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ANGOLO DEL TIFOSO – Lo Spezia in serie A: lo stadio Picco

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Trezeguet ti ha definito lo stadio più “brutto“ in cui abbia ​ mai giocato. Era il 2007, in serie B, e il pur bravo attaccante francese, quel pomeriggio, non toccò palla.

Caro stadio Picco, sei sempre stato il grande alleato dello Spezia.

Con te, le aquile hanno lottato, sofferto, gioito, pianto ma,​ al di là del risultato, hai sempre messo paura agli avversari. Le tue tribune, ad un metro dalla linea del campo – all’inglese – talmente vicine al terreno di gioco che sembravano quasi scendere ​sul campo.

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Molti avversari hanno sentito le loro gambe tremare e, fin dal riscaldamento, hanno cercato lo spazio più lontano possibile da te, al centro del prato, per sentire meno paura.

La tua è una lunga storia.

Ti hanno costruito nel 1919, avevi le tribunette in legno e un campo finalmente livellato, rispetto al primo campetto degli esordi.

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Sei stato lo stadio degli anni della prima divisione (l’attuale serie A), quelli delle sfide con il Genoa, la Juventus, il Bologna.

Molti lo hanno dimenticato, ma tu in serie A c’eri già stato, e per ben cinque anni, dal 1920 al 1925.

Ti chiedo scusa per la fretta e la poca voglia da parte dei giornalisti di oggi ​ di approfondire i fatti.

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Il tuo nome, Alberto Picco, è quello di un giocatore dello Spezia, morto nella prima guerra mondiale​ e che è stato il primo marcatore della squadra.

Lo immaginiamo, dopo aver segnato il suo gol, andare verso il cerchio del campo e stringere la mano ai suoi compagni, in maniera elegante e allo stesso tempo umile, non con le esultanze teatrali che si vedono oggi.

Perché tu sei testimone di un calcio sincero che non c’è più.

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Sei stato, caro Picco, il primo stadio squalificato nel calcio italiano, in serie A.

Nel 1922, dopo i gravi incidenti durante Spezia – Genoa, ti costrinsero a restare chiuso per un ​ anno intero. La squadra giocò tutte le partite casalinghe in campo neutro, battendo anche la Juventus sul neutro di Casale, ma riuscì a salvarsi.

Lontano da te ma con te sempre nel cuore.

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Negli anni successivi hai visto le​ ristrutturazioni e gli ampliamenti.

Ti hanno dato un portale in pietra scura negli anni bui della nostra democrazia, ma nessuno può metterne in dubbio la bellezza artistica.

Hai resistito alle bombe della seconda guerra mondiale, abbiamo dovuto compiere le imprese del campionato del 1944 a bordo di un’autobotte dei pompieri.

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Ancora una volta lontano da te, ma con te nel cuore.

Hai visto gli anni delle retrocessioni fino alle serie inferiori, ma ci hai sempre dato la spinta per lottare.

Quante partite vinte grazie a te, lottando sul campo con avversari più forti e più ricchi, ai quali spesso e volentieri gli arbitri non disdegnavano un aiuto per toglierli dalle difficoltà.

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Ed era proprio allora che si sentiva più forte il tuo “ruggito”, per difendere chi si dimostrava di essere più forte sul campo.

Grazie a te, abbiamo strappato salvezze impossibili, battuto squadre blasonate, giocato sotto piogge torrenziali, sul fango, su pozzanghere che non facevano rimbalzare la palla.

Quelle palle, ferme sull’acqua, che dovevi calciare più forte per mandarle in avanti, le hai calciate insieme ai giocatori.

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Loro con le gambe, tu con il tuo cuore.

Siamo risaliti piano piano, insieme a te, abbiamo vinto anche in nove contro undici, pur di tornare nelle serie che tutti noi sognavamo.

Ricordi la partita contro il Genoa, giocata sotto la pioggia che, di fatto, ci riportò in serie B dopo cinquantacinque anni?

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Dopo il secondo gol di Giudetti, apparve alle tue spalle un arcobaleno, un arco di felicità dalla forma simile al tuo portale di pietra.

Ci hai visto di nuovo sprofondare, mangiare la polvere, ma ci hai aiutato a risalire ancora una volta dalla serie D alla serie B.

Sempre con te, grazie al tuo cuore.

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In questi mesi, ad un certo punto, abbiamo dovuto lasciarti da solo nella lotta per la serie A.

Le gradinate però non erano vuote: ​ sui tuoi scalini, erano seduti tutti quelli che ci hanno lasciato.

Alcuni ragazzi, che hanno abbandonato questa terra troppo presto, erano con te a tifare, come hanno sempre fatto quando erano in vita.

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C’erano anche le persone più anziane, quelle che ti hanno visto da “giovane”, seduti nella loro tribuna, come facevano un tempo.

C’erano tutti, sempre e solo con te, seduti sul tuo cuore.

Il resto della storia, beh la sai.

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Ci siamo messi alle spalle della tua Curva, la “Ferrovia”, nell’unico posto dove dall’esterno si intravede uno spicchio di campo.

Abbiamo tifato, cantato, sventolato le bandiere che alzavamo al vento quando eravamo dentro di te.

Abbiamo palpitato, tremato, festeggiato alla fine un’impresa, che all’inizio aveva dell’impossibile.

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E non potevamo farla, se non affianco a te, alla tua curva, al tuo portale, alle tue tribune.

Perché tu, caro Picco, non sei uno stadio come tutti gli altri.

Sei tra i più vecchi del nostro calcio, ma susciti in noi sempre nuove​ emozioni, come nessun’altro.

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Perché tu, caro Picco, non sei fatto solo di cemento o pietra dura, non sei solo lo stadio delle aquile.

Tu hai un cuore.

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