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Adesso il calcio ha paura ma non del Covid. I club temono il fallimento

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All’inizio fu la paura della pandemia, tutti schierati e compatti i presidenti della serie A, per difendere calciatori, famiglie e gente comune. Tranne alcune rare eccezioni, Lotito ad esempio, non c’era voce che non si indignasse per le parole di chi provava a perorare la causa di quell’insensibile che, conti alla mano, provava ad alzare la mano per avvertire sulla possibile caduta nel baratro di una delle industrie più importanti dell’italico stivale.

Le reprimende partivano da quell’immagine dei camion militari che trasportavano le salme dei nostri compatrioti uccisi dal virus malefico. Una fotografia, bisogna ammetterlo, talmente cruda, forte e drammatica da aver colpito il cuore anche dei più duri.

Cambio di Rotta

Poi piano piano il fronte si è incrinato, partendo dal grido di allarme del presidente Cellino del Brescia, uno dei capofila del No Play, che passò però rapidamente dal cuore al portafoglio dichiarando a Repubblica.it il 10 Maggio :

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“Ho cambiato idea, mi adeguo alla maggioranza. Bisogna tentare di riprendere il campionato altrimenti qui falliscono tutti”.

Un repentino cambio di rotta seguito  mano a mano dagli altri presidenti.

Poi la ripresa dei giochi, il campionato concluso e le coppe europee portate a compimento con una nuova formula. L’estate aveva portato una ventata di ottimismo per la nuova stagione, con i numeri dei contagi cosi bassi da avere un protocollo, quello stilato dalla Figc, funzionante alla perfezione.

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Negli ultimi giorni qualcosa è cambiato, anzi più di qualcosa. L’epidemia ha ricominciato a correre a livello europeo e le prime crepe si sono evidenziate: prima il cluster Genoa che è arrivato a contare 17 positivi. Poi a cascata il clamoroso caso di Juventus-Napoli, dove per la prima volta il protocollo ha fallito. Non staremo qui a sviscerare la notiza in sè stante perché altri lo hanno fatto ma è chiaro che da quel momento non si potrà più tornare indietro.

Il baratro all’orizzonte

Si dovranno cercare accorgimenti e aggiustamenti a delle regole che adesso paiono non più attuali. Lo chiedono tutti e lo invocano soprattutto loro, i protagonisti dell’inizio della storia: i presidenti di Serie A.

Bilanci alla mano, tutti stanno vedendo quello che già sapevano, il baratro è vicino, mai cosi tanto. Il passivo della Roma ha superato quota 240 milioni di euro, quello del Milan di poco sotto i 200. Chi più chi meno fa i conti con un bagno di sangue economico e alcuni non possono fare a meno di urlare, al mondo esterno, la propria preoccupazione. Come Urbano Cairo, il presidente del Torino, che in un intervista a Tmw ha dichiarato:

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“Ora entriamo in una stagione più rigida e i casi sono aumentati in maniera importante come Francia, Germania o in Inghilterra. Anche qui stanno aumentando ma abbiamo alcune regole certe, da UEFA e FIGC e Lega, che ci permettono di cercare di andare avanti, cercando di essere collaborativi e di venirsi incontro il più possibile. Andare avanti con lo sport è un valore, anche per la gente che sta a casa”.

La soluzione stile Nba

Lo sport è un valore dice Cairo, per la gente certamente, ma soprattutto per chi deve far quadrare i conti. Un’altro lockdown sportivo non sarebbe sostenibile ma se la situazione dovesse precipitare, per evitare lo stop dell’attività, non si potrebbe far altro che adottare l’unica ricetta che consentirebbe al calcio di non fermarsi: una bolla stile Nba, un ritiro permanente per i protagonisti che non correrebbero il rischio di infettarsi in giro. Un grosso sacrificio certo sia per i giocatori che per gli altri lavoratori correlati al sistema calcio ma anche per loro è a rischio il posto di lavoro. Di fronte al collasso del movimento che coinvolgerebbe anche loro forse il gioco vale la candela, una rinuncia al propria libertà che gli permetterebbe di mantenere i loro ricchi emolumenti in attesa di tempi migliori che sicuramente arriveranno.

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