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ESCLUSIVA #LBDV – Orlandini #ACasaConVlad: “Potessi tornare indietro non andrei via dal Milan. Vi spiego cosa penso sulla ripresa dei campionati”

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Primo ospite di giornata della trasmissione social de ‘Le Bombe di Vlad‘ è Pierluigi Orlandini, ex calciatore di Atalanta ed Inter, tra le altre, che ha rilasciato una lunga intervista nel corso della diretta.

Di seguito riportiamo le sue dichiarazioni:

Sei un figlio della terra martoriata da questo flagello. Come stai vivendo questo periodo di emergenza, che purtroppo ti ha toccato da vicino?

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”E’ la zona che ha pagato più di tutte rispetto alle altre regioni. Ho vissuto in prima persona questa malattia con mio padre che è stato anche ricoverato per febbre alta, anche se fortunatamente adesso sembra essere solo un lontano ricordo. Sono stati giorni tristi, sono qui giù in Puglia e non è stato per niente facile gestire la situazione. Soprattutto perché c’era anche una certa disinformazione. Non si stava tranquilli”.

Bergamo rappresenta l’inizio della tua carriera. Hai iniziato dalle giovanili dell’Atalanta, che sappiamo essere una grande fucina di talenti.

“Io ho iniziato come tutti i bambini dell’epoca, giocando per strada o in oratorio. Nel settore delle giovanili dell’Atalanta ho fatto tutte le categorie fino alla prima squadra. E’ una gioia poter vestire la maglia della propria città dopo tanti sacrifici”.

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Questa cura maniacale del settore giovanile nerazzurro è il vero segreto dei tanti successi?

“Questa è una cosa importante. L’Atalanta ne ha fatto un punto di forza ed in Italia bisognerebbe prendere questo modello come esempio. Se così fosse, avremmo più calciatori pronti per i grandi livelli. Nei settori giovanili nel nostro Paese non si lavora bene purtroppo”.

Nei primi due anni a Bergamo c’era una squadra molto forte. Com’è stato quel periodo?

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“Ho avuto la fortuna di esordire con Frosio in panchina, anche se mi dividevo tra primavera e prima squadra. Successivamente con Giorgi ho disputato più partite nelle coppe. Ma sostanzialmente il primo anno in cui mi sono sentito un professionista vero e proprio è stato a Lecce.

L’esperienza in Salento ti ha aperto la strada verso il calcio ad alti livelli. Al ritorno a Bergamo, la stagione non andò bene con Guidolin in panchina.

“Inizialmente nessuno si poteva aspettare un campionato del genere da parte dell’Atalanta. Retrocedemmo nonostante una squadra importante. Si tratta però di quelle annate che quando iniziano male non riesci più a rimediare. Guidolin forse non aveva quella esperienza per gestire un gruppo del genere. Mi dispiace dirlo, ma forse è arrivato con un po’ di presunzione. Se non si è molti propensi a scendere al livello dei calciatori, si rischia di pagarla cara in termini di risultati. A quei livelli sono tutti allenatori preparati, il segreto è come riesci ad entrare in empatia con i calciatori. E’ molto più importante degli aspetti tecnici-tattici. Se sei integralista rispetto alle tue idee, prima o poi ti imbatti in un gruppo che ti rema contro”

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Nella seconda parte di stagione arrivò Prandelli, con cui hai avuto più minutaggio, e che ti ha consentito poi di prendere parte all’esperienza con la Nazionale a Montpellier.

“Eravamo una bella squadra. E non bisogna dimenticare che a quei tempi il Portogallo era una squadra favorita. Avevano calciatori con una certa esperienza internazionale. Gol in semifinale? Diciamo che la fortuna mia è stata quella di utilizzare i due piedi in maniera indistinta e questo mi ha aiutato in quella azione. Non ero un calciatore completo, ma avevo dalla mia un certo tasso tecnico. L’episodio del ritorno in aereo? Prima le cabine di pilotaggio erano accessibili e mi ricordo che ero entrato perché ero curioso di vedere i piloti. A quel punto presi la giacca di uno steward e cominciai a chiedere cosa volessero da bere. Tardelli, per esempio, ci cascò alla grande (ride. ndr). Ero un giocherellone”.

Quel gol ti porta l’anno dopo all’Inter, che è una delle esperienza più importanti. Lì ti ritrovi Ottavio Bianchi: che allenatore era?

