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ZONA CESARINI – Ricordo che…sognavo questa Roma e Roma c’è

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Sono tanti anni, lo sanno i bambini che sognano di diventare grandi e di soddisfare tutte quelle promesse dietro cui li facciamo correre, come la patente, il voto, una certa emancipazione (ci metterei anche il sesso ma temo risulterebbe ridicolo oggi forse più di quanto non fosse ai miei tempi).

Tanto separa maggio 1983, quando lo squadrone giallorosso vince il suo secondo titolo, dal 17 giugno del 2001. 18 anni di sofferenze e gioie, lacrime e risate, eroi e traditori, amici e nemici. Insomma 18 anni di vita nel senso più vero del termine.

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Che si stava “crescendo” lo si annusava nell’aria, seppur con folate di tempesta.

L’anno prima arriva Capello che letteralmente cambia mentalità e protocolli organizzativi in tutto l’ambiente. Di lui si può dire tanto, anche in negativo, non sarà mai un personaggio a cui io possa affezionarmi, ma dirigenti – allenatori come lui, oggi, se li sogna tutta la serie A.

Non fu un grande anno il primo di Don Fabio, culminato con lo scudetto biancoceleste, chiuso con la tristissima deriva dell’addio al calcio del “Principe”, dove i tifosi riversarono la loro delusione, deflagrata pochi mesi dopo l’eliminazione al primo turno di Coppa Italia da parte dell’Atalanta.

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A parte quell’episodio, fu un’estate incredibile dove sognare era lecito. Ai campioni già presenti, il compianto Franco Sensi aggiunge una colonna vertebrale da superteam: Samuel, Emerson e Batistuta. Insomma, come nell’83, alla Roma per vincere non bastava una squadra forte, doveva essere la PIU’ forte (che fatica).

FACCIAMO L’APPELLO

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The Wall con gli occhi di ghiaccio e la professionalità di un veterano, sarà per anni uno dei più forti difensori in Italia. Emerson, arrivato infortunato (tornerà a Febbraio), in lacrime in tribuna, acclamato da un pubblico che neanche conosceva, sarà uno dei centrocampisti più utili e sublimi per almeno un quinquennio e questo non può essere nascosto neanche dallo scoprire più avanti la sua “poca riconoscenza”… diciamo.

Bati era semplicemente il più forte attaccante approdato in Italia dopo Van Basten. Si accettano contestazioni su questo (certo non in questo contenitore, ma ci saranno universi paralleli dove è possibile). Ogni suo gol scatenava un boato in tutti gli stadi.

Ricordo gli occhi buoni di Aldair, gli occhi da “Io le giornate di squalifica le pijo a cinque per volta” di Amedeo Mangone la Roccia, il carattere di Zago e la grinta, non sempre ragionata, di Zebina (o Zebbenaaaa come lo chiamava la mia pingue vicina di sedile).

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Aldair, semplicemente Pluto - Forzaroma.info

Ricordo le manone di Antonioli che, pur non essendo un portiere straordinario ed avendo alcuni gol sulla coscienza (Napoli, Perugia), fa in pratica due sole parate in campionato, con Lecce e Atalanta, ma sono parate da tre punti.

Ricordo l’anno di Tommasi che non era commentabile, avresti detto che fosse dopato, tanto correva e recuperava e si affannava, la chiave dello scudetto giallorosso… ricordo l’esplosione di gioia sotto la pioggia di Bergamo.

또띠짱

Onore a C. Zanetti, partito da comprimario, dovette sostituire Emerson per mezza stagione e lo fece da campione… e poi fu sua la carambola Nesta-Negro, per il derby più godurioso e primo indizio che “era l’anno bbono” e che ai cugini “lo potevi scucì dar petto”.

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Ricordo le sgroppate di Supermarco Del Vecchio, il cui lavoro fu fondamentale, praticamente un terzino, tanta legna e pochi gol, ma la finta a Nesta fu immancabile anche quell’anno. Di Cafù e Candela cosa si vuol dire? Coppia di terzini fuori gara: corsa, classe e personalità da vendere per il capitano del Brasile; tecnica, genio e sregolatezza per il “mio” calciatore preferito, il francese (che gol a Bari).

Di Totti non parlo, a che serve? La sua biografa è la Storia stessa.

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Ma ricordo il pallonetto di Montella al Milan per un pareggio insperato e il suo gol “galeotto” nel recupero col Perugia, mentre Dalmat da Milano, infilava una bordata alla Lazio che rese dolce anche un pareggio casalingo con gli umbri.

Ricordo la partita con la Fiorentina, che non si sbloccava. Batistuta era pesante, nervoso. Il pubblico rumoreggiava l’ipotesi di farlo uscire, “non è sereno”, “non ha toccato una palla”… ma al Re Leone, di palle, ne bastava una e tra le lacrime per aver pugnalato la sua amata viola, sfoderava un siluro che ancora rimbomba sulla Flamina.

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Ricordo la doppietta di Parma e l’abbraccio con Capello.

Ricordo quel Bologna-Roma, che doveva essere la gioia del primo gol del rientrate Emerson e invece la mia foto di quel giorno sono le lacrime di Guidolin, all’avvio, che non riesce a stare in piedi. Il giorno prima, a 17 anni, aveva perso la vita in motorino Niccolò Galli, figlio di Giovanni. Inaccettabile.

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Ricordo la rimonta a Torino, quando sembrava tutto perso, ma un piccolo Shogun ribaltò le sorti del campionato in dieci minuti di campo. Ricordo un pub devastato dalle urla…

Ricordo il futuro della Juve, Pirlo, lanciare il passato, Divin Codino, pronto a fare una magia e rovinarne il presente in quel Juve-Brescia.

Ricordo la settimana successiva allo scudetto che fu un delirio. Non si tornava a casa, tutte le sere c’era qualcosa di organizzato: un palco con Repice al centro, Bruno Ripepi a Campo de Fiori, un concerto del Galopeira in periferia (“a me Paolo Negro m’ha dato un mestiere“), Amendola in giro in “motorello” come un quindicenne, Liverani sul tetto di un’auto a squarciagola… feste su feste, scalinate e statue colorate fino al concertone del Circo Massimo, dove Venditti fece sognare un milione di persone, con la squadra sul palco (tranne Batistuta e Del Vecchio che, confessarono, erano incappucciati in mezzo alla gente) e dove la voce rotta di Franco Sensi fu spettacolo più grande dello spogliarello (taroccato) promesso e mantenuto dalla Ferilli.

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TRUKKE TRUKKE

Ricordo un 17 giugno caldo, nervoso, da romanisti pronti a subire l’ennesima delusione (nessuno nominava lo scudetto, il “trukke trukke” lo chiamavamo durante l’anno). Ma anche se il gol di Di Vaio farà temere a molti la rimonta, anche se lo sguardo di Braschi prometteva fiamme al pubblico ormai ammassato a bordo campo, anche se… quando, seduti in tribuna, all’inizio della partita, scatta immancabile “Roma, Roma, Roma” di Venditti, in quel momento scendono le lacrime e la tensione perchè, lo sai, quel giorno hai 18 anni e nessuno ti impedirà di diventare grande.

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