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ANGOLO NAPOLI – Napule è… visto e rivisto: addio Supercoppa

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Follia”, veniva ripetuto in un bel film, “è il ripetere continuamente la stessa azione e aspettarsi un risultato diverso”.

Perché se le cose si ripetono, a volte cambiano i pensieri, mutano le emozioni, ma i risultati sono quasi sempre gli stessi.

E così Juventus-Napoli di Supercoppa, giocata il 20 gennaio del sessantunesimo anno post-Maradona, diventa una partita tutto sommato facile da raccontare.

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Due super parate del migliore in campo, vale a dire un portiere dal nome impronunciabile, ma davvero fortissimo ed un rigore sbagliato (tirato peraltro in maniera diversa dal solito) da chi purtroppo è emotivo, sente moltissimo la sfida coi bianconeri ed è abituato a tirarne troppo pochi (e dunque non allena abbastanza il fondamentale).

La finale il Napoli l’ha persa, in definitiva, a causa di un rimpallo sbagliato addosso a chi ha indirizzato in negativo gli equilibri a centrocampo che, invece, potevano indirizzare la partita. Bakayoko, infatti, è sceso in campo come se non fossero affari suoi, come se fosse semplicemente la partitella del giovedì.

L’ha decisa – in definitiva – il gol del giocatore che in quelle situazioni trova sempre il momento ideale per diventare protagonista e che su questa dote ha costruito una carriera tra le più grandi di tutte.

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Le condizioni pessime del manto erboso, poi, evidenti nei fraseggi palla a terra, hanno danneggiato entrambe le squadre abbassando i ritmi e condizionando le prestazioni.

Fa bene a piangere Insigne, poiché sono 90 minuti come questi la distanza ancora da colmare per diventare ancora più forte di quel che già è. Dovrebbe versare lacrime amare anche Zielinski, che ha perso un’altra occasione per dimostrare il campione che è e che prima o poi diventerà con continuità.

I due giocatori con più qualità del Napoli hanno – dunque – fatto cilecca nell’occasione (per ora) più importante.

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La storia”, ha scritto un ispirato Gabriel de Broglie, “non si ripete, ma i suoi appuntamenti si assomigliano”.

E’ così giocando come purtroppo fa di solito nelle partite decisive che più contano, la squadra azzurra ha perso una finale che poteva serenamente vincere, se avesse aggredito di più l’avversario, aumentato il ritmo e gestito meglio l’intero match.

I ragazzi di Gattuso non sono stati per niente inferiori alla Juve, quest’anno davvero inguardabile per gran parte dei minuti in cui sta in campo.

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La squadra di Pirlo ha però senza dubbio alla distanza meritato di vincere, perché ci ha creduto di più, ci ha messo più voglia ed è stata fortunata nei momenti decisivi del match, quando la buona sorte ha premiato l’audacia, grande assente tra le fila partenopee.

Peter Cook amava ripetere d’aver imparato tanto dai propri errori, ma d’esser comunque in grado esattamente di ripeterli.

Potrebbe, l’adagio, valere a scelta per Lorenzo Insigne, Piotr Zielinski, Tiémoué Bakayoko e buona parte di coloro che sono scesi in campo a Reggio Emilia, troppo remissivi, passivi e morbidi in una sera in cui, al contrario, bisognava essere aggressivi, arrabbiati e affamati di vittoria.

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Dovesse valere, in generale, la regola dell’alternanza, a parziale consolazione potrebbe valere la convinzione che andrà meglio la prossima volta.

Ma in un contesto dove la prestazione è sembrata una di quelle viste e riviste, il dato di fatto è quello che si è persa un’occasione importante, vale a dire quella di portare a casa un’altra Supercoppa.

La Juventus che vince con merito e senza aiuti arbitrali è assai meno antipatica e perdere partite come queste riporta coi piedi per terra, dove è giusto che rimanga chi ha ancora tanta strada da fare.

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A partire da domenica prossima, quando ricomincia il percorso più complicato: quello che deve riportare gli azzurri nei primi tre posti.

E ciò non solo per rientrare nell’Europa che conta, ma – soprattutto – per tornare dove la squadra, in classifica, a buon diritto ha dimostrato di poter rimanere.

Il Napoli ha il diritto/dovere di giocare fino in fondo ogni possibilità che arriverà nei mesi che verranno.

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A costo che tutto finisca nel “visto e rivisto” o sia fagocitato dall’altalena di risultati che in sette mesi hanno alternato vittoria e sconfitta in due finali con la Juventus.

Perché gli azzurri sono così: muoiono e poi risorgono, vincono e poi perdono, deludono e poi meravigliano.

Hanno dentro la potenza infinita, ma a volte se ne dimenticano.

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Ed amano farselo ripetere, fino a dimostrarlo.

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