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TRA STORIA E LEGGENDA – Cesare e Cruijff

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Poco prima della battaglia di Bibracte, Giulio Cesare fa portare via i cavalli al fine di togliere a tutti la speranza di salvarsi con la fuga: il primo cavallo che impone di rimuovere è il suo, in quanto egli combatterà insieme agli altri, insieme agli altri rischierà di morire, insieme agli altri vincerà. Avvicinandosi poi alla battaglia di Alesia, Cesare «si affretta», racconta egli stesso, «per partecipare allo scontro». Prima ancora che il condottiero di cui diremo, Cesare fu soldato straordinario, abile nel combattimento, il migliore di tutti nel cavalcare, pronto a tuffarsi in un fiume ed a sopportare colpi e ferite: stette sempre in prima linea insieme ai suoi uomini, distinto soltanto dal proprio mantello di colore rosso.

A meno di essere un portiere, un calciatore non può distinguersi dai compagni in base al colore della propria maglia, ma può farlo attraverso un numero: il 14, ad esempio, è il numero di Johan Cruijff. Elegante, potente, ambidestro, l’olandese era eccellente nel superare l’uomo. Celebre sua invenzione, al riguardo, fu il dribbling noto come Cruijff turn. Il Pelé bianco era inoltre dotato di qualità atletiche fuori dal comune, sapeva giocare da centrocampista, allargandosi per vedere meglio il gioco e servire i compagni in spazi che lui solo concepiva (qualcuno ha parlato di un «Pitagora in scarpe da calcio»), il tutto senza mai dimenticarsi di essere anche un goleador implacabile. Cruijff era l’incarnazione, insomma, del calcio totale, era un calciatore perfetto nella completezza.

Un comandate perfetto, ammesso ne sia mai esistito uno, fu forse Giulio Cesare: libero da ogni schema precostituito che potesse ingabbiarne il genio tattico, il condottiero romano sapeva creare soluzioni mai viste prima, come testimoniato da quelle battaglie di Munda e di Alesia che, è stato scritto, sono da ritenersi assoluti gioielli di strategia militare. Grandissimo soldato, quindi, Cesare fu anche capace di raggiungere livelli mai visti prima come generale geniale, immenso stratega.

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Maradona, Pelé, per qualcuno Di Stefano: ci sono stati, dirlo non è bestemmia, calciatori più forti del genio nato ad Amsterdam, ma la storia del calcio non ricorda un solo uomo capace di raggiungere le medesime, inebrianti altezze sia come calciatore che come allenatore. Cruijff lo ha fatto.

Nel 1988 sbarcò infatti a Barcellona in veste di allenatore, dove plasmò il Dream Team che vinse anche la Coppa dei Campioni, battendo in finale nel 1992 la Sampdoria. Ad una squadra soggiogata, in quegli anni, dal dominio del Real, il Profeta del goal cambiò i connotati, trasferendo in Catalogna i principi del calcio totale. Arrivarono dunque sulle Ramblas il pressing alto, il recupero palla immediato, le verticalizzazioni improvvise, un 3-4-3 in fase di possesso che scalava in 4-3-3 difensivo; arrivarono attaccanti in continuo interscambio di posizione, alla costante ricerca dello spazio in cui, e da cui, fare male.

Il vero capolavoro di Cruijff, però, rimane il lavoro avviato sul settore giovanile. Fu infatti l’olandese a convincere, nel 1979, il presidente Nuñez a trasformare un’ex casa colonica in un centro sportivo ed in una foresteria, per avere campioni fatti in casa, per creare e preservare fin dalle giovanili spirito di appartenenza e identità tattica immutabile: nasceva la Masia, progetto con il quale Cruijff guardò lontano, spostando in avanti le lancette della storia calcistica, catalana e non solo.

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Anche Giulio Cesare seppe guardare avanti, anche Giulio Cesare ebbe la capacità di comprendere in quale direzione stesse andando la storia e soprattutto di condizionarla. La conquista della Gallia, la vittoria sui Germani, lo stesso sbarco in Inghilterra, rappresentano tappe fondamentali della vicenda storica europea, in quanto muovono la civiltà mediterranea verso il centro dell’Europa, da un lato, verso l’Atlantico dall’altro; fu grazie alle imprese di Cesare che le attuali Francia, Belgio, Spagna, Portogallo vennero latinizzate, con tutte le enormi, ormai millenarie conseguenze che da ciò derivarono.

Consapevole di una grandezza umana che sembrava sfociare in una dimensione divina, Cesare probabilmente mirava ad instaurare a Roma un regime di tipo monarchico, e fu forse per la natura troppo scoperta di tale ambizione che parte dell’oligarchia senatoria decise di ucciderlo. Il soldato che nessuno riusciva a contenere, il generale capace di capolavori tattici ancora oggi celebrati, commise così il peccato di superbia che gli costò la vita.

«I tifosi del Milan si godano questo Barcellona: agli italiani non capita tutte le settimane di vedere una squadra che gioca bene come la nostra»; «non vedo proprio come possiamo perdere la Coppa dei Campioni». Così parlò Cruijff, da allenatore del Barcellona, prima della finale della Coppa dei Campioni del 1994: il Milan vinse quella partita per quattro a zero, quattro pugnalate che uniscono anche nella superbia punita, oltre che nella grandezza immortale, Giulio Cesare e Johann Cruijff.

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a cura di Andrea Carpentieri

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