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#LBDV – Spadafora: quando il nemico è in casa per partito ‘incompreso’

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Con l’inizio della Fase 2 il Paese tenta la ripartenza. Nonostante i numeri impietosi, ancora tutt’oggi, di alcune regioni, l’Italia scava affannosamente con le proprie mani per trovare finalmente la luce. Forse in maniera forzata, ma il tutto rappresenta un atto doveroso per chi, a due mesi esatti dal primo D.P.C.M., necessita di questa ripartenza e del proprio posto di lavoro.

Quattro milioni di persone sono ritornate oggi a lavorare, mentre si studiano le modalità – nella speranza siano plausibili fra qualche settimana – della riapertura di altre attività. Processo che il mondo dello sport, in particolare quello del calcio, sta cercando in qualche modo di affrontare, tra l’impellenza di salvare un’economia a se stante ed il paradossale tiro del freno di stazionamento di alcuni degli addetti ai lavori.

È chiaro che, da un punto di vista strettamente disimpegnato, il calcio ha assunto in queste settimane un ruolo assolutamente marginale. Si ha poca voglia di parlare di calcio, si pensa poco al rettangolo verde ed effettivamente qualsiasi tipo di ripresa dello spettacolo pallonaro striderebbe come un ingiustificato ossimoro. Certo, qualora ci fosse la possibilità di riprendere a giocare nella piena osservanza degli onerosi protocolli di sicurezza, saremmo tutti felici. Tuttavia è evidente che le priorità al momento sono altre.

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Ma non per questo la ripartenza dell’industria calcio, riconosciuta come la terza industria del BelPaese, non deve trasformarsi in un tabù. Perché se da un lato per un calciatore come Cristiano Ronaldo il problema più grosso è il come salire sul proprio velivolo privato bloccato in un’altra Nazione, dall’altro c’è chi si chiede come poter mettere il piatto a tavola per i propri figli. Parliamo dei tanti dipendenti ‘di second’ordine’ e tutti i calciatori delle categorie inferiori, che in questa vicenda hanno poca voce in capitolo seppur rappresentino l’aspetto più spinoso della questione. 

Anche, soprattutto, per quest’ultimi si vuol mettere su una ripartenza. Il danno economico è ormai già fatto ed ogni tentativo effettuato è per cercare quantomeno di limitare i danni. E di questo  ne sono coscienti tutti, dal primo all’ultimo. Compreso il ministro Spadafora, il quale nella serata di ieri si è reso protagonista di un messaggio dai toni aspri e raggelanti. 

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Una vera e propria dichiarazione bellica nei confronti del calcio, che sembra quasi priva di fili logici. Un attacco isterico che va ad aggiungersi allo scenario di completa confusione palesato dalle istituzioni sportive. Insomma, a prescindere di come venga posta la questione, si tratta di una vera e propria nota stonata ed evitabile. 

Perché la situazione è già di per se è a tratti controversa, ai limiti del ridicolo. È ormai diventato tutto un divincolarsi dalle responsabilità ed un nascondersi dietro un mignolo che non porta a niente di utile, se non a rendere più rumorosa la pratica tutta italiana del ‘tanto rumore e poco faceto’.

Dichiararsi apertamente critico nei confronti della riapertura della terza economia nazionale è la classica mano ritratta dopo il lancio della pietra. Molti potranno dire che se non dovesse ripartire il campionato non finirebbe il mondo, ma è nel contempo legittimo dire che tentare di farlo è un dovere nei confronti di chi con il calcio sopravvive. Perchè si sa, senza nascondersi dietro ad ipocrite retoriche, il calcio non è costituito soltanto dalla Serie A.

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Ed invece per il Ministro delle Politiche Giovanili e dello Sport assumono, quasi improvvisamente, una grossa importanza tutti gli altri sport ed i centri sportivi. Altri sport che devono ripartire così come il calcio, ma che opportunisticamente vengono anteposti allo sport più seguito a livello nazionale. Quante altre volte è accaduto questo in passato? Ed innanzitutto da quando i centri sportivi, che da anni sono ridotti al collasso e che spesso rappresentano più un limite che un trampolino di lancio per i giovani talenti, sono diventati la priorità del nostro Paese?

Senza entrare in dinamiche politiche, nelle quali esiste la soggettività democratica di ognuno di noi, l’operato di chi dovrebbe essere a capo di tutto, in questo caso Spadafora, si dissolve completamente nella paura di imporre le regole a questo complesso gioco. Ed è quello che dovrebbe fare lo stesso Ministro o lo stesso Governo, dal momento in cui il dibattito sulla ripresa nelle istituzioni sportive si è trasformata in una guerra civile. Una presa di posizione che, a due mesi dal blocco del campionato, tarda ad arrivare e che probabilmente arriverà con colpevole ritardo.

Il plauso rimane a chi, in queste lunghe settimane, sta lavorando per garantirci le migliori condizioni di vita possibile. Per nessuno è facile governare in un periodo di emergenza come questo, ma bisogna evitare il solito inadatto spettacolo all’italiana: la polemica fatta tanto per smuoversi dalle proprie sabbie mobili. Il polemizzare soltanto perché non si ha autorità migliore per far sentire la propria voce. 

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Dunque la confusione su scala generale del tema della ripartenza sembra valere anche per il mondo del calcio, che diventa ancora più ostaggio della lotta per partito preso. O meglio, per partito ‘incompreso’.

 

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