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“Era un allenatore molto lineare a vedersi e poco propenso a ridere. Ho trovato un grande uomo, molto diretto e molto rispettato. Prima era stato a Napoli dove aveva gestito una piazza già molto calda ed una presenza forte come quella di Maradona”.

Su Bergkamp:

“E’ un fuoriclasse che probabilmente all’Inter non è riuscito a esprimere tutto il suo talento. Però non sempre i calciatori riescono a mostrare le proprie caratteristiche. Ciò dipende da tante varianti e spesso può succedere che non si crei la situazione adatta a mostrare tutto il tuo valore”.

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L’ambiente Inter ti ha sempre ben voluto. Forse quella squadra pagò l’inesperienza di Moratti che cambiava tanti allenatori, e tra loro c’è stato anche Hodgson; non è stato buono il rapporto con lui?

“Non ero forse il prototipo di calciatore che preferiva. Ti arrabbi ma ti rendi conto, in un secondo momento, che non puoi andare a bene tutti. Per questo a volte cambi squadra. Le cose nel calcio cambiano e non sempre in positivo. Se un allenatore fa scelte che crede funzionali alla squadra, non gli si può dire nulla”.

Nell’anno di Verona con Cagni in panchina arrivasti a trenta presenze e sei gol. Era un ambiente che ti lasciava libero di esprimerti al meglio?

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“Io credo che un calciatore renda sempre al massimo quando la maggioranza dei fattori remano a favore: tra queste avere la fiducia dell’ambiente e ripagarla. I calciatori sono comunque persone, con pregi e difetti. È ovvio dunque che il contesto faccia la propria parte. Tanti calciatori sono acquistati perché in una certa squadra fanno la differenza. Bisogna immedesimarsi nei contesti ma, al di là di tutto, anche i calciatori sono fatti di carne e ossa”.

Parentesi Parma: era una squadra davvero forte ma ha raccolto meno di quanto potesse. Ti trovi d’accordo?

“C’è sempre il rovescio della medaglia. Se vai a giocare in un ambiente meno pesante, forse puoi non subire determinate pressioni ma questo, in certe piazze, ti può portare a rendere poco. L’ambiente così morbido forse non ha giovato a quella squadra, considerato l’elevato tasso tecnico. Il peso societario non era paragonabile alle grandi società ed anche questo ha influito”.

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Su Ancelotti:

“A Reggio Emilia fece bene, così come a Parma dove l’ho incontrato nel suo secondo anno. Era ed è tutt’ora molto bravo a fare gruppo. Tante volte ricordava di essere stato un calciatore e si immedesimava nella testa dei giocatori. Lui aveva un suo credo che gli dava dei risultati e preferiva un certo sistema, quale il 4-4-2. Anni dopo anche lui è cambiato, perché il calcio non è mai lo stesso, è in continuo aggiornamento. Cambiano tante dinamiche e bisogna trovare le giuste vie di mezzo tra passato e presente. Ognuno, in base al contesto, si deve adattare, non si può pensare di comportarsi nella stessa maniera in tutte le piazze. Questo è sinonimo di intelligenza”.

Cosa non è funzionato nel tuo passaggio al Milan?

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“Io pensavo fosse arrivato il momento importante, avevo trovato una grande società, forse la migliore ed il fatto che abbia vinto tanto ne è una dimostrazione. Tutti erano importanti, senza tuttavia invadere le competenze altrui. E’ stato un peccato che l’avventura in rossonero sia finita a dicembre, era rimasto poco spazio senza le coppe. Se non fossimo usciti, avrebbero mantenuto una rosa più ampia perché era giusto dare spazio agli altri. Preferivo giocare e ho preferito infatti andare da altre parti. Andai al Venezia, anche se mi voleva il Perugia di Mazzone. Quest’ultimo mi cercò già ad ottobre e io rifiutai perché volevo giocare al Milan. Dovessi scegliere adesso, non andrei via”.

Sull’esperienza al Brescia:

“L’anno dopo andai a Brescia perché Mazzone mi rivoleva anche lì. Parlai con lui e mi diede rassicurazioni sul minutaggio. Iniziò anche bene il precampionato. Diciamo che la mia sfortuna è stata che sono riusciti a prendere Baggio che ha cambiato tutte le carte in tavola. In quel momento si resero indispensabili dei laterali con caratteristiche diverse. Egoisticamente parlando, ha rotto i miei piani l’arrivo di Roberto, ma riavvolgendo il nastro è giusto che sia stato così. Calciatori come lui fanno crescere l’autostima ed era un punto di riferimento importante. Ciò che fece la differenza fu il Baggio uomo, ancor prima che il calciatore”.

