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ANGOLO DEL TIFOSO NAPOLI – Napule é… il limite illimitato

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Quando si alza un muro”, scriveva Italo Calvino, “bisogna sempre immaginare a quel che rimane fuori”.
E così accade l’imprevedibile: nel lunedì d’ottobre che segue Juventus-Napoli non si parla dello stato di forma di Ronaldo o Dybala, delle prestazioni azzurre o delle decisioni arbitrali discutibili o meno. Le azioni non avvenute nel rettangolo di gioco, infatti, lasciano spazio a giuristi da tastiera, virologi dello smartphone, pseudo-tifosi in 4K, enciclopedici del protocollo e moralisti da retrobottega.

D’altronde lo diceva già Einstein, non uno qualunque: “La differenza tra genio e stupidità è che il genio ha i suoi limiti”.

E mentre i lupi del web e dei social scatenatisi sin dal pomeriggio azzannavano ogni notizia filtrante dalla Lega, dall’ASL Napoli 1, dalla Regione Campania o dallo spogliatoio juventino, a metà serata a complicar definitivamente le cose ci ha pensato un Agnelli, la cui risposta più sensata è stata un balbettio difficile a far da replica ad una legittima ed indovinata domanda: “cosa avrebbe fatto al posto loro”?

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Perché – come al solito – su qualsiasi argomento ciascuno sente di poter dire la sua, diventando pecora nel gregge che muove verso i prati o Bastian Contrario per il solo gusto di poter dire qualcosa a prescindere.

Eppure basterebbe, come sempre, l’esercizio più nobile di tutti, fatto tutto di avverbi e verbi all’infinito: prima osservare, successivamente analizzare, profondamente documentarsi, insistentemente studiare, definitivamente (e solo se necessario) commentare.

Manca, infatti, nelle posizioni da ultras o tifosi da poltrona, un elemento fondamentale dell’agire umano razionale: la conoscenza. Perché la verità più verità delle altre, anche dopo Juventus-Napoli del 04 ottobre 2020, è che siamo coscientemente ignoranti. Ignoranti con un vizio originario, vale a dire quello di non esserlo per colpa (disinformazione e mancato approfondimento delle questioni), ma con dolo, pronti – come siamo – ad assorbire come spugne qualsiasi cosa venga cinguettato su Twitter, postato su Facebook, sussurrato per radio o urlato in tv.

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Vale, infatti, poco o nulla il “precedente” dell’ultima domenica settembrina del Genoa al San Paolo o le partite disputate in lungo ed in largo in Italia da squadre che hanno in rosa uno o più positivi.

E va certamente bene diventare in un baleno i massimi esperti di “protocolli”, divenendone – a seconda della maglia che si indossa sotto pelle – interpreti autentici o autorevoli censori, ma qualche volta bisognerebbe ricordare il sommo Aristotele, non esattamente uno qualunque, per il quale “è una caratteristica delle menti istruite accontentarsi del grado d’esattezza consentito dalla natura dell’argomento e non cercare l’esattezza laddove solo l’approssimazione è possibile”.

E mentre, chi può sempre e chi non potrebbe mai, allo stesso modo ancora oggi s’interroga su temi caldi quali la gerarchia delle fonti, il 3-0 a tavolino, le penalizzazioni, la giustizia sportiva e quella ordinaria, i protocolli e le conseguenze di ogni genere, nessuno probabilmente pone al centro di una riflessione costruttiva taluni dati di fatto incontrovertibili.

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Tra questi:

– nell’immediata vigilia del match col Napoli al San Paolo, il Genoa contava n. 2 positivi e nei giorni immediatamente successivi è divenuto un focolaio, rivelando che molti di quelli in campo avevano già contratto il maledetto virus;

– il contatto in campo tra Genoa e Napoli ha portato nello spogliatoio azzurro un contagio che, prima di allora, mai c’era stato (Presidente escluso);

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– su tutta la penisola la curva ha ripreso decisamente a salire ponendo non pochi problemi a tutti i livelli, specie alle strutture sanitarie che nelle terapie intensive hanno ricominciato ad accogliere pazienti con sintomi ed in evidente difficoltà;

– l’Autorità Sanitaria Locale competente per territorio, checché se ne dica, ha imposto, avendone autorità e competenze, isolamento a n. 21 tesserati in rosa, impedendo l’adozione di misure di prevenzione e contenimento del contagio da Covid-19.

Di fronte a tutto questo sia consentito affermare che teorie meta-giuridiche o pseudo-illimitate caratterizzate da concetti tipo “industria del calcio”, “the show must go on”, “vale il protocollo”, “vittoria a tavolino” e chi più ne ha, più ne metta, valgono tanto quanto il due di bastoni con la briscola a coppe: nulla.

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Il mondo del calcio ha perso, domenica sera, l’ennesima occasione per provare a riabilitarsi, confermando ancor più, se ce n’era bisogno, che contano le lobbies ed il business, spesso tutelati da una classe dirigente non all’altezza.

Chi s’appassiona allo sport più bello immaginando passione, appartenenza, sudore e sacrifici che portano alla vittoria, si sente violentato quando – in giacca e cravatta – davanti ad un microfono si ignorano i capisaldi del Sistema Paese (perché “non di stretta competenza” del Presidente che si occupa di altro) e ci si rifugia nei luoghi comuni buttando lo sguardo a lato per carpire un suggerimento da qualche ghost writer più o meno improvvisato lì presente.

Toccherà, come sempre, al diritto fare Giustizia.

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E’ la storia degli uomini, obietterà qualcuno.

Può darsi.

Ma se ne poteva fare tranquillamente a meno.

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Nel mondo delle vignette, Altan ci ha insegnato che “la giustizia è uguale per tutti” e che “non è colpa nostra se non tutti sono uguali”, ma recuperando un po’ di serietà il tutto può ricondursi al difficile confronto/scontro tra il “fare la cosa giusta” ed il “sapere qual è la cosa giusta”.

Nel cuore di ogni tifoso, al di là del colore della maglia, il dilemma è già risolto.

La cosa giusta è ricalendarizzare Juventus – Napoli più avanti e farla rigiocare.

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Prima di qualsiasi Tribunale d’Italia dovrebbe imporlo il buon senso, quello che più di tutti è mancato negli ultimi giorni.

In generale, però, a tutto questo è meglio pensar prima che dopo.

Perché tutto ciò fa male al movimento, fa male agli addetti ai lavori, fa male soprattutto ai tifosi.
Se si vuole salvare il calcio, anche in un anno strano, anomalo ed irripetibile (speriamo) come questo, è indispensabile recuperare lucidità, prospettiva, serietà e lungimiranza.

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Subito, adesso, immediatamente. Del senno di poi, d’altronde, diceva Manzoni, “son piene le fosse”.

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