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#DIE60 – Corso di Maradona per non Maradoneti

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Maradona
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Non so se sia stato il più amato. Di certo le emozioni se le è tirate addosso tutte: amore, invidia, diffidenza, anche compassione. Discuterne è lecito, ma ha ancora senso discutere dell’uomo Diego? Discutere del “se avesse avuto un’altra testa”, se avesse vissuto da atleta vero, in tutto e per tutto. Probabilmente, non sarebbe stato Maradona. E probabilmente, nel giorno del suo sessantesimo compleanno, non si sarebbero mossi mari e monti per rendergli omaggio.

Ed è inutile dire come la maggior parte di questi ricordi non provenga da suoi conterranei, e nemmeno da suoi ex compagni di squadra: ci sono Ronaldinho, Trezeguet, Mourinho, Van Basten, Batistuta. C’è tutto lo sport mondiale a stringersi intorno a quest’uomo dai capelli ricci, che fa finta di dividere ma in realtà unisce. Perché non c’è nessuno, tra quelli che come me vedono la vita a tinte bianconere che in fondo non sappia a che livello dell’Olimpo del calcio sia Diego. E non c’è juventino che non ami profondamente quell’immagine di Diego che fa una carezza a Michel Platini, il Maradona dei cuori gobbi, incluso il mio.

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Maradona è un padre, con tutti i suoi difetti e tutte le sue contraddizioni. “Aggiungi 50 alla tua maglia, e sii felice sempre”, l’augurio della figlia Dalma, una dolcissima foto di lei bambina tra le braccia di suo padre. Perché cercare difetti, perché doversi affannare nell’entrare nella personalità di un uomo che di quella stessa personalità ha fatto il suo marchio di fabbrica.

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Chi siamo noi, uomini e donne dall’infinità di scheletri nell’armadio per giudicare le gesta di un uomo che lasciate stare quello che ha fatto, i sogni non hanno colore. I sogni che ha regalato Maradona si sono tinti di azzurro in alcuni casi, ma per ogni amante del pallone hanno preso la colorazione della propria squadra del cuore. E non venitemi a dire che non vi sarebbe piaciuto vederlo nella vostra maglia della vita, qualunque essa sia. Non pensate che io possa darvi credibilità quando mi dite che non vi interesserebbe poter dire “ho visto Maradona”.

Il fatto è che ci sono delle leggende che è giusto che restino tali. Che è giusto appartengano ad altre realtà, che non sia la nostra, purché siamo abbastanza onesti da saperne riconoscere la valenza, la portata storica e sportiva. Avete presente quando davanti ai nostri occhi passano le immagini di un qualunque goal di Del Piero, di quel campanile di Platini, della parata di Buffon al rigore di Figo?

Immaginatevi adesso gli occhi dei partenopei ogni volta che Maradona gli torna in mente. Ai più si riempiono di lacrime, cosa che è accaduta alla sottoscritta solo quando Buffon disse il suo addio alla maglia bianconera, per fortuna prontamente ripresa. Non so quando accadrà di nuovo di piangere così, ma basti pensare che per il tifoso napoletano forse quelle sono state le ultime vere lacrime di calcio. Non delle lacrime di tristezza, attenzione. Di gioia, per un uomo in grado di riscattare una città, di dare vita lì dove vita non c’era.

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Di vite ne ha cambiate tante, inconsapevolmente. E non parliamo di calciatori nati e cresciuti nel suo mito, parliamo di gente comune. Del ragazzino degli anni ’90, che con i racconti su Maradona è cresciuto, dei più grandi che hanno avuto la fortuna di vivere il calcio in quella stessa epoca, che probabilmente non tornerà più. Eppure quanto darei per potermi catapultare indietro nel tempo ed esserci, al momento di quella carezza. Al momento in cui due mondi tanto opposti si scontravano, mai così vicini. Perché che senso aveva parlare, discutere, ragionare, se l’unica cosa che si desiderava era vedere Platini e Maradona.

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Ma non c’è modo di togliergli il suo trono. La ascoltavo proprio ieri, la canzone di un gruppo concorrente alla nuova stagione di X Factor: “Io sono un rigore, e tu Maradona”.

Voi la sapreste scrivere una dichiarazione d’amore più bella di questa? Io non credo.

Auguri Diego, che bello averti avuto come avversario.

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