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Ritorni a Bergamo ma la cosa non fu presa benissimo.

“A Brescia ho pagato di essere Bergamasco, e a Bergamo sono stato visto ormai come l’ex Brescia. Gli ultimi due anni di Serie A li cancellerei volentieri: mi hanno fatto perdere la voglia di mettermi in discussione. Quando ti accorgi che gli allenamenti iniziano a pesarti, è giusto che tu rifletta nel fare certe scelte. Se non stai bene con te stesso, non stai bene nemmeno con gli altri”.

Cosa ti ha spinto ad andare giù in Puglia?

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“Quando conobbi mia moglie, che all’epoca era la mia fidanzata, passammo le vacanze qui. Avevo un altro anno di contratto con il Milan e cercavo sistemazione in un’altra squadra. Si presentò l’ipotesi del Brindisi che era un bel progetto nonostante si trattasse di C2 e mi piaceva come idea. Accettai ma si rivelò un castello di sabbia. Da lì decisi di dire basta”.

Porti avanti un progetto molto interessante con la tua scuola calcio. Che impostazione hai voluto dare nel modo di insegnare calcio?

“E’ un modello che dovrebbero seguire tutti perché una scuola calcio non deve lavorare seguendo esclusivamente principi tattici. Ci sono anche l’etica ed il rispetto delle regole che devono far parte della vita. Prima preferisco che i bambini siano ligi nel rispettare le regole comportamentali e nel rispettare tutti. Noi non possiamo pensare che i bambini diventino tutti grandi calciatori, questo può accadere una volta su cinquanta. Il rispetto delle regole e l’educazione sono porte che ti danno l’accesso a tutto nella vita. Tante volte si dice che i genitori siano la rovina dei calciatori, ma non bisogna estremizzare. Quando ho aperto la scuola calcio mi sono accerchiato di persone competenti che mi potessero dare qualcosa in più sul campo e fuori. Hanno sposato la mia filosofia e i genitori sono al corrente delle mie idee, condividendole. Qualsiasi bambino ha il diritto di giocare e di tornare a casa con il sorriso, perché a lui non importa vincere o perdere, ma per loro conta soltanto giocare. Non ci dobbiamo dimenticare che noi abbiamo una responsabilità nei confronti dei bambini, che necessitano di un’educazione sportiva. Questo percorso deve andare di pari passo con i genitori, che devono sposare il nostro progetto e devono seguire queste linee. Se questa cosa non accade, il bambino non cresce più umanamente parlando”.

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Per la scuola calcio, che tempi sono previsti per la ripresa della attività?

“Io credo che non ci sarà nessuna ripresa. Nessuno può garantire sicurezza al nostro movimento. Se i ragazzi non vanno scuola è inutile che vengano a giocare, sarebbe un controsenso. Mi dispiace questa situazione, mi mancano molto i ragazzi e spero di riprendere a settembre”.

Per la Serie A invece cosa prevedi?

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“In questi giorni ho dibattuto molto perché non si riesce ad andare oltre alle banalità. Dietro al calcio italiano c’è l’UEFA che è l’organo di controllo e che vuole la conclusione dei campionati. Se il calcio riesce a partire il calcio è perché c’è un protocollo che lo permette. Il calcio non è costituito solo dai giocatori che guadagnano milioni, ma dietro le quinte ci sono persone che vivono grazie a questo sport. E poi tante volte la disinformazione porta a dire cose false. La società di calcio è un’azienda a tutti gli effetti ed i controlli medici sono comunque pagati. Non è vero quindi che vengono tolti i tamponi a persone che hanno bisogno. Se un’altra azienda non riesce a tutelare la salute dei dipendenti, deve intervenire lo Stato.

Infine, conclude:

“Il calcio è uno sport amato ma i calciatori tante volte sono persone molto invidiate e spesso escono fuori delle cattiverie. Non si può essere definiti mercenari soltanto perché viene fatta una scelta professionale. Se un operaio guadagna duemila euro al mese e un’altra azienda gliene offre cinquemila, cambia datore di lavoro, ma ciò non significa che sia un mercenario. Tutti siamo tifosi della nostra squadra, ma un professionista deve rispettare la propria carriera”.

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