I nostri Social

Approfondimenti

ANGOLO DEL TIFOSO JUVE – Qui e adesso

Pubblicato

il

Tempo di lettura: 3 minuti

La soglia di tolleranza all’errore è soggettiva. Sbagliamo tutti, chi più, chi meno, ma quando sbagliano gli altri ci sembra di non essere in grado di sopportarne le conseguenze, ci sembra che quegli errori siano molto più grandi di quelli che avremmo mai potuto fare noi, che viviamo nel giusto.

Poi però c’è la recidività. La partita con l’Udinese prima, l’occasione per mettersi tranquilli a trangugiare champagne, per far riposare le fibre muscolari che cominciano a non averne più. Quella con la Sampdoria poi: perseverare nel gettare alle ortiche l’ennesimo match point di questo campionato sarebbe stato un colpo difficile da digerire per le mie arterie, ma la mia squadra lo sa.

E se mi avessero detto come sarebbe andato a finire il campionato 2019/2020, non gli avrei mai creduto.

Pubblicità

Non avrei creduto che una squadra popolata da certe personalità sarebbe dovuta arrivare a tre giornate dalla fine pur di cucirsi l’ennesima toppa sul petto nella prossima stagione.

Che sarebbe dovuta arrivare la Samp di Mister Ranieri a Torino per riuscire a portare a casa ciò che stava diventando davvero difficile da ottenere, che stavamo rendendo complicato con le nostre stesse mani.

Non avrei creduto che sarebbe servito un goal di Federico Bernardeschi al posto giusto e al momento giusto, così come non avrei creduto in un rigore calciato da Cristiano Ronaldo con una tale potenza da far vibrare la traversa, senza riuscire a mettere per almeno due volte il suo nome sul tabellino dei marcatori in questa serata. E Rabiot che prende per mano il centrocampo. Chi lo avrebbe mai detto.

Pubblicità

Non so quanto possa aver senso discutere di questa partita, giocata unicamente per ottenere i punti necessari alla certezza matematica dello scudetto.

Forse è più rilevante da un punto di vista degli infortuni: con Douglas Costa già sfortunatamente in vacanza, questa sera tocca a Dybala la smorfia di dolore nel massaggiarsi l’adduttore, stesso leggasi per De Ligt.

Questo campionato che si avvia al suo finale ha l’affaccio su Lione, ma per oggi non voglio nemmeno farmi sfiorare dall’idea che Paulo e Matthjis possano non essere della partita.

Pubblicità

Eppure, se non lo avessi visto con i miei occhi, non avrei creduto che un giorno Maurizio Sarri avrebbe potuto allenare la Juventus di Andrea Agnelli. O forse sì, ma per un motivo molto banale: non credo alla favola della personalità non integrata con l’ambiente, non adatta, non esteticamente amalgamata con ciò che lo circonda. Penso che ognuno di noi sia esattamente dove si merita di essere. Che la polvere che ha mangiato Sarri anche per mano della Juventus, due anni fa, gli sia stata restituita oggi sotto forma di foglia d’oro. È inutile negare che non ci sia sull’erbetta dell’Allianz Stadium quanto di bello Sarri è riuscito a costruire con il Napoli, ma mai come in questo caso, l’estetica lascia assolutamente il tempo che trova.

Il fatto è che per quanto vogliamo illuderci di decidere dove stare, non siamo affatto noi a scegliere. E non si cambia, soprattutto. Sarri non ha mai modificato il suo modo di essere per adattarsi ad una società e ad un ambiente in cui chiunque di noi si sentirebbe messo in un tritacarne. Perché vincere è la sola cosa che conta, certo. Perché non puoi permetterti di lasciare che i tuoi giocatori battano la fiacca, non puoi permetterti un calo di concentrazione, non puoi permettere a te stesso alcun tipo di crollo psicologico.

Ma puoi essere te stesso. Puoi vincere il tuo primo scudetto e decidere di scappare negli spogliatoi. Puoi sentirti dire che non sei integrato nell’ambiente perché non sei nemmeno rimasto a far festa con i tuoi. O più semplicemente, puoi scegliere di rispettare la tua natura, puoi lanciarti negli spogliatoi per respirare, per lasciarti inebriare da un’emozione a cui sei arrivato così vicino in passato, ma che non hai potuto far tua, per meriti altrui.

Pubblicità

È la stessa vita a portarci dove siamo. Tocca solo essere abbastanza bravi da saper cogliere ciò che ci viene offerto. Lasciare che il nostro passato non condizioni il nostro futuro, ricostruirci, non rifare gli stessi errori, ma accogliere. Accogliere il cambiamento e la paura, uscire dalla zona di comfort. Perché se la vita ci mette davanti a certe opzioni, vuol dire che ce le siamo meritate, e che siamo in grado di affrontarle, di farle nostre.

Non so se questa Juventus potrà mai raggiungere il decimo scudetto consecutivo. Non so se il nostro futuro vedrà ancora tra le nostre file Higuain, Khedira, lo stesso Douglas Costa. Non saremo mai nuovamente gli stessi, qualcosa dovrà tassativamente cambiare.

Una sola cosa non cambierà mai: la voglia. Mettici la fame, e goditi lo spettacolo. Anche quello di corto muso, anche quello esteticamente brutto, anche quello che non ti saresti mai aspettato. Maurizio Sarri ci ha messo tempo, ha scalato montagne per cucirsi questo scudetto sul petto. Ma adesso che è riuscito ad arrivare in cima, può respirare a pieni polmoni. Nonostante le Marlboro.

Pubblicità

in evidenza