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IO RESTO #ACASACONVLAD – Piacere di riconoscerti

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Tempo per pensare. L’obbligo, la piacevole incombenza di avere solo se stessi come compagnia di queste giornate in cui di pallone non si parla, si parla poco, si parla male.

Tempo che si dilata, tra un libro, una serie TV e lo zapping compulsivo tra i canali sportivi che, tra un match d’annata e l’altro, riescono a focalizzare il mio pensiero per un momento che riesce a distaccarsi dalla realtà e a sembrare addirittura lieto.

Potrei parlarvi di un numero indefinito di partite, di ore perse a fissare il vuoto, o a riguardare gli highlights di goal che in un modo o nell’altro continuano a farsi spazio nella mia mente.

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Potrei offrirvi i miei ricordi: raccontarvi di quella sera in cui ero da sola sul letto di casa mia, raggomitolata nella mia felpa gialla con il logo della Juve dal lato del cuore, a guardare inebetita Higuain con la divisa abbinata alla mia felpa fare il verso a De Laurentiis per quell’uno a zero strappato sull’erbetta del San Paolo.

Avrei anche voglia di raccontarvi di quella Juventus-Barcellona in cui non ci credeva nessuno, tranne me, Dybala e Chiellini.

Della remuntada pazza, pazzesca, sull’Atletico Madrid dello scorso anno, della risalita della china durante il campionato di qualche anno fa, quando dopo poche partite sembravamo aver già salutato il sogno scudetto, per poi riabbracciarlo con quella voglia irrefrenabile che nasce solo nei confronti di chi hai temuto di perdere o con chi non vedi l’ora di rivedere.

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E invece oggi mi va di cominciare dall’inizio, dal momento in cui in effetti comincia tutto.

Il calciomercato è una roba strana. Ti fa riporre fiducia nei soggetti più improbabili, ti fa conoscere sedicenti giornalisti che fino a ieri pensavi facessero un altro mestiere, fa acquistare credibilità a chiunque, basta che abbia notizie positive. In effetti tocca credere in qualcuno o in qualcosa quando certi desideri sono così grandi. E allora con le torride temperature estive, ci divertiamo a farci prendere in giro da chi fa finta di saperne più di noi.

Eppure qualche volta ci azzeccano.

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C’erano una volta novanta milioni, milione più milione meno. Un milione al chilo, mi verrebbe da dire. Il campionato precedente si era chiuso con trentasei goal siglati da colui il quale aveva rubato il cuore al 99% della tifoseria napoletana.

Nello scrivere queste parole rido da sola, perché conosco perfettamente la veemenza con cui i partenopei idolatrano, e sostanzialmente amano, i giocatori che riescono a riportare in città quella stessa carica che era attribuibile solo a Maradona.

Eppure, chi è che non guardava a Gonzalo Higuain come l’oggetto del desiderio di quella estate.

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Novanta milioni, mica pochi. Non ero ancora una twittarola furiosa quindi, ai tempi, prendevo news dalle strisce quotidiane dell’informazione sportiva e dalle poche indiscrezioni che giravano su Facebook.

Ricordo perfettamente quel pomeriggio, in cui stavo sistemando per l’ennesima volta nella mia vita il telecomando della tv del salone di casa dei miei.

Comparve sul mio schermo in abito di lino bianco, estivissimo, pochette d’ordinanza, Aurelio De Laurentiis. Il presidente partenopeo si chiedeva sornione quanto poco fosse possibile che l’allora DS Marotta potesse pagare la clausola rescissoria per liberare Gonzalo Higuain.

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E come nelle migliori tradizioni della mia ottimistica vita, dissi a me stessa che era fatta.

Il giorno di Sant’Anna, il giorno del mio onomastico, l’uomo dei trentasei goal a stagione era il soggetto di uno scarno tweet da parte dell’account ufficiale del Napoli: ma del resto, cosa avrebbero dovuto dire? Il rumore dei cuori spezzati si sente ancora oggi, se mi concentro.

Allo stesso modo probabilmente si sente ancora il battito accelerato del mio di cuore, quel pomeriggio in cui dal balconcino di Corso Ferraris un sorridente Higuain sventolava la maglietta bianconera con il suo nome stampato sul retro.

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Sarà per i problemi di peso e per la permalosità che ci accomunano, ma la maglietta di Higuain è la mia coperta di Linus, quella che mi porto in borsa il giorno dopo una grossa vittoria, la stessa a cui guardo quando aspetto che il risultato si sblocchi.

Ma quella presentazione fu solo un assaggio al confronto di ciò che accadde due stagioni dopo.

Il dolore che mi ha fatto provare Cristiano Ronaldo a livello calcistico non l’ho provato mai con nessun altro giocatore.

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Davanti alla mia scrivania da studentessa ha campeggiato per diverso tempo la foto di Chiellini con il suo turbante d’ordinanza che zittisce Ronaldo. Quella foto mi metteva carica, sapevo di poter affrontare l’esame di Metodi per la Finanza così come quella sera avevamo chiuso la prima valigia per la finale di Berlino dopo aver messo a tacere il bomber dalla camiseta blanca, ironicamente nera per quella serata. Che quella spedizione tedesca si concluse con un nulla di fatto, beh a quello sono abituata.

Ero invidiosa, ovvio. Lo volevo pure io uno che sapesse fare quelle rovesciate, lo volevo anche io uno in grado di alzare cinque Champions League con la sua squadra, io che vedo “solo” finali da quando ho memoria calcistica.

Allora quell’estate avevo preso la fissa di dover dimagrire. Passavo i miei pomeriggi post stage in palestra, a cercare di ritrovare una me stessa che il tempo e la vita mi avevano fatto perdere nei meandri di un frigorifero sempre troppo rifornito e di un’anima, nonostante tutto, troppo debole per potersi reggere in piedi da sola, a dispetto del suo involucro troppo pesante.

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La mia compagnia durante quelle ore di sudore erano i social, i tweet e i video con cui cercavo di capire chi si sarebbe messo la maglia a strisce bianconere in quella che sarebbe stata l’ultima in panca per Mister Allegri

Non è che le voci non circolassero, circolavano eccome. Il problema era il livello di pazzia e di stalking che stavamo raggiungendo.

Mi ricordo di quel giorno in cui le main news erano due: circolava un audio fatto da un fantomatico addetto della società che si occupa di sicurezza alla Juve, nonché notizie su una probabile chiusura per qualche giorno dei tour dello Stadium. Due più due, ma di Cristiano ancora nemmeno l’ombra, almeno fino a quel momento.

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E poi arrivò quel pomeriggio in cui sono inciampata nel multipower alla vista di una foto del presidente Agnelli sorridente e zaino in spalla all’aeroporto, ho trascorso la successiva ora sull’ellittica seguendo la rotta di quell’aereo privato che era stato segnalata da diversi tweet, fino a che non ho deciso di mettere fine a quell’inutilissimo allenamento quando di sorrisi beati in foto ne ho visti più di uno, e uno di quelli era di Cristiano Ronaldo.

E poi c’era il mio, di sorriso ebete, che ancora non riesco a togliermi dalla faccia se penso che Cristiano Ronaldo ha la mia stessa maglia addosso.

Il resto è storia. L’acquisto più costoso per la società del mio cuore, l’acquisto più strano per il mio cuore. Come faccio ad amare chi fino a ieri ho odiato con tutta me stessa, chi ha distrutto i miei sogni più di una volta, ed in maniera così plateale?

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Un paio di suggerimenti li avrei, mio caro Cristiano. Il primo lo hai capito da solo, il secondo te lo dirò più in là, ma credo che tu conosca anche quello.

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