover lucidare coppe, preferiamo sempre la seconda.

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